Ambiente

Lupi, in Italia è aumentata la mortalità

09
Dicembre 2025
Di Giampiero Cinelli

Nel quinquennio 2019-2023 in Italia sono stati rinvenuti 1639 lupi morti. È la prima fotografia nazionale, per quanto ancora incompleta, della mortalità della specie su scala Paese. Il dato testimonia un andamento in crescita costante: dai 210 casi del 2019 si arriva ai 449 del 2023, una media di più di un lupo morto al giorno. A ricostruire questo quadro è l’associazione Io non ho paura del lupo, che ha realizzato un’indagine di un anno e mezzo basata su oltre sessanta richieste di accesso civico indirizzate a Regioni, Province autonome, Asl, Istituti Zooprofilattici, Ispra e altri enti pubblici.

Questa analisi si colloca al di fuori delle oscillazioni del dibattito politico – spesso diviso tra allarmi, proposte drastiche e narrazioni idealizzate – e punta a fissare perimetri oggettivi. Ma lo fa evidenziando fin da subito una criticità di sistema: in Italia non esiste un metodo unico, centralizzato e standardizzato per registrare i lupi trovati morti. La raccolta dei dati procede per frammenti, con livelli di accuratezza molto diversi da un territorio all’altro.

Le cause di morte e i territori più colpiti
Le cause sono state suddivise in quattro categorie: investimenti stradali e ferroviari, bracconaggio, morti naturali, cause indeterminate. Quasi il 60% dei casi noti è dovuto a investimenti: una quota che riflette tanto la forte espansione della rete infrastrutturale quanto la crescente presenza del lupo in territori antropizzati. Seguono le cause indeterminate, pari al 19%, che misurano i limiti nelle procedure di recupero e analisi delle carcasse. Il bracconaggio incide per circa il 12% dei casi, mentre le morti naturali rappresentano una minoranza.

La distribuzione geografica restituisce differenze marcate. Piemonte, Abruzzo ed Emilia Romagna superano ciascuna i 260 lupi rinvenuti morti nel periodo considerato. A seguire Marche, Toscana e Umbria. In molte altre Regioni, però, i numeri sono significativamente più bassi: spesso non superano i 60 casi in cinque anni. Una simmetria difficile da spiegare solo con variabili ecologiche. Gli esperti sottolineano infatti che un numero ridotto di carcasse rinvenute può dipendere dalla semplice difficoltà di trovarle o dall’assenza di una filiera di recupero efficace.

In questo senso un passaggio della relazione è emblematico: «Questo non significa che in altre Regioni la situazione sia migliore: laddove risultano meno casi registrati, ciò può dipendere semplicemente dalla difficoltà nel rinvenire le carcasse». A confermarlo è Daniele Ecotti, presidente dell’associazione: «Oltre il 70% delle morti note è riconducibile ad attività umane. Ma ciò che preoccupa di più è la possibilità che questa sia solo una sottostima reale del fenomeno».

Un sistema di monitoraggio incompleto e disomogeneo
Le discontinuità territoriali restano uno dei nodi irrisolti. Regioni confinanti con presenza simile della specie registrano scarti enormi, spiegabili solo attraverso la differente qualità dei sistemi di raccolta. In diversi casi mancano informazioni essenziali come età e sesso degli animali. In altri, gli enti hanno dichiarato di non detenere alcun dato. In alcuni casi – sottolinea la relazione – enti pubblici si sono persino rifiutati di fornire le informazioni richieste.

Da qui la denuncia: «In Italia non esiste oggi un sistema unico, standardizzato e completo per la registrazione della mortalità del lupo». Una carenza che rischia di inficiare ogni decisione politica sul tema. «Oggi discutiamo di abbattimenti e deroghe, ma non abbiamo ancora un sistema nazionale che raccolga e verifichi in modo uniforme i dati più elementari» osserva Ecotti. Da qui l’appello per la creazione di un database pubblico e centralizzato, condizione preliminare per qualsiasi politica di gestione.

Mortalità raddoppiata e squilibri territoriali
I numeri raccontano una crescita netta: la mortalità è più che raddoppiata dal 2019 al 2023. Una dinamica attribuibile in parte all’espansione della popolazione, ma che – affermano gli esperti – segnala una pressione crescente dovuta soprattutto a fattori antropici. Va inoltre considerato che una quota non quantificabile di lupi morti non viene mai recuperata: carcasse irraggiungibili, decomposizione rapida, predazione secondaria. Il totale registrato è quindi inevitabilmente una stima per difetto.

Nel periodo considerato si contano 978 investimenti, tra strada e ferrovia. È il dato più massiccio e conferma che la frammentazione del territorio e la mancanza di corridoi ecologici sicuri rappresentano oggi un limite strutturale. Il capitolo del bracconaggio resta però il più complesso da stimare. I casi accertati sono 210, ma la relazione ricorda che studi indipendenti stimano che il numero reale possa essere fino a tre volte superiore. Questo porterebbe la quota potenziale dei lupi uccisi illegalmente a oltre 600 esemplari nel quinquennio.

Il fenomeno assume contorni diversi tra le Regioni: in Lombardia il bracconaggio riguarda oltre il 33% delle carcasse rinvenute, in Calabria il 28%. Quote sensibilmente più alte della media nazionale. La relazione rileva inoltre che avvelenamenti, ferite da arma da fuoco e ritrovamenti in circostanze sospette segnalano un conflitto con la specie ancora vivido. Le conseguenze non sono solo numeriche: l’eliminazione illegale di singoli individui può destabilizzare i branchi, alterare i processi riproduttivi e favorire fenomeni come l’ibridazione.

La “zona grigia” della mortalità indeterminata
Restano infine i casi classificati come indeterminati, pari al 19%. «Un campanello d’allarme» scrive la relazione, perché riflettono l’assenza di necroscopie, ritardi nei recuperi, protocolli non uniformi. In un dibattito pubblico dominato da tensioni e opinioni contrapposte, non riuscire a definire la causa di morte per una quota così ampia significa ridurre drasticamente la possibilità di comprendere la dinamica reale della mortalità e, di conseguenza, costruire politiche basate su evidenze.

La mappa della mortalità: i dati Regione per Regione
Nel periodo 2019-2023 sono stati registrati 728 maschi (44,4%), 627 femmine (38,3%) e 284 esemplari di sesso non determinato (17,3%). A livello territoriale, il numero totale dei lupi rinvenuti morti è così distribuito: Piemonte 280, Abruzzo 272, Emilia Romagna 266, Marche 173, Toscana 109, Umbria 83, Lazio 65, Molise 56, Liguria 52, Trentino Alto Adige 48, Lombardia 42, Calabria 39, Campania 21, Valle d’Aosta 31, Veneto 28, Puglia 24, Basilicata 22, Friuli Venezia Giulia 18.

La percentuale di bracconaggio varia fortemente. Lombardia e Calabria guidano la classifica, seguite da Marche, Emilia Romagna, Campania e Liguria. Abruzzo, Trentino Alto Adige e Veneto mostrano percentuali molto più basse, anche se il Veneto registra una delle quote più alte di cause indeterminate, superando il 60%, a conferma di un significativo deficit informativo.

Il quadro finale è dunque duplice: da una parte una mortalità elevata e in aumento, legata soprattutto a fattori antropici; dall’altra un sistema di monitoraggio incapace, allo stato attuale, di restituire una visione completa del fenomeno. La relazione lo sintetizza così: «Il monitoraggio è la base per qualsiasi politica pubblica responsabile. Senza dati, non esiste gestione».