Ambiente

L’analisi dello scenario energetico e una risposta agli interrogativi comuni. Intervista con Simona Benedettini

07
Settembre 2022
Di Luca Grieco

L’aumento dei prezzi dell’energia è al centro delle discussioni istituzionali, sia a livello nazionale che europeo. L’intervista con Simona Benedettini, consulente freelance in materia di politiche energetiche e regolazione dei mercati elettrici e del gas naturale, Senior Advisor per la Fondazione Ottimisti&Razionali e Coordinatore del Dipartimento Politiche Ambientali, Mercati Energetici e Sviluppo per la Fondazione Luigi Einaudi.

Dott.ssa Benedettini, lei in questi mesi sta analizzando attentamente i mutamenti degli scenari energetici italiani e internazionali. Partiamo dal principio: è possibile affermare che i segnali di questa emergenza fossero ravvisabili anche prima del conflitto russo-ucraino?
«Sì, i segnali erano ravvisabili da molto prima dell’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina. I prezzi del gas naturale hanno iniziato la propria corsa già nella seconda metà del 2021. Questo accade a causa di un disequilibrio tra domanda e offerta. Alla ripresa dei consumi energetici, successivamente al rallentamento della pandemia, non è corrisposta una adeguata disponibilità di gas naturale.  Ciò essenzialmente per la contrazione in anni precedenti delle attività di investimento in attività di esplorazione e produzione dovuta principalmente a bassi prezzi del gas naturale e a vincoli di natura normativa. I primi non avrebbero garantito adeguati ritorni sugli investimenti. I secondi, legati soprattutto a ragioni ambientali, hanno aumentato i costi delle attività di esplorazione e produzione».

Il conflitto, nella fattispecie, in che modo va ad incidere sui prezzi dell’energia?
«Il conflitto ha inciso sull’andamento al rialzo del prezzo del gas naturale aumentandone la volatilità e innalzandone il livello. Questo principalmente a causa dell’incertezza circa la continuità delle forniture di gas russo. L’eventuale interruzione delle esportazioni russe avrebbe ulteriormente esacerbato quel disequilibrio tra domanda e offerta di cui parlavo prima. Questa incertezza, che si è ripercossa sui prezzi, è stata causata dapprima dalla paura del mercato circa una rappresaglia della Russia per le sanzioni imposte dall’UE. Poi dagli atti concreti di Mosca che, in queste settimane con le chiusure del gasdotto Nord Stream 1, non ha esitato a farci capire che la sua minaccia di chiudere i rubinetti è credibile. Il legame tra guerra e prezzi del gas naturale è quindi importante che sia chiarito. Perché questo ci aiuta a identificare con razionalità le soluzioni al problema. Anche in assenza del conflitto tra Russia e Ucraina avremmo assistito a prezzi elevati del gas naturale. E per un periodo di tempo non breve. Questo perché alla base vi è uno squilibrio tra domanda e offerta che ha origini pregresse e strutturali e che richiede tempo per essere riassorbito».

Il Governo italiano per fronteggiare i rincari ha speso circa 50 miliardi di euro nel corso del 2022 (l’anno non è ancora finito), senza ricorrere a scostamenti di bilancio, ma scaricando gli oneri spesso sugli operatori energetici. Ne è una prova la tassa sui cosiddetti extra-profitti, la cui riscossione è stata fino ad ora abbastanza fallace. Su questo lei si è più volte espressa, denunciando la poca efficacia della misura nonché la sua “iniquità”. Può spiegarci la sua tesi?
«È una misura che presenta molte criticità. In primo luogo, fa riferimento a una base imponibile che, diversamente dal nome della tassa, non misura dei profitti. La tassa colpisce, infatti, la differenza tra il saldo del valore aggiunto IVA conseguito nei mesi 1° ottobre 2021-31 marzo 2022, rispetto a quello conseguito nel periodo 1° ottobre 2020-31 marzo 2021. L’incremento nel valore aggiunto è una grandezza approssimativa per dedurre il conseguimento di extra-profitti. Essa può infatti dipendere da diversi fattori, quali un incremento del volume di attività dell’impresa, a parità di margini unitari; da operazioni di aggregazione o disaggregazione (fusioni, conferimenti, scissioni). Quindi, c’è una incoerenza tra caratteristiche della misura e motivazioni che hanno portato alla sua adozione. Ossia redistribuire presunti profitti extra per redistribuirli a sostegno di chi, come famiglie e imprese, è stato maggiormente colpito dal caro prezzi energia. Questa incoerenza espone la tassa a rischio di incostituzionalità. È poi una tassa retroattiva poiché si riferisce a una base imponibile in parte conseguita nel passato (tra il 2020 e il 2021). E qui nasce anche una questione di iniquità. Il periodo 2020-2021 è, infatti, un anno particolare dove l’attività economica è rallentata per effetto della pandemia. Verosimilmente, quindi, le imprese hanno creato un valore aggiunto inferiore agli altri anni. Quindi la base imponibile tenderà ad essere particolarmente capiente. Sempre in tema di iniquità, per quanto riguarda le importazioni di gas naturale, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente ha rilevato, in un suo rapporto pubblicato recentemente su incarico dello stesso Governo, che non vi è evidenza di extra-profitti. I costi di importazione di gas, in altre parole, riflettono i costi all’ingrosso della materia prima. Quindi, per alcuni operatori colpiti dalla tassa, non è neanche giustificabile l’adozione del provvedimento. Più in generale, che cosa è un profitto “extra”? Quale è un profitto che può ritenersi giusto? Anche solo porsi questa domanda è a mio avviso anomalo in una economia di mercato. Soprattutto perché abbiamo una normativa, quella della concorrenza, che disciplina e interviene nell’eventualità di profitti che non sono il frutto della normale dinamica di mercato ma di comportamenti illeciti. A questo poi occorre aggiungere l’incertezza normativa generata dal provvedimento. In poco meno di due mesi dal decreto che ha istituito la tassa sugli extra-profitti, il DL 50/2022 ha innalzato l’aliquota di imposta dal 10% al 25%. Insomma, non consiglierei questo provvedimento come una ricetta per attrarre gli investimenti».

Alcune delle ultime misure – quelle contenute nel cosiddetto Decreto Sostegni-bis – sembrano rimarcare la volontà dell’Esecutivo di far leva sulle società energetiche. Il Governo ha impedito agli operatori, tra le altre cose, di modificare unilateralmente i contratti di fornitura, anche quelli in scadenza, imponendo un blocco dei prezzi che, in questo modo, deve essere totalmente assorbito da loro e non scaricato sui cittadini. Come valuta questa misura?
«Il provvedimento riflette un approccio alla crisi energetica che è lo stesso da cui è scaturita la tassa sugli extra-profitti. Ossia che, grazie alla crisi energetica, gli operatori del comparto energetico si stiano arricchendo alle spalle di famiglie e imprese. In realtà, anche per gli operatori del settore la crisi ha prodotto i suoi effetti negativi. Il blocco alle offerte dei venditori di luce e gas aiuta a capire bene perché. Questa misura impedisce, in primo luogo, ai fornitori di energia elettrica e gas di dare piena copertura ai propri costi di approvvigionamento che, nel frattempo, sono aumentati. Senza considerare che i venditori, in tempi di crisi, sono impattati anche dall’aumento della morosità dei consumatori. Le difficoltà finanziarie che così sorgeranno per i venditori si rifletteranno poi a loro volta su un altro segmento della filiera che non viene mai menzionato. Quello dei distributori ai quali i venditori debbono periodicamente dei corrispettivi e garanzie per l’utilizzo delle reti di distribuzione per trasportare luce e gas ai clienti finali. L’altro aspetto deleterio è che con questa misura si continua ad alimentare la sfiducia nel mercato. Va ricordato che, invece, è stato proprio il mercato a tutelare i clienti finali dagli aumenti dei prezzi di luce e gas conseguenti la crisi energetica. Chi aveva sottoscritto in passato offerte a prezzo fisso è rimasto sino a ora protetto dagli aumenti. Inoltre, in questo modo, si continua a non dare ai clienti finali il corretto segnale di prezzo che aiuterebbe a dare la percezione della serietà del fenomeno. E ad attivare conseguentemente, soprattutto in assenza di adeguate campagne informative, comportamenti di risparmio energetico che sono sempre più essenziali data la situazione nella quale ci troviamo».

Guardando al livello sovranazionale, una delle cose che spesso si sente citare è il price cap, ma oltre al fatto che si tratti di “tetto al prezzo del gas” non si dice molto. Ci può spiegare di cosa si tratta e perché è tanto difficile prevederlo?
«Stando all’incarico dato dal Consiglio Europeo di fine maggio alla Commissione Europea, ossia quello di valutare la fattibilità di un tetto al prezzo di importazione del gas naturale possiamo dire, intanto, che si tratterebbe di una misura che interessa il segmento a monte della filiera e non quello a valle ossia il prezzo applicato per la vendita ai clienti finali. Chiarito questo, il tetto può essere applicato con riferimento a diversi ambiti: o solo sul gas proveniente dalla Russia oppure su tutto il gas importato (sia gasdotto sia GNL) oppure solo sul gas importato via tubo da Paesi anche diversi dalla Russia. Poi ci sono le modalità di applicazione che possono essere molteplici per i diversi ambiti. Recentemente, in vista del Consiglio UE dei Ministri dell’Energia del 9 settembre, la Commissione ha reso nota la valutazione svolta su incarico del Consiglio di cui parlavo prima. In base a questa valutazione sono previste due modalità alternative di attuazione del tetto. Entrambi da applicare esclusivamente al prezzo di importazione del gas importato dalla Russia. In entrambe i casi si tratta di proposte tardive e in cui non crede sino in fondo neanche la stessa Commissione e che sembrano più una concessione a chi ha chiesto la misura che un reale impegno a metterla in atto. Gli estensori del documento sono i primi a mettere in guardia sulla complessità dell’applicazione della misura, non compatibile con i tempi stretti imposti dall’aggravarsi della crisi energetica. Ma sono anche i primi a porsi il dubbio circa la credibilità del provvedimento. Che è tale solo se l’Europa fosse capace di vincolarsi alla decisione presa senza tornare indietro. Questo significherebbe, probabilmente, essere pronti a sostenere la completa interruzione delle forniture russe sino dal primo giorno di attuazione del tetto. Senza considerare che Mosca ha dimostrato ampiamente quanto, invece, sia credibile questa eventualità».

Non è paradossale che il patrimonio minerario italiano sia così poco sfruttato sulla base di un’avversione alle fonti fossili che negli ultimi vent’anni è stata coltivata e che mostra tutte le sue incoerenze nella ricerca della molecola dall’estero?
«È paradossale ma non stupisce. Abbiamo detto NO a nuove attività di esplorazione e produzione di gas naturale nell’Adriatico. E avevamo detto NO anche al gasdotto TAP. Salvo poi renderci conto che senza questa infrastruttura saremmo stati ancora più dipendenti dal gas russo. Siamo poi il Paese dove non vogliamo pale eoliche a deturpare il nostro paesaggio ma che allo stesso tempo invoca di produrre più energia elettrica da fonti rinnovabili per abbassare i prezzi dell’elettricità. Oggi stiamo dicendo NO al rigassificatore di Piombino. Ma allo stesso tempo, desideriamo diversificare il più possibile le fonti di approvvigionamento, e quindi ricorrere di più al GNL, per renderci velocemente indipendenti dal gas russo. Capire le cause profonde di questo malessere sociale è attività complessa che non può essere banalizzata in poche righe. Però è certamente la spia di un malessere sociale e di un impoverimento culturale».

In questi giorni il Governo dovrebbe approvare un ulteriore decreto per contenere i prezzi dell’energia e offrire sostegni alle imprese. Se ci leggessero Draghi e Cingolani, cosa gli direbbe?
«Intanto esprimerei gratitudine al Presidente Draghi per avere dato nuova credibilità al Paese soprattutto in campo internazionale. Che è stato un requisito essenziale sia per negoziare le nostre posizioni in Europa in ambito energetico sia per negoziare nuovi accordi di approvvigionamento di gas naturale in giro per il mondo. Oltre a questo esprimerei due desideri. Il primo: rivedere il PITESAI per ampliare le opportunità di produzione nazionale di gas. Il secondo: parlare chiaro al Paese e fare capire quanto sia fondamentale che, in questo momento, coinvolgere i clienti finali in comportamenti di risparmio. Certo non piacevoli. Ma necessari per evitare situazioni ancora più spiacevoli in caso di interruzione improvvisa delle forniture di gas russo».