Ambiente

Giornata Mondiale dell’Acqua: il punto sulle soluzioni alla carenza idrica in Italia e nel mondo

22
Marzo 2023
Di Simone Zivillica

L’acqua sta finendo o ce n’è troppa e non sappiamo come utilizzarla? Una domanda, questa, che può apparire fuori contesto nella Giornata Mondiale dell’Acqua, indicata dalle Nazioni Unite per celebrare e riflettere sull’asset naturale più importante che ci sia e che ci sta creando grattacapi non indifferenti. Già da tempo, alcuni esperti mettono in guardia sul fatto che le prossime guerre potrebbero essere combattute proprio per accaparrarsi bacini idrici e risorse d’acqua. Nel concreto, però, quel futuro sembra, almeno in parte, essere già arrivato. La guerra in Ucraina, per esempio, è stata definita da qualcuno anche come una guerra dell’acqua, visto anche che la Crimea ha vissuto – e continua a vivere – un periodo di siccità molto severa.

Da una parte la scarsità d’acqua, di cui siamo testimoni sempre più diretti qui in Italia, dove fiumi come l’Adige o il Po hanno livelli di portata inferiori a quelli che si dovrebbero registrare, in condizioni normali, in piena estate – e la primavera è iniziata, ufficialmente, soltanto ieri. Dall’altra l’abbondanza ingestibile che si presenta sotto forma, principalmente, dell’innalzamento del livello dei mari. Basti pensare che l’Indonesia ha annunciato che sposterà la sua capitale da Jakarta perché sta sprofondando sott’acqua, con già il 40% del suo territorio sommerso sotto l’oceano. La nuova capitale sorgerà nel Borneo a Nasantara, città ancora inesistente e in fase di costruzione – con buona pace di chi fa notare i costi climatici di quest’operazione, sia in termini di inquinamento che di distruzione di interi ecosistemi.

L’altra faccia della complicata relazione che la civiltà ha con l’acqua è quando questa invece che essere troppa, semplicemente manca. La scarsità d’acqua è, infatti, uno spettro ancor più terrificante della sua sovrabbondanza. Sono molti gli studi scientifici che prevedono come la prossima guerra mondiale non si combatterà per interessi geopolitici – anche se ci siamo andati, o ci stiamo andando, molto vicini in Ucraina, appunto – ma proprio per assicurarsi le sempre più carenti risorse idriche. Stando ai dati di UN-Water, infatti, quasi 2,5 miliardi di persone vivono in paesi con difficoltà di reperimento di risorse d’acqua. Inoltre, ed è forse ancor più allarmante, circa la metà della popolazione mondiale vive in aree a rischio di approvvigionamento idrico.

C’è un’area del mondo dove queste due facce (mancanza ed eccesso d’acqua) coesistono fornendo agli studiosi una sorta di assurdo climatico, e alle persone che lo vivono un incubo che si è fatto realtà. La California, infatti, dopo che è stata testimone della peggior siccità di sempre, con aree che procedono verso la desertificazione e incendi di proporzioni enormi, dall’inizio dell’anno sta vivendo un periodo di precipitazioni violentissime. Basti pensare che il fenomeno è chiamato atmospheric rivers, la cui definizione recita che “i fiumi atmosferici sono regioni relativamente lunghe e strette nell’atmosfera, come i fiumi nel cielo, che trasportano la maggior parte del vapore acqueo al di fuori dei tropici. Queste colonne di vapore si muovono con il tempo, trasportando una quantità di vapore acqueo approssimativamente equivalente al flusso medio di acqua alla foce del fiume Mississippi”. Quando questo enorme volume d’acqua viene riversato al suolo, come sta accadendo in California, su terreni spesso aridi e quindi disabituati a riceverli, i risultati sono frane di fango dai versanti dei rilievi montuosi, inondazioni incontrollabili, quantità di neve fuori dal normale, forti temporali e tornado. Per rimanere negli Stati Uniti, secondo il US Drought Monitor “al 10 gennaio 2023, il 36,78% degli Stati Uniti e di Porto Rico […] soffrono condizioni di siccità”. Un dato che solo alla fine di dicembre arrivava al 41%, e che quindi è fortemente condizionato proprio dal fenomeno dei fiumi atmosferici, che di certo non sono un sollievo dalla siccità.

Allo stesso tempo l’Europa sta vivendo condizioni di grave siccità in molte sue aree. Come evidenzia l’ultimo report del Global Drought Observatory dell’istituto Copernicus Emergency Management System (GEMS), sostanzialmente per tutto il 2022 paesi come Francia, la parte ovest della Germania, molti stati balcanici e alcuni di quelli che si affacciano sul Mediterraneo, hanno sofferto livelli siccitosi oltre la norma, con condizioni di siccità correlate a lunghi periodi di scarse o inesistenti precipitazioni. In questo quadro, l’Italia si colloca senza dubbio tra i paesi con più rischi legati alla scarsità d’acqua. Basti pensare che a inizio estate scorsa, dopo copiose piogge, tutte le stazioni dell’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po hanno comunque registrato livelli di portata del fiume al di sotto di quelle considerate normali per il periodo. Situazione che ha costretto a misure di contingentamento delle risorse e razionamento delle quantità d’acqua disponibili per il prelievo.

Situazioni, queste del mondo occidentale, che appaiono comunque migliori rispetto a quelle che alcune aree del Sud del mondo vivono da decenni. È il caso del Corno d’Africa, dove le popolazioni di Etiopia, Somalia e Kenya sono state, loro malgrado, testimoni della peggiore siccità di cui si ha traccia. Nella sola Somalia, quasi 1.5 milioni di persone sono dovute emigrare verso aree meno aride. Inoltre, secondo i dati delle Nazioni Unite, sono oltre 7 milioni gli etiopi che non hanno abbastanza cibo a causa delle condizioni climatiche. Siccità che è anche causa della morte del bestiame: in Etiopia e Kenya sono deceduti oltre 3 milioni di capi, mentre in Somalia addirittura il 30% delle greggi domestiche sono morte da meno di due anni.

Dove c’è un problema, devono esserci più soluzioni atte a risolverlo nelle modalità che meglio si calano sulle singole specificità. Se in Europa, per esempio, cominciamo a considerare la desalinizzazione dell’acqua come una possibile via da percorrere per far fronte alle gravi crisi idriche cui assistiamo sempre più sovente, in altre parti del mondo quest’opzione è già percorsa in quantità e qualità considerevoli. È il caso dell’Arabia Saudita, che negli anni si è fatta leader di un settore che, evidentemente, sarà sempre più centrale nel management delle crisi climatiche.

Con 32 impianti di desalinizzazione già pienamente all’opera e altri 6 in costruzione, l’Arabia Saudita si garantisce una produzione di 9,7 milioni di metri cubi al giorno. Per rendere l’idea di quanto questo dato sia rilevante, basti pensare che quel volume d’acqua corrisponde al 22% delle riserve mondiali, utili al rifornimento di oltre 34 milioni di persone. Tuttavia non basta. L’Arabia, infatti, ha pronto un piano per aumentare ancora il suo impegno nel settore ed è in procinto di effettuare ulteriori investimenti. Entro il 2030 saranno stanziati 2,1 miliari di dollari per lo sviluppo di nuove tecnologie utili allo scopo di desalinizzare l’acqua marina. L’Arabia non è la sola a investire in questa tecnica. Anche in Algeria si produce il 17% dell’acqua potabile del paese tramite alla desalinizzazione, anche grazie a impianti come quello di Bateau Cassé che può produrre fino a 10 milioni di litri d’acqua al giorno, che garantiscono il fabbisogno quotidiano di 100.000 persone.

In Europa siamo ancora lontani da questi numeri, ma qualcosa in merito si sta muovendo. Nello specifico, la Spagna produce 5 milioni di metri cubi di acqua desalinizzata al giorno, essendo chiaramente il paese che più soffre, nel continente europeo, la scarsità d’acqua a causa delle molte e vaste zone desertiche. L’Italia, purtroppo, è ancora cauta nell’implementazione di questa tecnologia e la produzione di acqua potabile da desalinizzazione non supera i 500.000 metri cubi giornalieri. Tuttavia, è recente l’apertura del governatore della regione Veneto Luca Zaia a questa tecnologia, anche spinto da un grave periodo di siccità che vede alcuni dei fiumi e dei bacini d’acqua della regione a livelli molto bassi: «se a Dubai e in Israele vivono grazie ai dissalatori, possiamo farlo anche noi e so che gli imprenditori della costa ci stanno pensando», ha detto il governatore.

Rimanendo in Unione Europea, e tenendo presente gli obiettivi della Giornata Mondiale dell’Acqua, va segnalato che l’Italia è ancora in testa nei prelievi di acqua per uso potabile. L’Isat, infatti, registra che il volume prelevato nel 2020 per impieghi domestici, pubblici, commerciali, artigianali, industriali e agricoli che rientrano nella rete comunale è stato di 9,19 miliardi di metri cubi. Sempre dagli studi Istat, emerge che la maggiore quantità d’acqua viene dal distretto idrografico del Fiume Po: sono 2,80 i miliardi di metri cubi prelevati, pari a ben il 30,5% del totale nazionale. Tra le regioni, è quindi la Lombardia quella dove si preleva il maggior volume di acqua per uso potabile: 1,44 miliardi di metri cubi, il 15,6% del totale nazionale.

Quantitativi consistenti, però, sono captati anche nel Lazio: 1,15 miliardi di metri cubi, il 12,5%. Anche il neopresidente della Regione Lazio, infatti, si dice pronto a intraprendere azioni serie e concrete per salvaguardare le riserve d’acqua della regione: occorre «considerare l’acqua sempre più come un bene comune globale, intervenendo in maniera radicale sugli sprechi idrici, promuovendo buone pratiche e comportamenti virtuosi – ha detto il governatore. L’imponente fenomeno dei cambiamenti climatici, infatti, genera feroci disuguaglianze, colpendo non solo le comunità più fragili. Tre milioni e mezzo di italiani rischiano di avere l’acqua razionata dal rubinetto di casa. Da Presidente della Regione Lazio posso assicurare che questi temi saranno al centro della nostra azione di Governo».

È evidente, quindi, che alla base di tutto, e la Giornata Mondiale dell’Acqua serve anche a questo, deve esserci l’osservanza e la promozione di buone pratiche per il risparmio e il riuso dell’acqua. Oltre a quelle, sempre valide, rivolte ai singoli, in Italia si stanno mettendo in pratica alcune tecnologie che puntano proprio alla salvaguardia idrica. Tra queste, la coltivazione idroponica è una tecnica con la quale vengono accoppiati l’allevamento di pesci e la produzione di ortaggi di altissima qualità. I primi, tramite la loro respirazione e alimentazione creano scarti organici che fertilizzano l’acqua di cui si nutrono le piante in crescita, riproducendo il ciclo naturale. L’acqua non assorbita dagli ortaggi viene reintrodotta nel sistema, garantendo un risparmio d’acqua di oltre il 90% rispetto a una coltivazione tradizionale Tra i primi esempi, e più di successo, di utilizzo di questa tecnica c’è l’azienda romana di under 35 The Circle. La stessa ratio è alla base degli obiettivi del progetto VALUE CE IN, coordinato da ENEA, al quale partecipano tra gli altri il gruppo Hera e l’Università di Bologna. Si è soddisfatto fino al 70% del fabbisogno idrico irriguo della Regione Emilia-Romagna, riducendo di circa il 30% anche i costi per i concimi implementando un sistema di recupero e riuso delle acque reflue.