Ambiente

Dalla siccità alla crisi energetica, le sfide di Confagricoltura. Parla Annamaria Barrile

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Luglio 2022
Di Alessandro Caruso

Dalla siccità all’emergenza energetica e alimentare, fino alla sostenibilità e alla sfida della tecnologia. Le sfide del comparto agricolo in questa fase storica sono cruciali per la costruzione del mondo di domani. E Confagricoltura, la più autorevole organizzazione di settore, ha scelto di giocarle inserendo nel suo board Annamaria Barrile, da pochi mesi Direttrice generale, la prima donna in questo ruolo dopo oltre 100 anni. «Le sfide che le nostre aziende affrontano – spiega – mi hanno spinto ad impostare un nuovo modello di lavoro, in grado di valorizzare la grande storia ed eredità di Palazzo della Valle, e coniugarlo con la necessità di stare accanto alle nostre imprese».

L’agricoltura sta vivendo un momento molto complesso. La vitalità e le prospettive del settore sono messe in difficoltà da tante problematiche esterne. Partiamo dal tema del clima, in questi giorni tornato molto attuale per la grave siccità estiva, che continua a mettere a dura prova le imprese, già alle prese quest’anno con quella invernale. Può darci un’idea del rischio che si sta correndo? Cosa sta facendo Confagricoltura?
«L’Italia sta affrontando il rischio di desertificazione per la degradazione del suolo che va estendendosi rapidamente in larga parte d’Europa. L’attuale fase di siccità è indiscutibilmente un evento eccezionale e senza precedenti, ma è figlio di una serie di fattori predeterminanti caratterizzati sia da una continuativa scarsità di piogge e nevicate nel periodo invernale, sia dall’assenza di una politica gestionale lungimirante; le tecniche di gestione delle risorse sinora adottate si sono dimostrate tanto produttive quanto degradanti. Tuttavia, la semplicità di queste procedure, dannose a livello ambientale, ha continuato per lungo tempo a prevalere su scelte innovative più sostenibili. Questo è un momento storico senza precedenti, i segnali sono chiari e il progetto euro-nazionale di transizione ecologica ha l’obiettivo di invertire una rotta che ci si ostinava erroneamente a perseguire. Sulla siccità Confagricoltura ha elaborato un serie di proposte di breve e lungo periodo per arginare il fenomeno emergenziale e salvaguardare il futuro delle produzioni agricole: dapprima intervenendo con il rilascio dell’acqua disponibile contenuta nei serbatoi idroelettrici e, successivamente, con l’avvio di nuove infrastrutture irrigue che permettano di far fronte al possibile riemergere di una simile emergenza nei prossimi anni. Le risorse e i finanziamenti messi a disposizione dal PNRR sono, in questo senso, fondamentali e non vanno sprecati».

Martedì scorso si è svolta l’Assemblea di Confagricoltura. Si è parlato anche di sostenibilità. A che punto sono le imprese agricole italiane su questo fronte? E in che modo state cercando di sfruttare l’innovazione tecnologica a vantaggio della sostenibilità?
«Il settore agricolo è consapevole del ruolo centrale che assume un’impresa agricola sostenibile, capace di mitigare e adattarsi al cambiamento climatico, attraverso le proprie produzioni, le proprie superfici ed i propri residui. Le imprese sono altresì consapevoli del costo di questo adattamento al cambiamento climatico, che renderà sempre meno disponibili ed erose risorse naturali fondamentali quali l’acqua ed il suolo. In 30 anni dovremmo quasi raddoppiare l’attuale produzione mondiale di cibo, senza però recare danni al Pianeta: è necessario aumentare le rese delle colture, sperimentare varietà genetiche più resistenti e ridurre le perdite a partire dal campo in un orizzonte di risorse sempre più scarse, laddove l’autosufficienza alimentare non è attualmente garantita. Occorre investire sulle nuove frontiere tecnologiche e fare formazione, ponendo gli imprenditori agricoli nella condizione di conoscere gli strumenti che possono rendere le loro produzioni sempre più sostenibili. Spesso, infatti, mancano le conoscenze per utilizzare al meglio quello che offre il mercato della tecnologia e dell’innovazione; in questo le organizzazioni agricole possono agire come efficaci “innovation broker”, perché sono i soggetti naturalmente più vicini alle aziende. In questa direzione va il nostro progetto “HubFarm”, che punta alla digitalizzazione del comparto, per potenziare la sostenibilità delle imprese, con l’impiego della tecnologia».

Alle sfide intrinseche del nostro tempo, si sono aggiunte quelle legate alla situazione geopolitica molto preoccupante. Il conflitto in Ucraina ha innescato una crisi energetica, aggiunta a quella delle materie prime e a quella alimentare. Quali sono le strategie di intervento di Confagricoltura per arginare le conseguenze di questa situazione?
«Lo “scenario bellico” sta devastando gli equilibri dei mercati e con un impatto senza precedenti in termini di instabilità dei prezzi, conseguente a tre fenomeni concatenati dall’effetto dirompente: prima la pandemia, per l’Italia dal 2020 al 2021; poi il rincaro dell’energia quindi dei mezzi tecnici e quindi dei prodotti agricoli. Le difficoltà nelle importazioni di gas russo hanno inciso in maniera determinante sui maggiori impegni assunti dal Paese per il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal al 2030. In tal senso, la grave emergenza energetica che da mesi sta gravando sulle nostre imprese, trova soluzione in un piano di crescita delle energie rinnovabili, a partire dalla produzione elettrica e nella sostituzione del gas naturale di importazione dalla Russia con lo sviluppo del biometano. Abbiamo bisogno, nel breve termine, di integrare e diversificare le fonti di approvvigionamento energetico, dando maggiore impulso alle produzioni da fonti rinnovabili ed in particolare alle agroenergie, un cambiamento verso cui le imprese agricole possano dare un contributo determinante. In merito alla questione alimentare, la crisi ucraina ha fatto emergere la questione già aperta dell’autosufficienza, intesa come la contingente necessità di garantire cibo per le popolazioni e stabilità per le imprese dell’intera filiera, nella prospettiva di continua crescita della popolazione mondiale e, di conseguenza, di bocche da sfamare. È fondamentale agire con lungimiranza, pianificando l’immediato e ragionando sul futuro dell’intera agricoltura italiana. Ma non solo. Serve riconsiderare le “strategie” europee prima che si traducano in obiettivi e strumenti per indirizzare preventivamente l’agricoltura dell’Unione Europea, come Confagricoltura sta chiedendo da tempo».

Il suo incarico di Direttrice generale di Confagricoltura, la prima donna dopo oltre 100 anni, è capitato in un momento estremamente delicato, anche per i motivi che abbiamo affrontato finora. In più subito dopo il Covid. Come ha vissuto l’inizio di questa avventura professionale?
«Ora vivo questo momento con grande orgoglio e senso di responsabilità, ma non posso negare che all’inizio mi abbia un po’ spaventato. Sono entrata in Confagricoltura solo tre anni fa alla direzione delle relazioni istituzionali nazionali, poi sono stata scelta come vicedirettore generale ed ora mi ritrovo alla Direzione Generale, con tutte le responsabilità che ne derivano. Storicamente il passaggio confederale da una direzione generale a quella successiva è sempre avvenuto in maniera traumatica e conflittuale. Al contrario la mia responsabilizzazione è stata graduale con un periodo di affiancamento all’ex Direttore Generale, Francesco Postorino, durato sette mesi ed in cui ho avuto modo di imparare molto, e di questo gliene sono grata. Le sfide che le nostre imprese affrontano mi hanno spinto ad impostare un nuovo modello di lavoro, in grado di valorizzare la grande storia ed eredità di Palazzo della Valle, e coniugarlo con la necessità di stare accanto alle nostre imprese».

In che modo è cambiato e sta cambiando il modo di lavorare nel Public Affair nel settore agricolo da dopo il Covid?
«Purtroppo, sebbene la situazione epidemiologica sembri in costante miglioramento, il virus continua a circolare in mutate forme e con esso, anche se in maniera minore rispetto al passato, la paura. Inevitabilmente il rischio di contagio ha influenzato le relazioni interpersonali in maniera determinante e solo ora stiamo assistendo ad una timida ripresa di quel modello relazionale fatto di sguardi, negoziati vis à vis e costante interlocuzione. Il filtro dello smart working ha inciso inevitabilmente su un simile approccio, sebbene agli agricoltori, che hanno costantemente lavorato la terra anche in piena pandemia, non servano giustificazioni e parole, ma fatti. Da quando sono entrata a fare parte di questa sorprendente e spasmodica realtà istituzionale ho compreso cosa voglia dire essere membro di un’organizzazione sindacale come Confagricoltura e, soprattutto, cosa significhi lottare affianco alle imprese agricole diffuse sul territorio, perché non si sentano mai abbandonate».

Cosa vuol dire essere una donna in un ruolo così apicale in una organizzazione come Confagricoltura? 
«Non credo che il semplice fatto di essere una donna abbia giocato un ruolo determinante in questa scelta, ma credo che la lungimiranza del Presidente Giansanti sia legata ad un forte segnale di coraggio ed innovamento. D’altro canto, nella Sede nazionale di Confagricoltura le donne ricoprono la maggioranza dei ruoli e spero pertanto che trovino in me un modello ideale da perseguire, per dire “anch’io posso farcela”. Voglio essere la guida di un team eccezionale e ricco di talento, un talento da far sbocciare con determinazione e gentilezza. Apprezzo la domanda perché il tema della parità di genere è a me particolarmente caro, ma spero che in un futuro quantomai prossimo simili domande non trovino più il bisogno di essere poste, che non si discuta di genere ma di qualità».

È soddisfatta generalmente dell’attenzione rivolta dal sistema istituzionale nei confronti del settore agricolo? Si potrebbe fare di più?
«Quando arrivai in Confagricoltura per occuparmi delle relazioni istituzionali ho potuto constatare personalmente l’incredibile possibilità di accesso e dialogo diretto con gli interlocutori istituzionali di turno, sempre attenti ai bisogni degli agricoltori; non ricordo esserci mai stata la totale assenza di un rappresentante istituzionale disimpegnato dagli interessi confederali, che di fatto sono gli interessi delle imprese agricole che rappresentiamo storicamente come organizzazione sindacale. L’attenzione e l’intermediazione dunque non mancano, ma le necessità per il settore primario – specie in questo periodo dannato dall’emergenza pandemica, dalla crisi bellica che dilaga nell’Est Europa e dall’incessante arida siccità – sono molte e contingenti, non trovando sempre una risposta immediata ai propri impellenti bisogni. L’agricoltura è un settore ampiamente soggetto all’imprevedibilità dei tempi, il compito del sistema istituzionale è quello di anticipare le criticità prevenendole o, quantomeno, arginandone gli effetti più gravi, cosa che un performante sistema irriguo nazionale avrebbe potuto fare in questo mutamento climatico anomalo».   

Un tema a lei molto caro è quello dei giovani. In che modo Confagricoltura sta puntando su di loro per il futuro del settore?
«Bisogna investire sui giovani, è cruciale per garantire il processo di innovazione cui Confagricoltura è stata costantemente orientata negli ultimi anni. Garantire ad essi la giusta formazione e valorizzarne i talenti sono aspetti fondamentali del progetto confederale, ma la mia personale strategia si basa su un elemento tanto semplice quanto essenziale: la fiducia. Nel momento in cui si concede la fiducia ad una giovane leva e gli si permette di sperimentare sotto l’ala protettrice di un supervisore senior, questa si dimostra spesso capace e determinata, ma allo stesso tempo responsabilizzata dai compiti affidati. Privare un giovane di talento e dalle molteplici potenzialità della capacità di osare quando si presenta l’occasione significa smorzarne il coraggio e l’intraprendenza, rischiando di far appassire prima del tempo quello che poteva essere un importante valore aggiunto per la realtà lavorativa in cui si trova ad operare. È proprio con quest’idea che Confagricoltura sta lentamente maturando una visione imprenditoriale strategica, che attraverso il programma “Coltiviamo i nostri talenti” darà il via ad un processo di assessment che restituirà ai propri dipendenti la scoperta o la riscoperta dei propri talenti, valorizzandoli e sviluppandoli mediante specifici corsi di formazione, premiando le eccellenze».