Food
Natale, ogni anno sugli scaffali un miliardo di tonnellate di cibo invenduto
Di Giuliana Mastri
Panettoni, cioccolatini, biscotti e snack confezionati vengono prodotti in volumi molto elevati nel periodo festivo per rispondere a una domanda che si concentra in poche settimane. Una parte significativa di questi prodotti, però, resta invenduta. Dietro l’apparente successo delle vendite natalizie si nasconde così un tema strutturale che riguarda l’intera filiera alimentare: l’invenduto rappresenta un costo reale, con conseguenze economiche e ambientali che coinvolgono produttori, distributori e retailer.
Il fenomeno ha dimensioni globali. Secondo uno studio di ECR Retail Loss, organismo internazionale di ricerca specializzato nella distribuzione e nel retail, ogni anno oltre un miliardo di tonnellate di cibo viene sprecato, generando costi stimati superiori ai 90 miliardi di euro lungo la catena del valore. Un peso che incide direttamente sulla redditività delle imprese: se i retailer riuscissero anche solo a dimezzare questi costi nascosti nei conti economici, la maggior parte potrebbe incrementare i profitti di oltre il 20 per cento.
Nel settore dolciario la pressione è ancora più evidente. La forte concentrazione produttiva del mese di dicembre fa sì che prodotti perfettamente idonei al consumo rimangano invenduti, generando costi aggiuntivi legati a sconti, redistribuzione, smaltimento e logistica. L’impatto può arrivare fino all’1,8 per cento del fatturato, a cui si sommano immobilizzazioni di capitale, inefficienze operative e un rilevante costo ambientale, dovuto al consumo di risorse, alle emissioni e alla gestione dei rifiuti.
In questo contesto, la gestione delle eccedenze non può più essere considerata un tema marginale, ma diventa una leva strategica per la competitività delle aziende della filiera alimentare. Sempre più operatori stanno infatti adottando modelli industriali strutturati, pensati per affrontare il problema in modo continuativo e non emergenziale. In questa direzione si colloca anche Regardia, realtà di riferimento in Italia nella circular economy, che opera nel recupero degli ex-prodotti alimentari trasformandoli in risorse utili attraverso processi industriali dedicati.
Grazie a questo approccio, ogni anno vengono mediamente preservate oltre 165.000 tonnellate di surplus alimentare e di concentrato solubile di frumento all’interno della filiera dei mangimi, evitando lo spreco di risorse ancora valorizzabili. Le eccedenze, anziché essere destinate allo smaltimento, vengono selezionate, trattate e reintrodotte nel ciclo produttivo come materie prime per la mangimistica o come matrici per la produzione di bioenergie. In questo modo si riduce il ricorso a risorse vergini e si alleggeriscono i costi logistici e ambientali legati all’invenduto. Un modello che consente alle aziende di limitare le perdite economiche connesse allo stock fermo e di trasformare un problema operativo in una variabile gestibile e misurabile.
«Oggi il vero tema non è più se gestire l’invenduto, ma come farlo in modo strategico», spiega Paolo Fabbricatore, Group CEO di Regardia. «Ogni prodotto fermo in magazzino rappresenta un costo finanziario, un rischio operativo e una perdita di valore. Approcci strutturati permettono di ribaltare questa logica: trasformare l’eccedenza in opportunità concreta genera benefici economici e ambientali lungo tutta la filiera. Ridurre gli sprechi significa intervenire direttamente sui margini, sull’efficienza operativa e sulla solidità del business».
La rilevanza del tema emerge ancora più chiaramente se si guarda alle dimensioni del mercato dolciario globale. Secondo il report Confectionery Worldwide 2025 di Statista, il comparto genera un fatturato annuo di 531 miliardi di euro. I prodotti da forno e di pasticceria rappresentano la principale categoria, seguiti da cioccolato, dolciumi e gelati. L’Europa occidentale concentra circa un terzo del mercato mondiale, davanti al Nord America e all’area Asia-Pacifico. In un settore di questa scala, anche piccole percentuali di eccedenze producono effetti economici rilevanti, amplificandosi lungo tutta la filiera.
Il divario tra il valore complessivo del mercato e i costi nascosti legati all’invenduto rende evidente come la gestione delle eccedenze sia un elemento strutturale dell’equilibrio del settore. Per questo, sempre più aziende stanno adottando strategie integrate che puntano a recuperare valore dall’invenduto, trasformando eccedenze che un tempo erano solo un costo in opportunità concrete. La gestione intelligente dello stock non riguarda più soltanto la riduzione dello spreco, ma evolve in modelli che combinano efficienza operativa, sostenibilità e innovazione, rafforzando nel tempo la competitività e la resilienza dell’intera filiera alimentare.





