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Atreju, la destra si prende la scena tra ritorni eccellenti e vuoti politici
Di Ilaria Donatio
A Roma è tornata Atreju, la festa della destra italiana. Una kermesse che negli anni si è trasformata da evento giovanile in luogo politico identitario, e oggi somiglia sempre più a una sorta di “terza camera” del dibattito nazionale. Quest’anno si svolge dal 6 al 14 dicembre, nei giardini di Castel Sant’Angelo, trasformati in un villaggio natalizio dove mercatino, prodotti tipici e una pista di pattinaggio convivono con temi enormi come premierato, giustizia, sicurezza e politica estera.
La destra governa e Atreju, inevitabilmente, lo racconta. Lo fa con un programma che è un esercizio di muscolarità politica: ottantuno dibattiti, oltre quattrocento ospiti, ministri, economisti, giornalisti, creativi, accademici. Un palinsesto così ricco da sembrare pensato per ricordare a tutti chi, oggi, è al centro della scena.
Eppure, nel cuore dell’evento più identitario di Fratelli d’Italia, a tenere banco è soprattutto la sedia vuota della leader del Partito Democratico. Il “caso Schlein” è diventato quasi un capitolo del programma, anche se non compare sul sito. L’invito al confronto diretto con Giorgia Meloni era il colpo politico annunciato della vigilia. Il passo indietro finale di Schlein è diventato altro: non una scelta tattica, ma un’occasione offerta all’avversario per trasformare la sua assenza nella presenza più chiacchierata. Tra cartelli ironici e battute dal palco – il tormentone «Elly, chi l’ha vista?» ha fatto il giro del villaggio – l’assenza della segretaria dem è stata rapidamente incorporata nella narrazione della kermesse.
Quest’edizione porta un titolo che è tutto fuorché ornamentale: «Sei diventata forte – L’Italia a testa alta». È il claim scelto da Fratelli d’Italia per raccontare la propria fase di governo ed è la bussola narrativa dell’intera manifestazione. Non è uno slogan festoso, ma una dichiarazione di identità: la destra vuole presentarsi come forza adulta, compiuta, capace di proiettare all’esterno un Paese che rivendica solidità e prestigio. Atreju, quest’anno, è costruita per trasmettere esattamente questo messaggio.
Sul palco sono attesi, secondo il programma, Giuseppe Conte, Matteo Renzi, Carlo Calenda e Angelo Bonelli. Conte, con la consueta abilità nel ribaltare i ruoli, ha ricordato che quando fu lui a chiedere un faccia a faccia con Meloni, gli fu risposto di no. Adesso, affida tutto alla scelta altrui: «Decidano loro se cambiare format». Risultato: Conte appare disponibile al confronto, Schlein no. Atreju ringrazia.
Ma non è solo questo. Un ritorno che colpisce è quello di Gianfranco Fini. L’ex leader di Alleanza nazionale, figura che per anni era diventata quasi un fantasma della politica italiana, è riapparso proprio qui, accanto a Francesco Rutelli, in una scena che ha un valore simbolico notevole. Il Foglio l’ha descritta così: «Sentirsi di nuovo a casa». Non è un dettaglio: la presenza di Fini parla a un pezzo di memoria collettiva della destra, indica una ricomposizione sottotraccia, una genealogia politica che Meloni – piaccia o no – sta provando a riordinare. Atreju, in questa edizione, sembra servire anche a questo: non solo celebrare il governo, ma rimettere in fila le storie che l’hanno preceduto.
Accanto ai ritorni politici, Atreju ha portato sul palco anche una voce destinata a lasciare il segno, quella di Rom Braslavcki, tenuto prigioniero da Hamas per due anni. La sua testimonianza – asciutta, durissima, senza concessioni retoriche – ha avuto un impatto molto forte sul pubblico. Ed è stato uno di quei momenti attraverso cui Atreju è riuscita a costruire un immaginario politico: un racconto che intreccia identità nazionale, collocazione internazionale e la convinzione, più volte ribadita da Giorgia Meloni, che l’Italia debba stare «dalla parte giusta della storia». Una scelta che rafforza la postura del governo sulla crisi mediorientale e parla direttamente alla sensibilità del suo elettorato.
È evidente che la destra si sente a proprio agio. Lo si percepisce fin dalle parole scelte per il titolo della manifestazione: è qui che FdI testa la propria visione del presente e, soprattutto, del futuro.





