Economia

Auto cinesi, ora piacciono anche al mercato italiano

09
Dicembre 2025
Di Lorenzo Berna

L’ingresso dell’automotive cinese in Europa, e in particolare in Italia, è avvenuto con una rapidità sorprendente. Dopo anni in cui i costruttori cinesi apparivano come presenze marginali e qualitativamente poco competitive, la loro avanzata si è consolidata in meno di due anni. Nella prima metà del 2025 le auto con passaporto cinese hanno raggiunto circa il 9% della domanda europea, includendo il marchio MG, mentre in Italia la quota ha toccato il 5,5%. Se però si considerano anche i modelli «italovestiti» da DR e i brand europei controllati da gruppi cinesi, la quota del cosiddetto «mondo Cina» supera ormai il 10%.

Questa presenza non è frutto di un’espansione lineare, ma di una strategia composita, definibile come un moderno cavallo di Troia. Geely ha aperto la strada con acquisizioni mirate in Europa: Volvo, Lotus, Smart e la creazione dei marchi Polestar e Lynk & Co. Parallelamente Chery ha alimentato l’offerta dei modelli assemblati e personalizzati in Italia dal gruppo DR. Il risultato è un panorama in cui 24 marchi presenti nel nostro Paese – tra cinesi puri, eurocinesi e italocinesi – rappresentano solo la porzione visibile di un universo molto più vasto. Globalmente i marchi legati al gigantesco ecosistema industriale cinese superano quota 120, considerando anche i produttori di veicoli commerciali.

Secondo le previsioni degli analisti, questo universo è destinato a forte consolidamento: AlixPartners ipotizza che entro il 2030 possano sopravvivere non più di una ventina di costruttori. La selezione industriale renderà i gruppi rimanenti ancora più potenti, grazie allo sfruttamento delle economie di scala e alla verticalizzazione della filiera. Quest’ultima è un elemento cruciale: la Cina controlla l’intero ecosistema delle auto elettriche, dalle materie prime alle batterie, e destina ingenti risorse alla ricerca software e alla digitalizzazione del veicolo.

Il salto tecnologico non è stato improvvisato. Le sue radici risalgono agli anni Ottanta, quando figure come Wan Gang – ingegnere formatosi in Germania e rientrato in patria alla fine degli anni Novanta – spinsero il governo cinese a puntare sulla mobilità elettrica. L’adozione di questa strategia è stata resa possibile da un modello politico capace di mantenere continuità e pianificazione, convogliando investimenti pubblici in ricerca, materie prime e capacity produttiva. Il risultato è un’industria che, forte dei quasi 23 milioni di immatricolazioni interne nel 2024, più del doppio del mercato UE, è arrivata pronta per conquistare l’estero, trovando in Europa un terreno fragile e privo di una strategia comune.

In Italia, al 2024, le «cinesi pure» circolanti erano ancora poche – circa 14.600 vetture – ma la crescita è fortissima: nei primi dieci mesi del 2025 le immatricolazioni del mondo Cina sono salite del 43%, contro un mercato generale in calo del 2,7%. La loro quota è passata dal 6,1% all’8,9%, superando più volte il 10% tra luglio e ottobre. A trainare l’ascesa sono quattro marchi: MG (37,4% del totale cinese), BYD (14,5%), DR (12,6%) e Volvo (10,2%).

Dal punto di vista dell’offerta, i listini cinesi sono più compatti: circa quattro allestimenti per modello, che scendono a 2,3 per le cinesi pure, contro una media di mercato di 10,5. Questo rende la produzione più snella e riduce i costi. Contro un diffuso luogo comune, inoltre, i modelli non sono né «entry level» né di piccola taglia: otto su dieci appartengono ai segmenti C e D. Quanto alle motorizzazioni, la componente elettrica è forte ma non esclusiva: nel mondo Cina un modello su quattro ha una versione a batteria, che diventano oltre un terzo tra le cinesi pure; includendo le plug-in, la quota sale al 41% e al 57% rispettivamente. Al contrario, l’offerta italocinese resta largamente ancorata a benzina e Gpl, preferenza coerente con l’orientamento del mercato italiano.

I vantaggi di prezzo rimangono evidenti: il made in China costa meno della media e presenta una maggiore stabilità dei listini. Dove invece i marchi cinesi soffrono è nel valore residuo: a 12 mesi il prezzo dell’usato è mediamente più basso e il divario con la media di mercato è aumentato nell’ultimo anno. Quanto all’assistenza, le reti sono in espansione ma non ancora omogenee; tuttavia, quasi tutti i brand dispongono di hub ricambi in Italia e offrono garanzie più lunghe rispetto ai costruttori europei, spesso cinque anni, e fino a sette per Jaecoo, MG e Omoda.