Economia
IA, i modelli open cinesi conquisteranno la Silicon Valley?
Di Lorenzo Berna
Misha Laskin, fisico teorico e ingegnere del machine learning che ha contribuito ad alcuni dei modelli più potenti di Google, all’inizio di quest’anno ha guardato al panorama dell’intelligenza artificiale americana con crescente inquietudine.
Osservava un fenomeno chiaro: un numero sempre maggiore di aziende statunitensi iniziava ad abbracciare modelli di IA gratuiti, personalizzabili e sempre più potenti, i cosiddetti modelli «open». Ma a guidare questa ondata non erano i colossi della West Coast: la maggior parte di questi sistemi veniva sviluppata in Cina e stava rapidamente riducendo il distacco rispetto ai concorrenti americani.
«Questi modelli non erano così distanti dalla frontiera. Anzi, erano sorprendentemente vicini alla frontiera. Quelli che stanno arrivando ora», osserva Laskin, fermandosi un istante, «sono palpabilmente vicini alla frontiera».
Da questa consapevolezza è nata Reflection AI, la startup fondata da Laskin e recentemente valutata 8 miliardi di dollari, con l’obiettivo esplicito di offrire un’alternativa open source americana ai modelli cinesi sempre più capaci che hanno trovato spazio nella Silicon Valley. «Si cominciano a intravedere segnali di aziende di modelli open che in Cina stanno effettivamente spingendo la frontiera dell’intelligenza e, in generale, la frontiera dell’intelligenza tout court», avverte.
Negli ultimi dodici mesi una quota crescente delle startup più promettenti dell’IA statunitense ha iniziato a costruire i propri prodotti su modelli cinesi aperti, che in molti casi competono, e talvolta sostituiscono, i costosi sistemi americani come infrastruttura di base. Fondatori, ingegneri, esperti del settore e investitori sentiti da NBC raccontano un quadro coerente: i modelli sviluppati dalle big tech statunitensi continuano a dettare il ritmo ai massimi livelli di capacità, ma molte soluzioni cinesi sono più economiche da usare, più personalizzabili e ormai «abbastanza buone» per una vasta gamma di impieghi.
Questa dinamica solleva un interrogativo strategico per l’industria americana dell’IA. Gli investitori hanno puntato decine di miliardi su realtà come OpenAI e Anthropic, scommettendo che i campioni statunitensi dell’intelligenza artificiale avrebbero dominato il mercato globale. L’adozione crescente di modelli cinesi gratuiti da parte di aziende americane mette però in discussione quanto siano davvero eccezionali questi sistemi chiusi e se la scelta di puntare tutto sui modelli proprietari non sia, almeno in parte, un azzardo.
Michael Fine, responsabile del machine learning di Exa, società di ricerca basata sull’IA valutata 700 milioni di dollari e sostenuta da investitori di primo piano come Lightspeed Venture Partners e Nvidia, racconta che eseguire modelli cinesi sull’infrastruttura proprietaria dell’azienda si è rivelato spesso molto più rapido e meno costoso rispetto all’uso di sistemi più grandi, come GPT-5 di OpenAI o Gemini di Google. «Quello che succede spesso è che riusciamo a far funzionare una nuova funzione con un modello chiuso, ma ci accorgiamo che è troppo costosa o troppo lenta, e allora ci chiediamo: quali leve abbiamo per renderla più veloce ed economica?» spiega. «Di solito questo significa sostituire il modello chiuso con l’equivalente open e farlo girare sulla nostra infrastruttura».
Modelli come R1 di DeepSeek o Qwen di Alibaba sono gratuiti e considerati «open source» o «open weight» perché chiunque può scaricarli, copiarli, modificarli ed eseguirli. Si collocano all’opposto di sistemi come Claude di Anthropic o i modelli più diffusi di OpenAI, che restano chiusi e sono accessibili solo tramite i data center e le pipeline controllate dai grandi gruppi tecnologici.
Per anni i modelli chiusi americani hanno sovrastato sia i concorrenti open statunitensi sia quelli cinesi. Persino progetti interni ben finanziati hanno faticato a reggere il confronto: Bloomberg, ad esempio, ha tentato di sviluppare uno strumento proprietario, BloombergGPT, addestrato su un’enorme mole di notizie e documenti finanziari, ma il risultato è rimasto indietro rispetto ai modelli chiusi di OpenAI in termini di conoscenza specialistica.
Nell’ultimo anno, però, aziende cinesi come DeepSeek e Alibaba hanno compiuto salti tecnologici significativi. Secondo le metriche raccolte da società indipendenti di benchmarking come Artificial Analysis, i loro prodotti open source si avvicinano molto, e in alcuni domini eguagliano, le prestazioni dei principali modelli chiusi americani. «Il divario si sta davvero riducendo», osserva Lin Qiao, CEO di Fireworks AI e co-creatrice di PyTorch, il framework di riferimento per l’addestramento dei modelli.
L’effetto di questa corsa si vede anche nelle piattaforme che consentono agli utenti di selezionare quale modello impiegare. Servizi come OpenRouter registrano una crescente preferenza per i modelli open cinesi. Jerry Liu, fondatore di Dayflow, un’app di produttività, stima che oggi circa il 40% degli utenti scelga modelli open source. Dayflow ruota attorno a pochi compiti chiave, come la scansione degli screenshot e il riassunto delle attività dell’utente, e offre la possibilità di utilizzare sia Gemini di Google sia modelli più piccoli e aperti come Qwen. Per attività come la descrizione dello schermo dell’utente, spiega Liu, Qwen è «notevolmente affidabile»: «Qwen è buono quanto GPT-5 per il mio caso d’uso», sostiene.
La differenza, però, si vede sui costi: versioni ridotte di Qwen possono essere eseguite a costi molto bassi o nulli, mentre l’uso di modelli chiusi può arrivare a costare a Dayflow fino a mille dollari per utente. Per la sostenibilità economica del servizio, i modelli open diventano quindi cruciali. Non è solo una questione di prezzo: i modelli open di Dayflow elaborano i dati direttamente sul computer dell’utente, senza inviare informazioni al cloud. Un vantaggio decisivo per chi è sensibile alla privacy. «Userei un prodotto che spedisce tutto il mio schermo al cloud di qualche tizio a caso? Assolutamente no», sintetizza Liu.
Oltre a prestazioni, privacy e costo, i modelli open guadagnano terreno anche grazie all’ecosistema che li circonda. Più gli sviluppatori li adottano, più crescono guide, librerie, esempi e comunità, e questo a sua volta abbassa la soglia di ingresso per altri sviluppatori. Antonio Vespoli, co-fondatore della startup Circlemind AI, che lavora su agenti basati sul browser, nota che oggi le risorse tecniche online sono dominate da modelli cinesi come Qwen, su cui – ha spiegato il CEO Brian Chesky – anche Airbnb fa grande affidamento.
Per Charles Zedlewski, chief product officer della società di infrastrutture Together AI, per molti team oggi è più semplice partire da un modello open e adattarlo con i propri dati, aggiungendo competenze o conoscenze specifiche che non si trovano in nessun sistema «off-the-shelf». E man mano che le aziende portano sul mercato le prime applicazioni di IA, acquisiscono una percezione sempre più precisa di ciò che serve davvero. Non a caso, su Kilo Code, una popolare app che aiuta a scrivere software con l’IA, tra i 20 modelli più usati ben sette sono cinesi, e sei di questi sono open source.
La corsa cinese all’open source, però, non è solo una strategia di mercato. A differenza degli Stati Uniti, dove gran parte dello sviluppo dell’IA è guidato dal settore privato e dai campioni del modello chiuso, in Cina lo Stato gioca un ruolo diretto nella definizione della traiettoria tecnologica. In un discorso economico del 1° novembre, il presidente Xi Jinping ha invocato una maggiore «cooperazione sulle tecnologie open source», e a marzo la massima autorità di pianificazione economica ha indicato chiaramente l’intenzione di sostenere un ecosistema di modelli aperti. I laboratori cinesi tendono così a rilasciare i propri sistemi in modo aperto, mentre i gruppi americani come OpenAI, forti del successo iniziale ottenuto con i modelli chiusi, hanno proseguito su quella strada.
Anche il ritmo dei rilasci contribuisce a spostare gli equilibri. Quest’anno Alibaba ha presentato un nuovo modello in media ogni 20 giorni, contro un intervallo medio di 47 giorni tra un’uscita e l’altra per Anthropic. Secondo Nathan Lambert, ricercatore senior dell’Allen Institute for AI ed esperto dell’ecosistema open, non si tratta di un fuoco di paglia: «I cinesi sono veri innovatori nell’IA», afferma, sottolineando come «l’equilibrio di potere si sia spostato rapidamente negli ultimi 12 mesi».
Dalla Silicon Valley, però, in molti ricordano che i modelli americani conservano un vantaggio significativo sulla frontiera delle capacità e che per molte aziende i sistemi chiusi restano più comodi e maturi dal punto di vista operativo. Tim Tully, partner della società di venture capital Menlo Ventures, sostiene che i modelli chiusi siano ancora «significativamente più capaci e spesso più utili»: secondo lui gli strumenti, i flussi di lavoro e i framework agentici costruiti attorno a realtà come Anthropic e OpenAI «funzionano meglio» e offrono un ecosistema più solido. Menlo Ventures è tra gli investitori di Anthropic.
C’è poi il tema del rischio percepito nell’utilizzo di tecnologie cinesi, soprattutto in ambito enterprise e nella pubblica amministrazione. «C’è un rischio percepito per cui gli acquirenti sono restii a scegliere un prodotto basato su un modello open-weight cinese, sia nel settore privato, sia in quello pubblico», riconosce Tully. A fine settembre, il neonato U.S. Center for AI Standards and Innovation ha pubblicato un rapporto che mette in guardia sui modelli di DeepSeek, individuando protocolli di sicurezza indeboliti e una maggiore propensione a generare contenuti favorevoli alla Cina rispetto ai modelli chiusi americani. In un recente memo, la Casa Bianca ha inoltre accusato Alibaba, sviluppatrice di Qwen, di sostenere l’apparato militare cinese, introducendo un ulteriore filtro politico all’adozione di questi sistemi. Il gruppo ha respinto le accuse al Financial Times definendole «assurdità totali» e «un tentativo palese di manipolare l’opinione pubblica e diffamare Alibaba».
Un altro fronte di frizione riguarda la proprietà intellettuale. Diversi osservatori ritengono che alcuni modelli cinesi lanciati nell’ultimo anno abbiano attinto pesantemente al lavoro di base svolto dalle aziende americane. Nel caso di DeepSeek, il ritmo di avanzamento ha alimentato il sospetto che gran parte del «lavoro duro» sul fronte delle fondamenta dei modelli sia stato copiato da realtà come OpenAI e Anthropic. Questo ha generato dubbi sul fatto che i modelli open cinesi possano davvero agganciare, e magari superare, le prestazioni dei sistemi chiusi americani, o se rimarranno piuttosto dei «fast follower» altamente capaci ma dipendenti dalla ricerca statunitense. Nel frattempo, anche le aziende cinesi non rinunciano alla logica proprietaria: lo scorso ottobre Alibaba ha rilasciato solo in versione chiusa il modello più grande della nuova famiglia Qwen, rinunciando a una variante open.
Di fronte all’avanzata di Pechino sull’open source, Washington e l’industria tech americana hanno iniziato a reagire. Alcuni esperti hanno definito l’assenza di modelli open potenti negli Stati Uniti una minaccia «esistenziale» per la democrazia. La serie Llama di Meta ha rappresentato finora lo sforzo più visibile sul fronte open, ma il CEO Mark Zuckerberg ha già lasciato intendere che non tutti i futuri sistemi di «superintelligenza» saranno rilasciati in forma aperta, e le prestazioni degli ultimi modelli Llama sono apparse meno dinamiche rispetto ai concorrenti cinesi, spingendo molti utenti open a migrare verso DeepSeek, Qwen e altri.
Qualcosa, però, si muove. A luglio la Casa Bianca ha presentato un AI Action Plan che invita il governo federale a «promuovere l’IA open-source e open-weight». Ad agosto OpenAI ha pubblicato il suo primo modello open in cinque anni, sottolineando che «un ampio accesso a questi modelli open-weight capaci, creati negli Stati Uniti, aiuta a espandere un’IA democratica». A fine novembre l’Allen Institute, con sede a Seattle, ha lanciato il nuovo modello open Olmo 3, progettato per permettere agli utenti di «costruire rapidamente funzionalità affidabili, sia per la ricerca, sia per l’educazione o per applicazioni pratiche».
Lo stesso Lambert ha promosso l’ATOM Project, acronimo di «American Truly Open Models», il cui manifesto sostiene che «l’America ha perso la leadership nei modelli open – sia in termini di prestazioni sia di adozione – ed è sulla strada per cadere ancora più indietro». In un messaggio a NBC, sintetizza così la posta in gioco: «Se vogliamo essere la nazione preminente nell’era dell’IA, non possiamo cedere un pezzo così critico dell’ecosistema a nessun altro Paese».





