Esteri

Cavo Dragone al Financial Times: la Nato valuta mosse “più aggressive” contro la guerra ibrida russa

03
Dicembre 2025
Di Giampiero Cinelli

L’intervista di Giuseppe Cavo Dragone – ammiraglio e presidente del comitato Nato – al Financial Times, ripresa da numerosi media internazionali, apre uno squarcio su un possibile cambio di postura della Nato di fronte alla crescente pressione della Russia nello spazio cibernetico e nelle attività sotto-soglia. Dai resoconti dei quotidiani che hanno potuto consultare il colloquio con il FT emerge un’alleanza che non esclude, almeno in discussione preliminare, strumenti più incisivi rispetto alla tradizionale logica della risposta a posteriori.

Secondo quanto riferito da testate anglosassoni come Reuters, Kyiv Independent e altri quotidiani europei, Cavo Dragone avrebbe osservato che la Nato resta ancora troppo ancorata a una logica «reattiva» nel dominio cyber. «We are studying everything… On cyber, we are kind of reactive», avrebbe detto al FT. Da qui la riflessione sul possibile cambio di passo: «Being more aggressive or being proactive instead of reactive is something that we are thinking about». Una posizione che non prefigura decisioni già prese, ma indica che l’Alleanza sta ragionando su scenari finora mai formalizzati.

Il passaggio più delicato riguarda la soglia che separa la difesa classica da ciò che Dragone definisce un’azione preventiva. «A pre-emptive strike could be considered a defensive action», avrebbe spiegato, lasciando intendere che, in un contesto di minacce ibride ripetute e difficili da attribuire con certezza, prevenire potrebbe rientrare nel perimetro della difesa collettiva. L’ammiraglio, tuttavia, sottolinea che questa possibilità resta «further away from our normal way of thinking and behavior», una precisazione che molti media interpretano come la consapevolezza della sensibilità politica e giuridica del tema.

Nel colloquio con il FT Dragone avrebbe anche richiamato i limiti con cui la Nato si confronta rispetto ai suoi avversari. La Russia, secondo l’ammiraglio, dispone di «molti meno vincoli» rispetto all’Alleanza, che invece si muove dentro una cornice definita da criteri etici, giuridici e di giurisdizione nazionale. Una differenza che, nelle sue parole, rende spesso difficile mantenere la simmetria nella risposta ai sabotaggi e agli attacchi ibridi attribuiti a Mosca.

Sul piano operativo, Dragone ha portato l’esempio della missione Baltic Sentry, spiegando che da quando le navi Nato pattugliano con continuità le dorsali sottomarine del Baltico non si sono registrati nuovi episodi di sabotaggio ai cavi. È un passaggio letto da diversi analisti come la dimostrazione che una presenza proattiva, pur non essendo offensiva, può ridurre gli spazi per azioni ostili.

L’intervista ha provocato una reazione immediata da parte russa. La portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha definito le frasi attribuite a Dragone «irresponsabili» e «escalatorie», sostenendo che evocare la possibilità di un attacco preventivo complicherebbe il quadro della sicurezza europea e, a suo dire, rivelerebbe l’intenzione della Nato di «alzare il livello dello scontro». Nel frattempo, nel mondo diplomatico occidentale, alcuni osservatori sottolineano come le parole dell’ammiraglio riflettano tensioni già presenti dentro l’Alleanza, divisa tra i Paesi che temono una crescente aggressività russa e quelli più cauti nel modificare gli equilibri della deterrenza.

Nessuna decisione, dunque, ma un dibattito che si fa più nitido. L’intervista al Financial Times mostra una Nato che valuta come adattare la propria dottrina difensiva a un contesto in cui la linea fra guerra e pace si è fatta labile, fatta di cavi, server, droni e interferenze invisibili. Dragone non annuncia svolte, ma indica una domanda che l’Alleanza non può più eludere: fino a che punto la difesa può restare puramente reattiva in un mondo in cui il danno, spesso, arriva prima ancora che l’attacco sia riconosciuto?

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