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Atreju sì, Atreju no. Duello a tre: Meloni, Schlein, Conte. Il dibattito si riaccende
Di Redazione
È bastato un invito ad Atreju per riaccendere una dinamicDuello a trea che in Italia sembrava finita nei cassetti polverosi della “prima repubblica televisiva”: il confronto diretto tra leader politici.
A lanciare l’idea è stato il deputato di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli, che ha invitato Elly Schlein alla tradizionale kermesse della destra. Un gesto scontato vista la lunga tradizione di inviti alla manifestazione identitaria della destra, ma che ha immediatamente innescato la richiesta di un faccia a faccia con la premier Giorgia Meloni, proprio sul palco dell’evento.
A quel punto, la replica della Presidente del Consiglio non si è fatta attendere: “Accetto, ma invitiamo anche Giuseppe Conte, così finalmente capiamo chi guida davvero il centrosinistra”.
Una risposta che ha avuto il merito – o la furbizia – di mettere il dito nella piaga: quella della leadership opaca dell’opposizione. Una coalizione in cerca d’autore, divisa tra chi comanda nelle urne (il PD) e chi detta l’agenda (il M5S).
Il dibattito è diventato rapidamente un caso politico. Da un lato chi ha letto nell’apertura di Meloni un’astuta manovra per spostare l’attenzione dai temi più scivolosi della manovra di bilancio. Dall’altro, chi ha esaltato il gesto come segno di trasparenza e disponibilità al confronto.
Ma, al netto delle schermaglie, resta una questione più profonda: in Italia ci siamo completamente disabituati al confronto pubblico tra leader.
L’ultimo vero dibattito tra candidati alla Presidenza del Consiglio risale al 2006, tra Silvio Berlusconi e Romano Prodi.
Lo ricordiamo ancora per la frase cult sull’abolizione dell’ICI (“àboliremo l’ICI”, pronunciato con l’accento sulla prima “a” e con la sottolineatura “avete capito bene”) ma anche perché da allora non ce ne sono stati altri degni di nota.
Un’eternità politica e culturale: è passato talmente tanto tempo che coincide esattamente con l’ultima volta in cui l’Italia ha superato la fase a gironi di un Mondiale di calcio, Germania 2006, per poi vincerlo.
Fa sorridere, quindi, che da un lato si invochino confronti pubblici tra leader, quasi fossero il cuore pulsante della democrazia, e dall’altro si gridi allo scandalo di fronte a riforme istituzionali – come quella del cosiddetto “Premierato” – che avrebbero proprio l’effetto di cristallizzare la leaderizzazione del sistema politico. Con un’elezione diretta del capo del Governo, il dibattito tra candidati diventerebbe non solo auspicabile, ma inevitabile.
Per adesso, però, ci si limita a evocarlo. Schlein accetterà l’invito? Conte si unirà alla tavolata? Meloni salirà davvero sul palco da leader di governo per confrontarsi con i suoi avversari?
Al di là dell’Atreju-show, la sensazione è che, una volta passata l’onda mediatica, tutto tornerà com’era. Con una politica che parla molto di dialogo, ma che di faccia a faccia veri non ne vuole sapere, tendenza peraltro in espansione anche all’estero.
Il tutto di fronte ad un elettorato sempre meno coinvolto, che si accontenta di auto-alimentare le proprie convinzioni nelle bolle social, attendendo che cambi qualcosa o che, perlomeno, l’Italia un Mondiale torni almeno a giocarlo.





