Economia

L’Europa senza un mercato assicurativo unico non sarà mai una potenza

21
Novembre 2025
Di Gianni Pittella

L’Unione Europea ripete da tempo che vuole diventare una potenza industriale e finanziaria globale, capace di competere senza complessi con Stati Uniti e Cina. Ma perché questa ambizione diventi realtà non bastano la transizione verde, la transizione digitale o l’autonomia strategica: servono infrastrutture finanziarie comuni. E uno dei pilastri più decisivi, ma più sottovalutati del grande dibattito europeo, resta il settore assicurativo. Le assicurazioni non sono un comparto economico come un altro: sono la cerniera tra risparmio privato e investimenti di lungo periodo, tra stabilità sociale e competitività industriale, tra protezione dei cittadini e sostegno alle imprese nelle fasi di crisi. Dove non arrivano gli Stati, arrivano le assicurazioni; dove il sistema bancario non può spingersi, spesso sono loro a garantire la continuità dell’economia reale.

Ho avuto il piacere di partecipare ad un interessante dibattito al Parlamento Europeo e questo punto è emerso con forza nelle riflessioni durante la recente iniziativa che ha visto protagonisti vertici istituzionali e UNIPOL, colosso del settore assicurativo italiano ed europeo. Organizzato dalle vicepresidenti del Parlamento europeo Antonella Sberna e Pina Picierno, insieme al Presidente di Unipol Carlo Cimbri e all’Amministratore Delegato Matteo Laterza, con numerosi interventi di deputati e funzionari europei. Un confronto, aperto da un videomessaggio del Vice Presidente esecutivo della Commissione Europea Raffaele Fitto, che ha messo a nudo un’evidenza ormai incontestabile: non esiste un’Europa competitiva senza un mercato europeo delle assicurazioni e non esiste un mercato europeo delle assicurazioni senza un vero mercato dei capitali.

Il nodo non è solo tecnico ma politico. Alla base di una Capital Markets Union compiuta c’è inevitabilmente il debito comune europeo. Se non diventerà strutturale, i grandi investitori istituzionali continueranno a preferire strumenti extra-UE per ragioni di liquidità e profondità dei mercati; le assicurazioni rimarranno imbrigliate nella frammentazione normativa; l’Europa continuerà a finanziare la crescita altrui anziché la propria. Pensare a una strategia industriale europea senza un debito comune significa costruire una casa partendo dal tetto.

Un settore assicurativo forte è un’infrastruttura fondamentale per l’Europa: consente investimenti decennali in energia e digitale, sostiene la sicurezza sociale in una popolazione che invecchia, mitiga l’impatto economico di crisi climatiche e geopolitiche, rafforza la capacità di assorbire shock senza ricorrere a interventi emergenziali degli Stati. Se le assicurazioni sono solide, lo è la società; se possono investire, può crescere l’economia; se sono integrate, lo è l’Unione.

Restano però tabù che frenano la competitività europea. Il primo riguarda la possibilità – oggi più teorica che effettiva – di aggregazioni transnazionali tra gruppi assicurativi di Paesi diversi. La frammentazione regolatoria continua a rendere sconveniente ciò che, se fossimo davvero un mercato unico, sarebbe naturale: operare ovunque in Europa con le stesse regole e perseguire dimensioni globali. L’Europa chiede ai suoi campioni industriali di competere con player americani e asiatici, ma impedisce che nascano player europei di pari dimensione. È un paradosso che non può più essere eluso.

In questo scenario, l’Italia può avere un ruolo determinante a livello europeo. Non per rivendicare eccezioni o privilegi, ma per contribuire alla costruzione di un’architettura finanziaria comune capace di rafforzare l’interesse collettivo europeo in piena coerenza con le riflessioni strategiche contenute nel recente rapporto di Enrico Letta sul Mercato Unico e con la visione di Mario Draghi sulla competitività continentale. Per incidere davvero però l’Italia deve muoversi come sistema Paese: istituzioni, imprese, diplomazia e industria che parlano con una sola voce, come accaduto simbolicamente nel dibattito europeo che ha visto protagonisti Sberna, Picierno, Fitto, Cimbri e Laterza, rappresentando un’Italia che discute di Europa non da spettatrice, ma da co-autrice dell’agenda economica e finanziaria.

L’Europa è davanti a un bivio: limitarsi a gestire il presente, o preparare il futuro. Se vuole scegliere la seconda strada, dovrà dotarsi di una politica finanziaria comune, di un debito comune permanente, di un settore assicurativo finalmente integrato e libero di investire e aggregarsi su scala continentale. Perché la forza dei mercati dei capitali non si annuncia: si costruisce. E senza un sistema assicurativo europeo competitivo, profondo e interconnesso, l’Europa resterà una promessa di potenza più che una potenza compiuta.