Innovazione

Intelligenza artificiale, la sfida italiana passa da dati, fiducia e formazione. Parla Marco Valentini

20
Novembre 2025
Di Cesare Giraldi

(Articolo pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)
Pioniera nel campo dell’intelligenza artificiale fin dagli anni Ottanta, Engineering è oggi tra i principali attori italiani dell’innovazione digitale. Il gruppo ha sviluppato ENGGPT, un proprio modello linguistico basato sulla lingua italiana, e partecipa attivamente ai tavoli internazionali sull’AI, dal G7 del 2024 al Piano Mattei per l’Africa. Per Marco Valentini, Group Director Public Affairs, la sfida non è solo tecnologica ma culturale: «Siamo all’inizio di una nuova rivoluzione industriale, ma la direzione dipenderà dalla nostra capacità di re-immaginare il futuro».

Intelligenza artificiale: qual è la posizione di una realtà come Engineering?
«Engineering è un’azienda italiana che ha scelto di mettere l’intelligenza artificiale al centro della propria strategia — AI First — diventando partner di riferimento per istituzioni e imprese di tutti i settori. Nata nel 1980, ha aperto il suo primo ufficio dedicato all’AI già nel 1987. Siamo stati l’unica azienda invitata al G7 sull’intelligenza artificiale nel 2024 e i primi firmatari degli accordi Italia-Africa all’interno dell’AI Hub del Piano Mattei. La creazione di ENGGPT, il nostro large language model proprietario, è un passo concreto verso un’intelligenza artificiale a misura di Paese, basata sulla nostra lingua e cultura. Ma la tecnologia da sola non basta: servono tre condizioni fondamentali. La prima è mettere ordine nei dati; la seconda, costruire fiducia attraverso governance e compliance; la terza, forse la più importante, è riattivare l’immaginazione. Le nuove tecnologie ci chiedono di pensare in modo diverso, più visionario. Siamo ancora all’inizio di un percorso lungo, come i primi treni della Manchester–Liverpool nel 1820: la direzione è chiara, ma la strada è tutta da costruire».

Sul fronte delle imprese, molto si attende dal nuovo piano Transizione 5.0 incluso nella legge di bilancio 2026. Ritiene che gli incentivi siano efficaci per sostenere digitalizzazione e adozione dell’AI?
«Il nuovo piano Transizione 5.0, o 6.0 come ormai viene chiamato, è un passo importante del Governo e del Mimit per indirizzare le risorse in modo più mirato ed efficace. Tuttavia, è fondamentale aggiornare gli Allegati A e B della legge 232/2016, che definiscono i beni e i servizi agevolabili, in modo coerente con l’evoluzione tecnologica. Bisogna includere l’intelligenza artificiale tra i settori sostenuti, evitando ritardi applicativi e garantendo coerenza tra politiche industriali e innovazioni reali. Le imprese hanno bisogno di regole chiare e di incentivi tempestivi per programmare i propri investimenti».

Molti enti locali faticano ancora a completare la digitalizzazione. Quali sono, secondo lei, gli ostacoli principali e cosa servirebbe per superarli?
«La sfida è orientare la trasformazione digitale al servizio delle persone, assicurando che generi valore pubblico e non disuguaglianze. Gli enti locali sono il vero banco di prova: è lì che la tecnologia deve diventare servizio, accessibilità e inclusione. Servono sicurezza, interoperabilità, fiducia e una governance etica. La collaborazione tra pubblico e privato è essenziale, insieme a un dialogo continuo con i cittadini. Municipia, società del Gruppo Engineering, lavora oggi con oltre 500 Comuni italiani, gestendo dati in modo etico e assumendosi anche il rischio operativo. Questa responsabilità diretta è un incentivo naturale alla qualità e alla correttezza. Solo una cooperazione ampia tra istituzioni, imprese e comunità può garantire città più resilienti e un’innovazione davvero sostenibile».

Guardando ai prossimi anni, quale sarà secondo lei la priorità per rendere l’Italia un Paese davvero digitale: la tecnologia, la governance o la formazione?
«La priorità è la formazione. L’uso del dato e dell’intelligenza artificiale non può essere delegato interamente alla tecnologia: deve sempre esserci la supervisione dell’uomo. Per questo bisogna formare sia chi gestisce i dati — enti, amministrazioni, imprese — sia i cittadini che li mettono a disposizione. È necessario un nuovo modo di pensare, più coraggioso e creativo. Servono programmi di formazione profondi, che coinvolgano tutte le persone e non solo i vertici. Dobbiamo insegnare non soltanto a usare nuovi strumenti, ma a immaginare nuovi modi di fare le cose. Le aziende devono selezionare, far crescere e valorizzare persone capaci di evolvere insieme alla tecnologia, guidandola e non subendola. Per costruire un futuro digitale serve prima di tutto tornare a immaginarlo».