Politica

Weber e la tentazione della destra radicale: il bivio che può cambiare l’Europa

18
Novembre 2025
Di Gianni Pittella

Fatico a credere che un politico di esperienza e cultura europeista come Manfred Weber – leader del Partito Popolare Europeo – possa realmente immaginare di guidare l’Unione nel nuovo scenario geopolitico attraverso una maggioranza eterogenea che unisca cattolici popolari, conservatori, patrioti e forze dichiaratamente euroscettiche, in alcuni casi perfino filo-putiniane. Se questa prospettiva dovesse davvero assumere carattere strutturale, rappresenterebbe una svolta in grado di modificare profondamente l’identità politica dell’Europa, ben più di quanto si voglia ammettere.

Il precedente di questi giorni sul provvedimento Omnibus 1 non è stato soltanto un incidente parlamentare, né semplicemente un voto controverso: è stato un segnale politico. Un segnale secondo cui una futura coalizione tra PPE, ECR e gruppi nazional-sovranisti potrebbe essere considerata percorribile. È proprio questa eventuale normalizzazione che preoccupa maggiormente, perché significa associare all’eredità di Kohl e Merkel – fatta di integrazione, responsabilità e visione comune – forze che hanno costruito il proprio consenso sull’idea che Bruxelles sia un problema e non una soluzione. L’Europa non è solo una geografia, è un progetto politico fondato su valori condivisi; se quel fondamento si erode, l’intero edificio crolla.

Già oggi, con la cosiddetta “maggioranza Ursula” composta da PPE, Socialisti e Democratici, Liberali e Verdi, con il contributo variabile di ECR, la capacità dell’Unione di esprimere una linea chiara e autorevole sulle grandi questioni globali appare spesso insufficiente. Come si può pensare che un’alleanza ancora più eterogenea e contraddittoria possa rafforzare – anziché paralizzare – la capacità dell’UE di agire? Nei prossimi due anni arriveranno sul tavolo decisioni che definiscono il destino dell’integrazione europea: la revisione del bilancio pluriennale, il sostegno economico e militare all’Ucraina, la difesa europea, la risposta ai dazi di Trump, la strategia commerciale, le politiche migratorie, l’allargamento previsto al 2030, la riforma delle istituzioni e, soprattutto, il superamento del voto all’unanimità. È difficile immaginare che tutto questo possa essere affrontato con una maggioranza in cui siedono fianco a fianco i custodi dell’integrazione europea e i suoi oppositori più determinati. La conseguenza sarebbe una paralisi strutturale dell’Europa proprio nel momento in cui il mondo corre e ci chiede velocità, visione e unità.

Resta da capire se quella che è apparsa negli ultimi giorni sia una mossa tattica di Manfred Weber per frenare l’emorragia di consensi del PPE verso la destra più radicale, oppure un vero cambio di paradigma strategico. In entrambi i casi il rischio è enorme. Qui non si gioca solo il destino elettorale delle singole famiglie politiche, ma la natura stessa del progetto europeo. Le istituzioni non possono rappresentare allo stesso tempo l’idea di un’integrazione più profonda e le forze che hanno l’obiettivo dichiarato di bloccarla o smontarla. Se queste due visioni vengono costrette a convivere nella stessa maggioranza, l’effetto non è una sintesi, ma un cortocircuito: l’Europa si autoannienta.

Le parole pronunciate nel Parlamento tedesco da Sergio Mattarella e Frank-Walter Steinmeier non sono state un esercizio retorico né un ricordo rituale del passato. Sono state un monito politico. Un appello a non smarrire la consapevolezza che l’Europa non è un automatismo, ma un patto fragile costruito sulla memoria storica, sulla responsabilità e su valori che vanno oltre i confini nazionali. Se questo collante viene meno, nulla potrà sostituirlo.

Proprio perché considero Manfred Weber una figura politica di alto livello e autenticamente europeista, mi auguro che la sua leadership non perda la bussola della storia. Il PPE ha sempre svolto un ruolo fondamentale nel custodire l’idea di un’Europa forte, unita e credibile nel mondo. È la sua identità, la sua eredità e la sua forza. Oggi più che mai il futuro dell’Unione dipende anche dalla capacità del Partito Popolare Europeo di rimanere fedele a ciò che l’ha reso grande: credere nell’Europa e difenderla, non sacrificarla sull’altare degli equilibri tattici.