Economia
Un nuovo tributo che interroga il futuro dell’economia digitale
Di Cesare Giraldi
(Articolo pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)
Tra le pieghe della bozza della Legge di Bilancio 2026, oggi all’esame del Senato, c’è un passaggio che merita forse maggiore attenzione. È l’articolo 60, comma 7, quello che riscrive le regole del finanziamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom). Una modifica in apparenza tecnica, ma che introduce un cambiamento significativo: dal 2026 il contributo a favore dell’Autorità diventerà di natura tributaria, fissato al 2 per mille dei ricavi realizzati nel territorio nazionale, anche se contabilizzati all’estero, con obbligo di versamento entro il 31 marzo di ogni anno.
Finora Agcom si finanziava attraverso un prelievo “di settore”, a carico dei soggetti regolati – operatori di telecomunicazioni, media, editori – che beneficiavano direttamente o indirettamente della sua attività di vigilanza. La nuova impostazione, invece, trasforma il contributo in un prelievo “di sistema”: non più solo i soggetti tradizionali, ma anche piattaforme digitali, marketplace, e-commerce e servizi online, inclusi operatori non regolati dall’Autorità. L’obiettivo dichiarato è ampliare la base contributiva e assicurare risorse più stabili.
Tuttavia, alcuni osservatori si chiedono se la misura non rischi di produrre effetti contrari: un aggravio economico difficilmente sostenibile per molti operatori e un quadro normativo che potrebbe aumentare l’incertezza, soprattutto per i soggetti internazionali. Anche perché non esistono, al momento, modelli analoghi in altri Paesi europei in cui l’industria finanzi in modo diretto e tributario l’autorità che la vigila. Per gli operatori di telecomunicazioni e del comparto postale è previsto un graduale avvicinamento all’aliquota del 2 per mille, mentre per gli altri la misura scatterà subito, senza transizione. Una differenza che potrebbe generare squilibri concorrenziali e riflessi sulle strategie di investimento.
A ciò si aggiungono due contributi di scopo, ciascuno pari allo 0,5 per mille dei ricavi, destinati a finanziare funzioni legate ai diritti audiovisivi e d’autore. Nel complesso, il prelievo potrebbe superare il 3 per mille, un livello che, secondo alcuni analisti, potrebbe pesare in modo non irrilevante sui bilanci di imprese già impegnate in forti investimenti in innovazione e conformità normativa. Dal 2029, inoltre, Agcom potrà proporre incrementi fino al 2,5 per mille, previa autorizzazione del Governo. Una previsione che, pur garantendo un controllo politico, apre interrogativi sulla tenuta dell’equilibrio tra autonomia e dipendenza finanziaria dell’Autorità.
Più che una misura di razionalizzazione, la norma appare dunque come un intervento dal perimetro incerto, che suscita dubbi sulla proporzionalità del prelievo e sulla trasparenza nella destinazione delle risorse. In una fase in cui il Governo punta a semplificare il quadro fiscale e ad attrarre investimenti, l’estensione del contributo anche al settore digitale potrebbe apparire, almeno a una parte del mercato, come una scelta di difficile coerenza con tali obiettivi.





