Politica
Leo: «Il taglio Irpef è la più grande redistribuzione degli ultimi anni»
Di Giampiero Cinelli
Il 75% dei 13,6 milioni di contribuenti favoriti dal taglio di due punti della seconda aliquota Irpef deciso con la manovra dichiara meno di 50mila euro. L’intervento, spiega il viceministro all’Economia Maurizio Leo in un’intervista al Sole 24 Ore, va letto insieme a quello reso strutturale dalla scorsa legge di bilancio, in un’operazione da 21 miliardi complessivi che rappresenta, secondo lui, «la più grande redistribuzione degli ultimi anni».
Leo respinge le critiche sui presunti benefici ai redditi più alti, definendole «analisi parziali con chiavi di lettura fuorvianti». «Guardiamo i numeri – sottolinea il viceministro, regista dell’operazione insieme al titolare dei conti Giancarlo Giorgetti – la misura interesserà circa 13,6 milioni di contribuenti, e circa tre quarti di loro dichiara redditi inferiori a 50mila euro. Si tratta dunque di un intervento calibrato sul blocco centrale della distribuzione del reddito; non certo sui ricchi».
Nel colloquio con il quotidiano economico, Leo ripercorre anche le tappe delle precedenti riforme fiscali: «Abbiamo prima ridotto ulteriormente il numero di scaglioni e aliquote, passando da quattro a tre, accorpando i primi due scaglioni e abbassando dal 25 al 23% l’imposizione dei redditi fino a 28mila euro. Questa misura, insieme alla stabilizzazione del cuneo fiscale, ha consentito di destinare 18 miliardi di euro alle classi meno abbienti». Un intervento che, aggiunge, «ha ridato ossigeno a quei lavoratori che negli ultimi anni hanno visto ridotto il loro potere di acquisto».
«La nuova manovra – prosegue Leo – continua questo percorso selettivo, riducendo dal 35 al 33% l’aliquota del secondo scaglione in modo da calmierare la pressione fiscale sul ceto medio. I beneficiari reali sono i soggetti con redditi tra 28mila e 50mila euro: oltre 10 milioni di contribuenti, pari a circa il 32% del totale».
Il peso della misura prevista sull’Irpef per quest’anno è di 2,9 miliardi di euro all’anno. «Ma in termini cumulati – precisa Leo – le misure del 2025 e del 2026 ammontano a 21 miliardi, un punto di Pil, e configurano il più consistente intervento redistributivo degli ultimi anni».
Il viceministro cita anche altri interventi a favore dei redditi più bassi, come la riduzione del prelievo sul salario accessorio e le norme sui rinnovi contrattuali sotto i 28mila euro, e risponde a chi propone una patrimoniale: «Tassare il patrimonio su base esclusivamente personale non terrebbe conto della disponibilità economica familiare. Molti beni – immobili, partecipazioni o attività finanziarie – sono condivisi tra familiari; ciò renderebbe la tassazione incompleta rispetto alla reale ricchezza».
Una patrimoniale, secondo Leo, «incentiverebbe la frammentazione artificiosa dei patrimoni per eludere la soglia di imposizione». E aggiunge: «Se la soglia fosse elevata, pochi contribuenti sarebbero colpiti; se fosse bassa, verrebbe penalizzato il ceto medio. Inoltre, l’applicazione di soglie potrebbe prestarsi a censure di incostituzionalità».
Infine, Leo ricorda che «le patrimoniali in Italia esistono già»: «Abbiamo l’Imu sugli immobili diversi dalla prima casa, l’Ivie all’1,06% sugli immobili all’estero, l’imposta di bollo del 2 per mille sui prodotti finanziari e l’Ivafe sulle attività finanziarie estere, oltre alle imposte di successione e donazione. Nel complesso – conclude – le patrimoniali italiane hanno un gettito annuo da circa 28,5 miliardi di euro, l’1,3% del Pil. È un valore in linea con quello dei Paesi comparabili: mi pare sufficiente».





