Lavoro
Smart working, più risparmi e più benessere: l’Italia torna vicina ai livelli record
Di Ilaria Donatio
Lo smart working non è più un esperimento, ma una realtà matura che sta ridefinendo il modo di lavorare e di vivere. Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, nel 2025 in Italia sono 3,57 milioni le persone che lavorano almeno in parte da remoto, in crescita rispetto all’anno precedente. Nelle grandi imprese, dove il fenomeno ha raggiunto la piena stabilità, gli smart worker sfiorano i due milioni, tornando vicini ai livelli record del periodo pandemico.
A cambiare non è solo la quantità, ma anche la qualità dell’esperienza. Oggi, osservano i ricercatori, il tema non è più se riportare i dipendenti in sede, ma “perché e come farlo”. Le aziende più evolute hanno capito che la flessibilità non è un privilegio, ma uno strumento di produttività e di benessere. E il settore pubblico – tradizionalmente più lento nell’adattarsi – comincia a seguirne l’esempio: il 17% dei lavoratori della PA lavora da remoto, con un aumento costante delle iniziative strutturate.
Lo smart working si consolida anche perché produce effetti tangibili sul piano economico. Un’indagine internazionale di Iwg, condotta su duemila lavoratori in Regno Unito e Stati Uniti attraverso l’“Hybrid Working Calculator”, ha stimato che un modello di lavoro flessibile – tre giorni da casa o da uno spazio di coworking e due in sede – può far risparmiare oltre mille euro al mese. Meno spese per trasporti, carburante, pranzi fuori, abbigliamento; più tempo libero, meno stress, più equilibrio tra vita e lavoro.
Il risparmio non è solo personale: molte aziende italiane usano il lavoro agile anche per ridurre i costi energetici e di gestione degli uffici, introducendo chiusure nei giorni di minor afflusso o durante le ferie. E cresce la consapevolezza del diritto alla disconnessione, riconosciuto dal 49% delle grandi organizzazioni private.
Secondo il professor Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio del Politecnico, il potenziale resta enorme: con un “salto culturale” di organizzazione e managerialità, si potrebbero aggiungere altri due milioni di smart worker, raggiungendo i livelli del picco pandemico. In molte micro e piccole imprese, infatti, la tecnologia non manca: mancano ancora fiducia e modelli gestionali.
Dall’altra parte, lo studio Iwg mette in evidenza un effetto meno visibile ma altrettanto importante: il benessere complessivo dei lavoratori. L’84% degli intervistati dichiara di aver migliorato l’equilibrio vita-lavoro, e una quota analoga utilizza il tempo risparmiato per attività personali, sportive o legate alla salute mentale.
Più risparmi, più autonomia, meno pendolarismo. Non è una rivoluzione silenziosa, ma una trasformazione misurabile. E forse, per una volta, una di quelle che fanno bene sia alle persone sia alle imprese.





