Esteri
Olanda, il “game of chicken” che ha fatto perdere Wilders
Di Marta Calderini
Il “game of chicken” è il gioco – teoria dei giochi alla mano – in cui due auto si lanciano una contro l’altra: vince chi costringe l’altro a sterzare per primo, perde chi, per non perdere la faccia, tira dritto e si schianta. In Olanda, Geert Wilders, leader del Partij voor de Vrijheid, ha perso la scommessa. Dopo aver fatto saltare, a giugno, la fragile coalizione guidata dal tecnico Dick Schoof per irrigidire ancora l’agenda su immigrazione e asilo, il leader della PVV incassa un arretramento secco e non ha una maggioranza praticabile intorno a sé. Al fotofinish, Rob Jetten (D66 – Democraten 66) sorpassa o quantomeno affianca la PVV: 26–27 seggi a seconda dei conteggi e un vantaggio in voti popolari nell’ordine delle 15mila schede; l’ANP (agenzia di stampa olandese) ha certificato D66 come primo partito non più raggiungibile, in attesa della formalizzazione che include i voti dall’estero.
Wilders ha evocato un copione già visto in Europa: forzare la crisi per capitalizzare nei sondaggi. In Italia, nel 2019, Matteo Salvini innescò la caduta del governo gialloverde convinto di andare a elezioni da favorito; finì all’opposizione mentre nasceva il Conte II. Il boomerang di un calcolo che confonde momentum e numeri in Parlamento. Pedro Sánchez, al contrario, anticipò le elezioni nel 2023 ma – complice l’isolamento del blocco avversario con l’estrema destra – riuscì poi a confermarsi al governo. Stesso azzardo, esiti opposti: in Spagna la tattica ha servito una strategia, nei Paesi Bassi, l’ha divorata: Wilders ha provato a polarizzare e capitalizzare, ma l’elettorato ha reagito premiando il registro opposto, ottimista, pro-UE e problem solving, di D66 e riaprendo uno spazio centrista che nei Paesi Bassi, quando l’ago si sposta troppo, storicamente tende a ricomporsi in fretta.
La tornata si chiude in uno stallo inedito: D66 e PVV appaiati intorno ai 26 seggi, ma con D66 avanti per voti assoluti e più forte nelle grandi città (Rotterdam, L’Aia, Utrecht, Eindhoven), mentre l’affluenza sfiora l’80%; intanto i liberali di VVD (Volkspartij voor Vrijheid en Democratie) arretrano, l’alleanza rosso-verde GroenLinks-PvdA (Verdi + Laburisti) perde terreno, i cristiano-democratici del CDA (Christen-Democratisch Appèl) rialzano la testa e i partiti della destra radicale JA21 e FvD (Forum voor Democratie) si consolidano ai margini dell’orbita wildersiana. Ne esce una fotografia spezzata che impone coalizioni a tre o quattro partiti. I percorsi possibili sono pochi e tortuosi: un centro allargato guidato da D66 con VVD e CDA più un quarto soggetto “compatibile” come ChristenUnie (cristiani sociali) o Volt (federalisti europei) — mentre JA21 resterebbe difficilmente aggregabile per distanza programmatica — garantirebbe un compromesso europeista ma richiederebbe chirurgia su clima, spesa e migrazione; una formula di “larghe intese” vedrebbe D66 e VVD come colonne con appoggi esterni variabili, offrendo stabilità relativa ma riformismo limitato; una destra senza PVV è aritmeticamente fragile, e un bis della destra a trazione PVV è di fatto chiuso: senza VVD non ci sono i numeri e i potenziali partner del precedente governo— NSC (Nieuw Sociaal Contract, il movimento di Pieter Omtzigt) e BBB (BoerBurgerBeweging, il partito agrario) — si sono sgonfiati. A pesare, inoltre, come variabile di sistema è il “veto Rutte”, cioè la linea storica dei liberali di VVD di non governare con la PVV, ribadita anche dalla leader Dilan Yeşilgözhe che ha definito Wilders “assolutamente inaffidabile”.
Pur in un pareggio di seggi, l’esito politico è netto: la mossa di Wilders non ha pagato. Sarà un negoziato lungo e complicato, ma la direzione di marcia (al netto dei tecnicismi di certifica) sembra essere chiara: l’Olanda torna al centro.
Volendo aggiungere una postilla, c’è un ultimo elemento che pesa sul racconto di queste elezioni: l’affluenza alta non è un dettaglio statistico ma un pezzo della sostanza politica olandese. In un sistema dove votare è facile (registrazione automatica, stempas – l’equivalente della nostra tessera elettorale – recapitata a casa, seggi ovunque, voto per delega molto diffuso, voto per posta dall’estero ed esiste la possibilità di votare fuori sede convertendo la stempas in una kiezerspas) e dove il proporzionale nazionale abbassa la soglia psicologica del “tanto non servo”, il cittadino sente che la scheda sposta davvero. Inoltre, quando la contesa è percepita come decisiva, come nel caso di queste elezioni in Olanda, quella consapevolezza si trasforma in partecipazione.





