Economia

Euro digitale, stablecoin e cultura economica: la sfida della prossima generazione

31
Ottobre 2025
Di *Giulio Centemero

(*Articolo di Giulio Centemero, Capogruppo Lega in commissione Finanze alla Camera dei Deputati, pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)

Parlare oggi di moneta digitale significa parlare del futuro dell’Europa. Mentre la Banca Centrale Europea accelera la sperimentazione dell’euro digitale e i mercati globali si confrontano con la crescita delle stablecoin private, l’Italia ha un’occasione unica: non limitarsi a inseguire l’innovazione, ma guidarla con intelligenza, cultura economica e visione strategica.

Negli ultimi anni il dibattito sulle criptovalute è stato spesso polarizzato: tra chi le esalta come strumento di libertà e chi le teme come minaccia all’ordine finanziario. Ma la realtà, come sempre, è più complessa. Oggi non si tratta di scegliere tra “vecchia” e “nuova” finanza, bensì di costruire un ecosistema integrato, dove stabilità, trasparenza e concorrenza possano coesistere.

Le stablecoin, legate a valute reali e sempre più adottate anche da operatori regolamentati, rappresentano un banco di prova per l’intero sistema europeo. Da un lato, offrono rapidità, efficienza e interoperabilità globale; dall’altro, pongono domande cruciali su chi controlla l’emissione, come si tutela il risparmio e in che modo si preserva la sovranità monetaria dell’eurozona. È proprio per rispondere a queste sfide che la BCE sta lavorando all’euro digitale: una forma di contante elettronico sicura, pubblica e accessibile, destinata a convivere con i mezzi di pagamento privati.

Ma la vera differenza non la farà la tecnologia. La farà la cultura finanziaria. In Italia, secondo l’OCSE, solo un cittadino su tre possiede competenze economiche di base. In un mondo dove la moneta diventa programmabile, questa lacuna non è più solo un limite educativo: è un rischio sistemico. Per questo serve una nuova alfabetizzazione economica, capace di spiegare non solo come gestire un bilancio familiare, ma anche cosa significhi fidarsi di un algoritmo, comprendere il ruolo delle banche centrali o valutare i rischi di un asset digitale.

È un lavoro che deve partire dalle scuole, ma anche dalle imprese, dalle istituzioni e dal Parlamento. L’innovazione finanziaria non si governa con la paura, ma con la conoscenza. Occorre formare cittadini consapevoli, capaci di usare nuovi strumenti senza subirli. E serve un quadro normativo europeo, come quello introdotto dal Regolamento MiCAR, che sappia favorire la concorrenza e al tempo stesso tutelare i consumatori.

La finanza del futuro non è una corsa al profitto, ma un laboratorio di responsabilità. Se vogliamo che l’Italia resti parte attiva nel nuovo scenario monetario globale, dobbiamo investire in educazione finanziaria, ricerca e innovazione regolata. Solo così potremo affrontare con maturità la prossima rivoluzione del denaro — una rivoluzione che, prima ancora che tecnologica, è culturale.