Trasporti

Auto elettrica, cosa deve fare l’Italia per ricaricarsi

29
Ottobre 2025
Di Ludovico Berna

La mobilità elettrica è più di una scelta. È un cambiamento che sta ridefinendo il nostro modo di muoverci, di pensare alla sostenibilità, e al nostro impatto sul pianeta. In Italia, la transizione verso l’elettrico sta accelerando, ma quali sono le sfide e le opportunità in questo cammino?

Oggi il paese conta oltre 67.000 punti di ricarica pubblici, e il numero di auto elettriche in circolazione cresce ogni anno, con oltre 60.000 immatricolazioni nel 2025. Ma la vera sfida non sta solo nelle auto, ma nella rete di ricarica, con la necessità di un’infrastruttura capillare e affidabile.

La mobilità del futuro è ormai una realtà che si avvicina sempre di più. Per conquistare la fiducia dei consumatori, è fondamentale l’impegno del Governo, delle istituzioni e dei CPO, che possono trasformare gli investimenti in opportunità concrete per i territori e per il lavoro.

In questo contesto, la Direttiva RED III rappresenta un’opportunità cruciale per accelerare la transizione energetica. L’Italia dovrà affrontare queste sfide con determinazione, assicurandosi di essere pronta per un futuro più verde e sostenibile.

Senza infrastruttura di ricarica non esiste mercato
«L’infrastruttura di ricarica pubblica e privata è fondamentale per dare concretezza agli investimenti mondiali nella produzione di batterie e componentistica. Vendere un’auto elettrica senza una rete di ricarica è praticamente impossibile: se l’infrastruttura non esistesse, le auto non si potrebbero vendere e gli sforzi fatti a monte della filiera andrebbero persi». Lo ha dichiarato Federico Fea, co-founder e amministratore delegato di Powy, intervenendo a Largo Chigi, format televisivo di Urania TV.
Fea ha ricordato che in Italia sono attivi circa 70 mila punti di ricarica, pari a 2 miliardi di euro di investimenti: «Un settore di cui si parla poco, ma che crea lavoro: dai produttori italiani di hardware – leader a livello mondiale – alle maestranze locali e alle professionalità digitali legate ai pagamenti e all’esperienza d’uso». Sul fronte tecnico, Fea ha spiegato che «tutte le auto elettriche sono compatibili con le infrastrutture di ricarica: alcune, più piccole, non supportano l’alta tensione ma possono comunque utilizzare la maggior parte dei punti». Tuttavia, ha aggiunto, «serve semplificare l’accesso e i sistemi di pagamento». Infine, un richiamo alla direttiva europea RED III, che l’Italia avrebbe dovuto recepire entro maggio: «Siamo in ritardo – ha detto Fea – ma fiduciosi che il governo la implementerà presto. Come associazione, attraverso Motus-E, abbiamo inviato proposte in linea con lo spirito della normativa».

Sbagliato deviare dagli obiettivi 2030
«La transizione deve avere una strategia industriale e un piano industriale, ovviamente anche per la mobilità elettrica. Ad oggi l’ecosistema frastagliato e basato sugli incentivi lascia punti insoluti. Non bisogna tentennare sul passaggio all’elettrico perché la riduzione del danno ambientale c’è, è sbagliato credere non sia vero. Serve una maggiore pianificazione tra comuni e operatori, ad esempio con uno sportello unico e con incentivi atti a velocizzare le autorizzazioni, visto che gli investimenti ci sono. L’intera strategia nazionale andrebbe messa in un documento unico, che vada dai dettami economici all’impegno culturale. E poi non bisogna rallentare nella transizione: se il governo intende non rispettare gli obiettivi del 2030 sulle energie rinnovabili nei trasporti sbaglia, esponendoci anche a procedure infrazione Ue», ha detto a Largo Chigi Alberto Pandolfo (PD) – Capogruppo Commissione Attività Produttive alla Camera.