Economia

Confcommercio, in tredici anni perse quasi 200mila imprese giovanili

20
Ottobre 2025
Di Giuliana Mastri

Tra il 2011 e il 2024 l’Italia ha perso 193mila imprese giovanili, guidate da under 35, di cui oltre 87mila nel Mezzogiorno. Un calo del 30,6%, a fronte di una diminuzione complessiva delle imprese pari solo al 4,2%. La quota di aziende giovanili sul totale è scesa così dall’11,9% all’8,7%, con una contrazione di 3,2 punti percentuali. È il quadro tracciato dall’Ufficio Studi di Confcommercio nell’analisi «L’importanza dei giovani imprenditori per la crescita economica», presentata oggi a Milano in occasione del XVI Forum nazionale dei Giovani Imprenditori di Confcommercio.

Secondo l’associazione, «con una percentuale di imprese giovanili pari a quella del 2011, oggi avremmo tra i 49 e i 65 miliardi di euro in più di Pil». Il motivo è chiaro: «per assumere giovani c’è bisogno di imprenditori giovani». Le imprese a conduzione under 35, infatti, hanno una maggiore capacità di investire in tecnologie digitali e mostrano migliori performance in termini di fatturato, occupazione e crescita nel medio periodo.

Due strade per rilanciare l’imprenditoria giovanile
Confcommercio individua due leve principali per favorire la nascita e lo sviluppo delle imprese giovanili: «Incentivi e regimi agevolati, che riducano il carico fiscale e rendano più conveniente avviare un’attività» e «Miglioramento del contesto generale e dell’accesso al credito, poiché le start-up sono più rischiose e i costi dei finanziamenti più elevati, per cui servono strumenti pubblici di garanzia». L’associazione sottolinea che l’imprenditoria giovanile «genera esternalità positive, cioè benefici per l’intera collettività, che è nell’interesse pubblico favorire». Senza un intervento statale, infatti, «si avrebbero meno imprese giovanili di quanto sarebbe ottimale per la società».

Sangalli: «Serve un contesto favorevole e meno tasse»
Il presidente di Confcommercio nazionale, Carlo Sangalli, ha ribadito che l’Italia «ha bisogno di investire nei giovani imprenditori per ritrovare crescita, occupazione e fiducia». Per farlo, spiega, «serve un contesto generale favorevole, la diffusione tra le nuove generazioni dell’utilizzo dei grandi contratti collettivi del lavoro che tutelano lavoratori e imprese e infine incentivi e regimi agevolati che riducano in particolare il carico fiscale».

Sangalli avverte che «una tassazione troppo alta riduce la propensione al rischio, a cominciare da quello che anima l’attività d’impresa». Senza nuove energie imprenditoriali, avverte, «il Paese rischia di invecchiare non solo demograficamente ma anche economicamente e culturalmente».

L’analisi dell’Ufficio Studi evidenzia inoltre che al crescere dell’1% della quota di imprese giovanili, la crescita economica media per provincia aumenterebbe tra lo 0,7% e l’1%. Con la stessa quota di giovani imprenditori della Francia, in dieci anni l’Italia avrebbe un punto di Pil in più. «Occorre, dunque, rivalutare il ruolo dei giovani e dei giovani imprenditori per la crescita economica», conclude Confcommercio.

Musacci: «I giovani imprenditori sono la spinta naturale all’innovazione»
Per Matteo Musacci, presidente dei Giovani Imprenditori di Confcommercio, «l’Italia non può permettersi di rinunciare a tutto il contributo che i giovani imprenditori possono dare al Paese e al suo futuro». Le imprese giovanili, spiega, «assumono più giovani, investono di più in digitale e crescono più velocemente».

«Sia che si tratti di accogliere un’eredità imprenditoriale con il passaggio generazionale, sia che si tratti di cominciare una nuova impresa – aggiunge – i giovani imprenditori sono una spinta naturale del sistema Paese all’innovazione, alla sostenibilità e alla crescita».

Il Forum è stato dedicato proprio al «desiderio di futuro», tema che, secondo Musacci, «è alla base di questa spinta vitale che le nuove generazioni interpretano».

Demografia e tasse, i nodi strutturali
Il declino delle imprese giovanili è strettamente legato anche al calo demografico. Oggi in Italia ci sono 10 milioni di giovani in meno rispetto agli anni Ottanta: da 32,3 milioni nel 1982 a 22,5 milioni nel 2024. Nello stesso periodo, la popolazione over 65 è quasi raddoppiata, passando da 7,5 a 14,6 milioni. Il Mezzogiorno, che fatica ad attrarre immigrazione qualificata, concentra oltre la metà di questa perdita.

All’invecchiamento demografico si aggiunge il peso economico: in quarant’anni il rapporto debito/Pil è più che raddoppiato, e un trentenne oggi deve sopportare un onere di debito annuale quasi quadruplicato rispetto agli anni Ottanta. Anche la pressione fiscale è salita dal 34,1% del 1982 al 42,8% del 2025.

Confcommercio avverte che «l’incremento della tassazione riduce il rendimento del capitale umano, organizzativo e produttivo e comprime la propensione a fare scelte rischiose, a cominciare dall’attività d’impresa».

L’invecchiamento riduce anche il tasso di risparmio e di investimento, determinando «meno produttività e meno crescita». In questo scenario, conclude l’associazione, «una collettività che non ha immissione di risorse giovani, soprattutto imprenditoriali, rinuncia al potente canale di innovazione e creatività».