Economia

Cresce l’economia sommersa e illegale: nel 2023 vale oltre 217 miliardi, il 10,2% del Pil

17
Ottobre 2025
Di Ilaria Donatio

In Italia continua a espandersi l’economia che sfugge ai radar ufficiali. Secondo l’ultimo rapporto Istat, ripreso oggi dal Sole 24 Ore, nel 2023 l’economia “non osservata” – cioè la somma di quella sommersa e delle attività illegali – ha raggiunto un valore di 217,5 miliardi di euro, in aumento di 15,1 miliardi rispetto all’anno precedente. La sua incidenza sul Pil sale così al 10,2 per cento, un decimo dell’intera ricchezza prodotta nel Paese.

Dentro questa cifra si nasconde un doppio volto. Da un lato c’è l’economia sommersa, fatta di sotto-dichiarazioni, lavoro irregolare e piccole omissioni diffuse, che da sola vale quasi 198 miliardi, in crescita di oltre 14 miliardi rispetto al 2022. Dall’altro, ci sono le attività illegali, che incidono per circa 20 miliardi, in lieve aumento ma con un peso complessivo in calo – il 9,2 per cento del totale, contro il 9,8 per cento dell’anno precedente.

Il cuore del sommerso resta la sotto-dichiarazione dei redditi e dei costi, che segna un incremento del 6,6 per cento, mentre il lavoro nero corre ancora di più, con una crescita dell’11 per cento e un valore aggiunto di oltre 7,8 miliardi in più. Gli altri fenomeni – mance non dichiarate, affitti in contanti, scambi informali – pesano molto meno, ma contribuiscono comunque ad alimentare un’economia parallela che, nel suo insieme, continua a erodere base imponibile, diritti e sicurezza sociale.

Dietro i numeri, c’è una realtà fatta di persone. Nel 2023 le unità di lavoro irregolari stimate dall’Istat sono 3,132 milioni, oltre 145 mila in più rispetto al 2022. Il lavoro dipendente “in nero” cresce del 4,9 per cento, quello autonomo del 4,8 per cento. Un esercito invisibile che garantisce produttività e consumi ma resta escluso da tutele e contributi, con effetti diretti sui conti pubblici e sulle disuguaglianze.

Il fenomeno non è nuovo, ma si consolida in una fase in cui la crescita economica rallenta e la pressione fiscale resta alta. L’Italia, pur avendo ridotto negli anni la quota di sommerso rispetto ai picchi degli anni Duemila, continua a muoversi su livelli doppi rispetto a quelli medi dell’Unione europea. L’effetto è duplice: da un lato si riducono le entrate tributarie, dall’altro aumenta la concorrenza sleale tra imprese che rispettano le regole e quelle che operano al margine della legalità.

La distribuzione territoriale resta molto diseguale, con una concentrazione maggiore nel Mezzogiorno e nei settori a bassa specializzazione, come edilizia, ristorazione, servizi alla persona e commercio. È qui che la difficoltà dei controlli, l’uso disinvolto di contante e la frammentazione del tessuto produttivo creano le condizioni per la persistenza del “nero”.

La sfida per le istituzioni è duplice: rafforzare i meccanismi di tracciabilità e digitalizzazione, ma anche incentivare l’emersione con politiche di convenienza e inclusione. L’economia invisibile non è solo una sottrazione di risorse, è il sintomo di un patto sociale incompiuto. Finché una parte così ampia del lavoro e del valore prodotto resterà fuori dallo Stato di diritto, ogni dato positivo sulla crescita sarà parziale. Perché dietro la stabilità apparente, l’Italia continua a convivere con un boom che non compare nei bilanci ma pesa, ogni anno, come un macigno sulla sua economia reale.