Economia

Focus dazi, il Sud Italia paga il conto più salato. Agroalimentare e manifattura i settori più esposti

16
Agosto 2025
Di Giampiero Cinelli

(Articolo pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)
Donald Trump ha firmato l’ordine esecutivo per applicare i dazi alle merci importate negli Usa, nei giorni che seguiranno i provvedimenti diverranno effettivi a seconda dei vari dettagli ancora difficili da sapere e sulla base di eventuali nuove intese. Ma pare proprio che il dado sia tratto e che l’Unione Europea abbia strappato l’ultimo accordo possibile. I dazi nei confronti del Vecchio Continente avranno un’aliquota generica del 15%, a eccezione di acciaio e alluminio che subiscono il 50%, e salvo esenzioni o trattamenti speciali su specifici prodotti. Si teme che i beni considerati strategici possano avere una tariffa maggiore, così come altre merci che gli Usa sono in grado di produrre in casa. Incerto il destino anche delle merci non essenziali al fabbisogno, che potrebbero vedere un’aliquota sopra la media. Il problema, in questo contesto, è che un bene non primario o non strategico per gli Stati Uniti, può invece esserlo per il Paese che lo esporta e ancor di più per il territorio dove nasce. Qui viene subito da pensare all’agroalimentare Made in Italy, fiore all’occhiello della penisola ma anche pilastro di molte regioni del Mezzogiorno.

Se infatti il prevedibile calo dell’export avrà effetti, in termini assoluti, prevalentemente sul Nord Italia, il danno potrebbe essere rilevante nel Sud. Il motivo lo ha spiegato la Cgia di Mestre in uno studio di quest’anno, dicendo che per avere un’idea concreta delle conseguenze, bisogna considerare il livello di diversificazione del prodotto dell’export, ovviamente più basso nelle zone meridionali. Si legge nel report che la regione che a livello nazionale presenta l’indice di diversificazione peggiore è la Sardegna, dove domina l’export dei prodotti derivanti della raffinazione del petrolio. Seguono il Molise, caratterizzato da un peso particolarmente elevato della vendita dei prodotti chimici/materie plastiche e gomma, autoveicoli e prodotti da forno, e la Sicilia, che presenta una forte vocazione nella raffinazione dei prodotti petroliferi. Tra le realtà territoriali del Mezzogiorno, solo la Puglia presenta un livello di diversificazione elevato. Un dato che la colloca al terzo posto a livello nazionale tra le regioni potenzialmente meno a rischio di un’eventuale estensione dei dazi ad altri prodotti merceologici.
La criticità appare chiara a tutti, le risposte sono sicuramente meno a portata di mano.

Una maggiore diversificazione non si inventa dall’oggi al domani e i piani di sostegno finanziario attesi possono mettere qualche toppa. Oltre all’obiettivo di aprire nuovi sbocchi, la partita continuerà a giocarsi sui tavoli diplomatici e negoziali puntando a esenzioni o sconti.

L’introduzione di dazi al 15% da parte degli Stati Uniti sui prodotti agroalimentari italiani rischia di far perdere oltre 1 miliardo di euro al comparto, frenando una crescita costante che ha visto il cibo made in Italy imporsi come sinonimo di qualità oltreoceano. Lo rileva un’analisi Coldiretti su dati del Centro Studi Divulga. Negli ultimi cinque anni, l’export verso gli Stati Uniti – fa sapere Coldiretti – è cresciuto in media dell’11% l’anno, arrivando a toccare un +17%. Non è esagerato ritenere che il Sud da questo quadro possa uscirsene con le ossa rotte. Il Direttore di Svimez Luca Bianchi ha confermato in un’intervista del 30 luglio (dopo l’accordo Usa-Ue) al Sicilian Post il rischio di un impatto per l’export del meridione di oltre 1 miliardo, con circa 15mila posti di lavoro che penzolano. Le dichiarazioni riflettono sostanzialmente le grandezze dell’ultimo studio di Svimez sulle conseguenze dei dazi, che però partiva da un’ipotesi al 30%. In ogni caso, una panoramica sui principali analisti, fa pensare a un settore agroalimentare del meridione che può perdere almeno un 10% di export. Il totale dell’export perso dal Sud, crescerebbe nel caso di inasprimenti sui prodotti farmaceutici, automobili, aerospazio e semiconduttori. Lo scenario che abbiamo provato a delineare non rasserena affatto, ma forse mai come adesso ne siamo perfettamente consci. Le reazioni possono dunque essere preparate certosinamente.