Salute
Dazi USA sui farmaci, l’Italia rischia 2,5 miliardi: l’industria chiede tutele
Di Marta Calderini
(Articolo pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)
Dazi, trattative, annunci e l’attesa dei documenti definitivi. L’industria farmaceutica italiana, con una produzione annua oltre i 50 miliardi di euro e un export verso gli Stati Uniti che nel 2024 ha superato i 10 miliardi, è uno dei pilastri dell’economia nazionale. Per questo, l’accordo tra Unione Europea e USA che introduce dazi del 15% su vari prodotti, inclusi i farmaci, ha suscitato forti preoccupazioni tra le imprese del comparto, tutte in attesa di conoscere i dettagli dell’accordo in queste ore. Tuttavia il peggiore degli scenari – dazi al 200% sui farmaci importati dall’UE – sembra scongiurato, ma l’intesa comporta comunque oneri rilevanti per l’industria farmaceutica europea. Secondo le prime stime di Reuters, l’impatto economico a livello continentale, potrebbe superare i 19 miliardi di euro, mentre Farmindustria stima che il costo per le imprese italiane si aggirerà intorno ai 2,5 miliardi. Marcello Cattani, presidente di Farmindustria, ha definito l’intesa «un compromesso con costi importanti per le imprese, ma che evita l’escalation commerciale e, considerate le premesse davvero critiche, con un impatto a livelli ancora sostenibili». Inoltre, Cattani sottolinea che «restano comunque rischi per la competitività dell’industria farmaceutica in Europa, a favore degli stessi Stati Uniti, della Cina e di altri Paesi come Singapore, India, Emirati Arabi che puntano sul settore con politiche molto attrattive». La vera sfida, quindi, è geopolitica.
Oltre all’impatto diretto sui costi, a preoccupare è l’incertezza che ancora grava sulla lista dei prodotti esenti dai dazi, alimentata anche dal fatto che i farmaci, come altri settori sensibili, restano sottoposti alle indagini avviate dalla Casa Bianca nell’ambito della Sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962. La questione è particolarmente critica per i produttori di farmaci generici e biosimilari, che operano su scala globale con margini estremamente ridotti. Stefano Collatina, presidente di Egualia, nei giorni scorsi ha spiegato che al momento le informazioni sono frammentarie, ma grazie al lavoro dell’associazione europea Medicines for Europe si sa che alcune categorie di farmaci — tra cui probabilmente i generici-equivalenti — potrebbero essere esentate. La priorità deve essere definire al più presto il perimetro dei farmaci generici esenti e adottare misure di tutela per mitigare i rischi legati alla competitività globale e alla sicurezza delle forniture. Secondo lui, «i produttori di farmaci generici avrebbero grandi difficoltà ad assorbire questi costi, esponendo così i pazienti al rischio di carenze».
In ogni caso, rimane da verificare se i dazi riusciranno effettivamente a rilanciare la capacità produttiva interna statunitense. Le infrastrutture industriali necessarie per la produzione su vasta scala di farmaci richiedono infatti investimenti ingenti, tempi lunghi e personale specializzato, che oggi non risulta facilmente disponibile. Emblematico, in questo senso, è il caso di Novo Nordisk, azienda farmaceutica danese che sta costruendo un nuovo stabilimento in North Carolina, la cui entrata in funzione è prevista solo nel 2029.
Questa fase di transizione è cruciale anche per la politica economica interna. Secondo Cattani, “l’Italia potrà continuare a essere un attore di rilievo solo se saprà valorizzare l’innovazione, attrarre investimenti, ridurre la burocrazia e semplificare le regole. La stessa Legge di Bilancio sarà un banco di prova fondamentale per mantenere la nostra nazione competitiva e attrattiva per gli investimenti. Senza questi interventi, rischiamo di diventare marginali sia nella produzione sia nella ricerca farmaceutica.
La questione dei dazi non si gioca solo sui numeri, ma sulla capacità politica di rendere coerenti gli obiettivi industriali europei con i nuovi equilibri globali. In caso contrario, la posta in gioco rischia di essere troppo alta: non solo per le imprese, ma per i pazienti da entrambi i lati dell’Atlantico.





