Politica

Qualcuno era comunista

23
Settembre 2023
Di Pietro Cristoferi

Qualcuno era comunista… e Giorgio Napolitano lo era davvero. Questo senso di profonda appartenenza a quell’ideale di comune giustizia sociale ha realmente plasmato la sua vita. Ideali profondi che non si limitano alla semplice adesione ad una dottrina e ad una storia politica, ma hanno caratterizzato tutto il suo agire segnando profondamente quello che è stato il rapporto con la politica.

La sua appartenenza non ha mai tuttavia impedito la stima e l’affetto di tanti che, anche se avversari, hanno sempre ritrovato nel rapporto con lui e nella sua figura il senso intimo di quello che significa fare Politica (con la P maiuscola). 

Questo perché Giorgio Napolitano era un uomo libero, una libertà che si giocava attraverso l’azione politica e il pensiero. Un uomo talmente libero da avere anche la profonda e concreta attenzione a guardare al suo passato con uno sguardo critico rispetto agli avvenimenti che hanno caratterizzato la storia d’Italia. “Migliorista” di ferro; nel 1956 anno della rivoluzione ungherese al Congresso del PCI del dicembre di quello stesso anno Giorgio Napolitano, seguendo la linea del partito dettata da Palmiro Togliatti, elogia l’intervento sovietico. A conferma della profonda evoluzione di un uomo in cammino nel pensiero politico non avrà alcun timore nella sua autobiografia ad ammettere che quella posizione gli destava un “grave tormento autocritico” e a condannare quei fatti.

Nel 1978, l’apertura sul mondo e lo sguardo oltre l’URSS, anche grazie al cambiamento di linea deciso dalla guida di Berlinguer del partito, lo rendono il primo comunista italiano a ricevere un visto per gli Usa grazie all’aiuto di Giulio Andreotti. Kissinger di lui dirà “è il mio comunista preferito” e gli varrà il titolo in Italia di “comunista d’America”. Del periodo del terrorismo rosso dirà con chiarezza che si tratta di totali “degenerazioni, fino al delirio ideologico e al crimine più barbaro, dell’ispirazione rivoluzionaria del marxismo e del movimento comunista”.

Crolla il muro di Berlino e arriva il 1992 con Tangentopoli: le geometrie politiche conosciute fino ad allora vengono abbattute e la realtà istituzionale italiana stravolta nel giro di pochi anni; il PCI non c’è più. Napolitano, deputato ora con il PDS, viene eletto Presidente della Camera. Nel suo ruolo non ebbe timore a leggere in aula la lettera che il deputato del PSI Sergio Moroni, colpito anche lui dall’inchiesta di Mani Pulite e morto suicida, gli aveva fatto arrivare. Una lettura in un’aula ammutolita che conferma ancora una volta come anche nella politica c’è una vera e profonda libertà a cui non ci si può sottrarre e che tratta del rispetto per la dignità umana.

La salita al Colle per volontà della maggioranza di centrosinistra nel 2006 e la maestria nel gestire alcuni dei periodi più bui e difficili della nostra storia recente come la crisi economica finanziaria del 2008. Napolitano interpreterà quel ruolo di Presidente della Repubblica anche in forma ampia nella gestione delle crisi di Governo sempre nel segno della carta fondamentale, che comunque gli varrà non poche accuse anche da parte dei suoi. Fino alla prima eccezione della storia repubblicana, ora quasi regola: dopo un settennato la rielezione al Quirinale nel 2013 con l’obiettivo di risolvere quell’impasse istituzionale che aveva bloccato il Paese anche a causa di una certa parte della politica che non voleva aprire al compromesso e al dialogo. Commosso per questa scelta durante il suo discorso per il secondo mandato affermerà che “bisognava dunque offrire, al paese e al mondo, una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di vitalità istituzionale, di volontà di dare risposte ai nostri problemi”. Sarà l’inizio del biennio dello slancio presidenziale nei confronti della politica volto a spronarla dal suo torpore, anche con vibranti richieste come quella delle riforme istituzionali che per un’altra storia non hanno mai visto la luce.

Per dirla con Gaber “qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo. Perché forse era solo una forza, un volo, un sogno, era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita”, questa spinta ideale ha caratterizzato la sua vita politica perché Giorgio Napolitano era un uomo libero.

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