Cultura

Equo compenso agli editori, Pier Luca Santoro: gli Over The Top già cooperano e sono fondamentali per i publisher

23
Gennaio 2023
Di Giampiero Cinelli

L’Agcom ha recentemente approvato un regolamento sull’equo compenso che le piattaforme digitali devono destinare agli editori di testate online, basato sui ricavi pubblicitari che ottengono dalle pubblicazioni di contenuti giornalistici (qui il comunicato dell’Authority che anticipa alcune specifiche). La mossa era attesa da tempo, siccome muove dall’approvazione della Direttiva europea sul copyright nel mercato unico digitale del 2019 e da un decreto legislativo del governo approvato nel 2021. Il tema del rapporto tra gli editori e le Big Tech è relativamente nuovo, complesso e va interpretato. Anche per questo si è cominciato a legiferare in merito. Della decisione di Agcom abbiamo parlato con Pier Luca Santoro, esperto di marketing, comunicazione e sales intelligence. Dal 1998 opera come consulente per progetti di posizionamento strategico, organizzazione, comunicazione e formazione per aziende pubbliche e private, associazioni di categoria e amministrazioni pubbliche. Dal 1987 in poi è stato responsabile del marketing e dell’organizzazione commerciale di grandi imprese quali Star, Giuliani, Bonomelli e ha ricoperto il ruolo di consulente del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Conosciuto anche come project manager di DataMediaHub.

Il regolamento sull’equo compenso agli editori è stato generalmente ben accolto. Ma l’ala critica si fa sentire. Secondo lei ci sono più luci o più ombre?
«In attesa del documento ufficiale non si può che prendere atto che Agcom abbia ufficializzato la propria posizione. Ma ci sono ancora molti interrogativi da sciogliere».

Esiste effettivamente una sproporzione tra ricavi delle piattaforme e ricavi degli editori, o sarebbe più appropriato vedere questa dicotomia come un’occasione per cooperare, in una logica win-win?
«Google e Facebook sono i due principali driver di traffico ai siti di news. Dunque, generano ricavi per i publisher di quotidiani. Se a questo aggiungiamo che sia l’uno che l’altro allocano fondi sostanziosi a sostegno dell’editoria, mi pare che di fatto gli Over The Top abbiano cooperato abbondantemente».

Le piattaforme come vedono questi interventi normativi? Ora ci sarà più attrito o i rapporti troveranno equilibrio? La Commissaria dell’Agcom Elisa Giomi reputa il regolamento non vantaggioso sia per gli uni che per gli altri.
«Molto probabile che si generino degli attriti come è avvenuto nei Paesi che hanno già legiferato al riguardo. Altrettanto molto probabile che tali attriti verranno ripianati come appunto insegna quanto avvenuto in altre nazioni».

Fin dall’approvazione della Direttiva Europea sul Copyright nel mercato unico digitale, si era detto che l’approccio adottato in questi anni giova solo ai grandi, non favorendo i piccoli editori, e che può rendere lo spazio digitale poco fluido e meno stimolante. A quel tempo lei era consulente del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Oggi come la vede?
«Come consulente del Dipartimento mi sono occupato di altri aspetti. Non di questo. Di fatto nel testo di Agcom viene scritto che “I criteri validi per la valutazione dell’equo compenso da applicare cumulativamente e con rilevanza decrescente (art. 4, comma 3) sono: a) numero di consultazioni online delle pubblicazioni (da calcolare con le pertinenti metriche di riferimento); b) rilevanza dell’editore sul mercato (audience on line)”. Appare perciò evidente che i grandi avranno maggiori vantaggi».

Non neghiamo le difficoltà ed è legittimo nutrire perplessità, ma bisogna anche prendere atto che il mondo è cambiato. In che misura i disagi della transizione digitale sono anche responsabilità degli editori? E cosa dovrebbero fare per alleviare questa sensazione di debolezza?
«Come scriveva Mario Tedeschini Lalli relativamente al recente appello della FIEG (Federazione Italiana Editori di Giornali), se si invocano aiuti per “la transizione al digitale”, vuol dire – come è peraltro evidente da un pezzo – che alla fine del 2022, 25 anni dopo la creazione della prima redazione web dedicata di un giornale italiano, la “transizione” è ancora da venire. Almeno una parte dell’industria editoriale non è ancora “transitata”, è ancora saldamente dov’era prima – e dove – sostanzialmente, spera sempre di restare, almeno culturalmente».

In conclusione, una domanda di ampio respiro. Possiamo effettivamente considerare oggi le piattaforme e i social, dei veri e propri media? In quel caso tutto il discorso andrebbe reimpostato. Non solo per quanto riguarda il rapporto tra piattaforme e media ufficiali, ma anche tra piattaforme e utenti-produttori di contenuti.
«Sono certamente dei media, ma non degli editori. Negli ultimi anni molte piattaforme riconoscono ai creator dei compensi. Naturalmente la forza contrattuale di questi giganti tech è a loro favore rispetto a quella dei singoli utenti-produttori di contenuti, ma anche molte testate, pure in Italia, hanno l’area blog del loro sito dove usufruiscono di contenuti forniti gratuitamente dai singoli. Aspetto del quale invece si parla poco o nulla».

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