Politica

Data delle primarie e voto on-line agitano il Pd

10
Gennaio 2023
Di Ettore Maria Colombo

Due questioni agitano la ripresa dell’anno nuovo, in casa dem. Il primo è la data delle primarie, la seconda è la modalità di voto: se cioè introdurre, o meno, anche il voto on-line, per le primarie. 

Il rischio di partecipazione flop alle primarie 

Il problema è che, questa volta, la competizione interna delle primarie, che di solito accende gli animi, ‘non buca’. Né sui media né tantomeno tra gli iscritti. Il rischio, presente a tutti i contendenti, è il rischio flop delle primarie di febbraio. Dai tre milioni e mezzo di elettori ai gazebo del neonato Pd nel 2007, quando si sfidarono per la leadership Walter VeltroniRosy Bindi ed Enrico Letta (vinse Veltroni) fino a una previsione allarmista di appena 150 mila partecipanti, passando per quel milione e mezzo che nel 2019 diedero la segreteria a Nicola Zingaretti e che, ai tempi, rappresentarono il punto più basso di partecipazione. Il rischio dei gazebo deserti prende la forma dell’ennesimo scontro tra i dem: Elly Schlein ha proposto il voto online. Per la candidata della sinistra, che punta ad allargare la partecipazione, le primarie dovrebbero tenersi sia in presenza nei gazebo che online: secondo i sostenitori della sua mozione la spinta del voto digitale potrebbe ‘valere’ 2 milioni di elettori, contro un potenziale dei gazebo di 500 mila votanti. Ma Stefano Bonaccini, il governatore dell’Emilia Romagna, dato per favorito nella competizione per la segreteria, è contrario. Il ragionamento di Bonaccini è: non si è mai fatto, non si è mai visto, i gazebo sono gazebo. E soprattutto chi verificherebbe la correttezza delle procedure? Il governatore ha già detto sì a un partito flessibile, ampio e aperto ai movimenti e a soggetti esterni come Articolo 1 (che voterà in massa per la Schlein), ma chiede anche un po’ di controllo. Bisogna evitare insomma di finire nel guazzabuglio delle piattaforme digitali: l’esempio dei grillini insegna e non depone certo a favore. 

Schlein insiste per introdurre il voto on-line

Schlein insiste. Se è un No, vuole sentirselo dire nella Direzione del Pd di mercoledì prossimo, dove si deciderà su regolamento, commissione elettorale e cronoprogramma del congresso dem. La gara è all’ultimo voto. Paola De Micheli sul voto online dice: «Aspetto proposte concrete, basta che si salvaguardi l’interesse del partito». Gianni Cuperlo non è sfavorevole in principio, però avverte: «Purché non si tratti di fare arrivare truppe cammellate sotto forma digitale. Se c’è un albo trasparente e una registrazione 48 ore prima, con l’iscrizione all’albo degli elettori, possiamo discuterne».

Di confronto in corso parla anche Stefano Vaccari, il responsabile organizzazione del Pd, che ricorda le primarie “miste”, in presenza e online per la scelta dei candidati sindaci Roberto GualtieriMatteo Lepore e Stefano Lorusso. Vaccari sottolinea inoltre, a svelenire le tensioni, che è invece “serena” la discussione con cui si deciderà la data definitiva delle primarie.

Il fronte Schlein, in ogni caso, insiste. L’obiettivo è quello di scongiurare l’ipotesi di un’astensione in massa, venendo incontro con il voto telematico a quanti decideranno, o saranno costretti per diverse ragioni, di disertare i gazebo. «A me le primarie on-line piacciono» dice il candidato del centrosinistra in Lombardia, Pierfrancesco Majorino. Ma dal fronte Bonaccini si ribadisce il no. Il sindaco di Firenze, Dario Nardella, mette a verbale: «dobbiamo essere seri: non possiamo cambiare le regole del gioco in pieno congresso». 

Per quanto riguarda il garante del percorso, Enrico Letta, fonti parlamentari a lui vicine assicurano che se ci fosse il rispetto rigoroso dello statuto e l’unanimità di consensi fra tutti i competitor, il segretario dem non si metterebbe di traverso a questa possibilità. Fatto sta che, al momento, questa unanimità di vedute è lontana e, dunque, non se ne farà nulla, in Direzione. 

Vantaggi e svantaggi del voto on-line

“Potevano chiedere il voto online 2 mesi fa e non aspettare che si arrivasse a un mese e mezzo dalle primarie”, commenta una dirigente dem. E i contrari al voto online paventano una scarsa trasparenza nei risultati e un pericolo per la riservatezza dei partecipanti. «Il voto online non garantisce né certezza su chi realmente digita il voto, né riservatezza sulla scelta dell’elettore: modalità digitali di voto si prestano a manipolazioni e a interferenze di cui abbiamo molti esempi», spiega ad esempio Piero Fassino. 

Un dirigente dem, però, fa notare che i precedenti dicono altro. «L’articolo 12 consente di optare per soluzioni che possono anche prevedere il voto online. È accaduto in occasione delle ultime amministrative a Roma, a Torino e a Bologna. I procedimenti approvati, in quelle occasioni, prevedevano che il voto online si affiancasse a quello fisico, nei gazebo, e non lo sostituisse». Quindi, è il ragionamento, articolo 12 o meno, «non è un problema formale, ma solo politico. A voler essere onesti intellettualmente, il problema non è la sicurezza e la riservatezza di chi vota. Con lo Spid l’identità è certa e rimane segreta. Il problema, semmai, è l’opposto: garantire la correttezza del voto fisico».

La verità è che la Schlein – la cui piattaforma “Parte da noi” ha raccolto la ragguardevole cifra di 19 mila iscritti, di cui 400 amministratori locali (ma quelli pro-Bonaccini sono già più di mille) – deve invertire sondaggi, riservati e non, che la danno sempre indietro, rispetto a Bonaccini, soprattutto nel corpaccione dei militanti e iscritti. Ecco perché punta soprattutto sul voto d’opinione che, alle primarie aperte, può ribaltare il risultato della prima fase, riservata agli iscritti, con una modalità, il voto on-line, a lei più consona, specie su target specifici come giovani e donne. Ma anche Bonaccini ne uscirebbe come un segretario ‘dimezzato’, da una scarsa affluenza alle primarie non solo verso gli avversari ma anche verso gli ex segretari dem. L’asticella di almeno un milione di partecipanti, rispetto al milione e 600 mila che incoronarono Zingaretti, diventa quasi minimale. Non aiuta neppure il calo degli iscritti. Erano 320 mila nel 2021 e rischiano di essere molti di meno. 

Il rinvio delle primarie al 26 febbraio è certo

Praticamente certo è invece lo slittamento dei gazebo di una settimana: dal 19 al 26 febbraio. L’ufficialità ancora non c’è, ma almeno su questo i 4 candidati si avviano a siglare l’accordo. Se ne parlava da giorni nel Pd, tra smentite e accelerate, e alla fine il punto di incontro si sarebbe trovato tra i quattro candidati alla leadership. Le primarie si terranno il 26 febbraio, per allontanare la data dalla Regionali di Lazio e Lombardia del 12 febbraio e attenuare, dunque, i contraccolpi di quelle elezioni sui gazebo. Lo hanno chiesto anche e soprattutto i circoli e le Direzioni regionali: in pratica, non garantiscono la capacità di fare, insieme, campagna elettorale alle Regionali e organizzazione dei gazebo per le primarie. “I circoli e le strutture territoriali non ce la fanno a gestire insieme le due cose” l’appello.

Dal Nazareno filtra, però, sul punto, la posizione gelida di Enrico Letta: «Per il segretario la data per le primarie resta quella del 19 febbraio in linea con quanto già deciso. Eventualmente sarà la Direzione a valutare la richiesta dei candidati, essendo delegata a gestire anche l’ingorgo creato dal voto imminente per il rinnovo delle amministrazioni regionali». Letta è piccato perché era stato il primo a proporre tempi più lunghi (primarie finali a marzo inoltrato) ma si era scontrato con l’insoddisfazione di mezzo partito (area Bonaccini, donne dem, direzioni regionali) che, invece, gli avevano messo fretta e avevano imposto, a lui recalcitrante, l’anticipo dei tempi. Ora, è il sottotesto di Letta, assumetevi voi la responsabilità di cambiare di nuovo il calendario. 

L’ipotesi, stando a quanto viene riferito, sarebbe di porre termine alle iscrizioni (rinnovi compresi) entro il 30 gennaio e dal 3 al 19 febbraio concludere i congressi di circolo. Il 26 febbraio, secondo questo schema, si terrebbero le primarie. 

L’area di Bonaccini, il più contrario a un ulteriore slittamento, ha alla fine accettato il rinvio di una settimana, inserendolo però in una serie di regole, quelle appena elencate: le iscrizioni per partecipare alla prima fase del congresso si chiuderanno il 30 gennaio. Non ci si potrà cioè più iscrivere dopo quella data per votare. Tra il 30 gennaio e il 3 febbraio verrà compilata dai circoli una anagrafe degli iscritti, per impedire il rischio di doppi voti in fase di assise (in chiave antifrode c’è un limite alle tessere acquistabili con una sola carta di credito). Solo dopo, il 3 febbraio, partirà dunque il voto dei tesserati che si concluderà entro il 19 febbraio e stabilirà chi andrà al ballottaggio e si disputerà la segreteria nei gazebo (solo due candidati su quattro). Quando sulla procedura sembrava cosa fatta, ecco il braccio di ferro sul voto online. Malumori anche in Campania, dove alcuni dirigenti dem hanno chiesto la sostituzione del commissario Francesco Boccia, in campo per Schlein. Letta risponde garantendo correttezza e trasparenza. La competizione, dunque, si accende. All’Espresso, Schlein ammette: “Nei Palazzi sembro una aliena, ma forse è un bene”. “Io rappresento i moltissimi competenti che il partito ha tenuto in panchina”, è il mantra di Bonaccini.

La verità è che la Schlein è indietro nei sondaggi, mentre la candidatura di Gianni Cuperlo le rosicchia voti e consensi a sinistra: molti intellettuali e professori fanno dichiarazioni di voto per l’esponente storico della sinistra dem e comitati a suo sostegno vengono aperti in molte regioni, dall’Emilia-Romagna fino alla Sicilia. 

La gara tra i candidati e il ‘caso Morani’

Bonaccini, intanto, prova a sfuggire al dibattito sulle ‘regole’ (“appassionano la ristretta cerchia dei gruppi dirigenti”) e più dei problemi dei cittadini “così sarà più facile convincerli a votare” ma sa bene che il rischio flop partecipazione c’è (“è inutile stare a discutere di numeri, verrà chi vorrà vedere, non siamo in un momento in cui il Pd è attrattivo, ci vorrà tempo per rigenerarsi, cercheremo di portare più gente possibile”) e infatti avverte che “metterci 5 o 6 mesi per fare un congresso è una roba da marziani. Questa è una di quelle cose che se vinco voglio cambiare”. 

Una delle cose da ‘cambiare’, però, nel Pd è anche un maschilismo imperituro che – al di là delle belle parole sui diritti delle donne – non accenna a morire. Succede alla ex deputata marchigiana Alessia Morani, che ha pubblicato sui social (Instagram), il giorno del suo compleanno, una foto del tutto innocente e in cui era solo ben vestita e ben truccata, per nulla volgare, ma che è stata ritenuta, da sedicenti ‘progressisti’, inopportuna e inappropriata. A criticarla, in particolare, è tale Michele Testoni, vicepresidente del comitato del Pd e del Psoe di Madrid, che ha scritto: “una deputata del mio partito dovrebbe evitare questo reiterato tipo di fotografie, decisamente inappropriate”. Morani reagisce parlando, giustamente, “di un partito, il mio Pd, profondamente maschilista che vuole mortificare la femminilità. Roba da Medioevo. A destra sono più avanti di noi e ci danno lezioni”. 

Invece, la Schlein non può che invitare i non iscritti a “iscriversi al Pd per cambiarlo”, anche se sa, a sua volta, che il tasso di iscrizioni è basso. 

Riparte anche il dibattito sulle alleanze…

Per quanto riguarda le alleanze, dopo molti svincolamenti, ora i candidati ne parlano un po’ tutti, anche se in modo decisamente generico. Proprio la Schlein apre a “battaglie comuni” con altri partiti, ma parla soprattutto dei 5Stelle, infatti cita il salario minimo (“sarebbe irresponsabile non fare fronte insieme su questo”) mentre chiude, di fatto, al Terzo Polo (“dobbiamo voltare pagina rispetto alle scelte renziane”). 

Anche Bonaccini – che dice un netto ‘no’ ad andare al governo “se non si vincono le elezioni” e che annuncia che “con me alla guida nessuno del gruppo dirigente si candiderà nei collegi uninominali sicuri per vincere facile le elezioni. Se sei un leader devi raccogliere i voti veri”, promettendo, dunque, primarie di collegio – parla di alleanze, ma in modo più generico, senza preclusioni verso nessuno (5Stelle e Terzo Polo). Si dice aperto alle alleanze con tutti (5stelle o Terzo Polo che siano) ma “mai da una posizione di subalternità, sempre partendo dai programmi”.

«L’importante – sottolinea il governatore – è che le alleanze non si facciano a tavolino per battere gli avversari, ma sui programmi». Fredda la replica dei pentastellati che invitano a mettere alla prova il candidato della regione Lazio del centrosinistra, D’Amato, sul termovalorizzatore, tema a loro caro, indicando la distanza su questo per giustificare la rottura della coalizione con il Pd. 

Il governatore però è convinto che “le opposizioni, che hanno perso tutte e tre le elezioni, dovrebbero provare a trovare alcuni minimi comuni denominatori per fare una battaglia politica nel Paese, ognuno con la sua autonomia” e, parlando del rapporto con il M5s, Bonaccini aggiunge: «Vedo che si occupa molto di noi. Credo che debba occuparsi di più di fare opposizione al governo Meloni. Mi auguro che non si faccia competizione tra di noi, visto che le elezioni non le ha perse solo il Pd. Il Movimento 5 stelle, ricordo agli italiani, ha perso più della metà dei voti assoluti». Ciò non toglie che – assicura – «solo un folle può pensare che il Pd si possa candidare da solo, in una Regione o per il Paese. Anzi, andando da solo, si perde e basta». 

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