Politica

“Manca un punto. Non sono ricattabile”… Lo scontro tra Meloni e Berlusconi tocca lo zenit

15
Ottobre 2022
Di Ettore Maria Colombo

“È venerdì!”. I deputati votano e già corrono a godersi il sole di una Roma ‘settembrina’. Almeno stavolta, tutto va come doveva andare. O quasi, come vedremo meglio poco più avanti. Anche le condizioni atmosferiche sono ottimali. A Roma torna il clima da ‘settembrata’ (romana, appunto) e i deputati – insomma, santo Iddio! È pur sempre venerdì! – vogliono godersi bar, ristoranti, il gelato di Giolitti, il Pantheon, i ristoranti (Maxelà, PaStation, il Sostegno, etc.) dove fino a ieri impazzavano i pentastellati (“Volevate aprire il Parlamento come una scatola di tonno e il tonno siete diventati voi!” gli urlò, ai tempi, Giorgia Meloni, e aveva ragione lei…), un po’ di sano ‘struscio’. Un po’ di ‘dolce vita’. Anche quelli di ‘destra-destra’, ecco, che in fondo sono uomini (e donne), mica ‘caporali’, per Dio. 

Infatti, compiuto il ‘dovere’ dell’alato ufficio (due giorni due di votazioni: che barba, che noia!), scappano via tutti come lepri e il centro si riempie, oltre che di turisti, di parlamentari che, specie quelli nuovi, si sentono già belli che ‘in vacanza’. Tanto, le decisioni che contano – il governo da fare – si prendono altrove, cioè negli uffici dei leader, mica in Aula o in Transatlantico. Politicamente, va tutto bene? Insomma, di mattina pare di sì, a sera assai meno.

Certo, la mattinata a Montecitorio è una girandola di incontri e selfie. Ignazio La Russa raggiunge la Meloni negli uffici della Camera e poi va al ristorante con i suoi. La deputata di FdI, Carolina Varchi, si porta dietro la figlia piccola che poi affida alle cure del padre, mentre lei va in Aula a votare. Meloni, in Aula, viene ‘paparazzata’ da diversi deputati. Così come Fontana e Salvini. 

Ma i fatti di ieri al Senato restano come un’ombra nella maggioranza, nonostante Salvini minimizzi parlando di “un piccolo incidente di percorso”. 

Fontana viene eletto senza patemi d’animo, ma anche qui non mancano alcune defezioni…
Certo è che, manco è arrivata l’ora di pranzo e già il deputato e vicesegretario della Lega, Lorenzo Fontana, viene eletto presidente della Camera dei deputati: 222 i voti a favore per lui su 392 votanti (plenum: 400). Tranne alcune defezioni, una quindicina (il pieno del centrodestra farebbe 237), i deputati della coalizione di centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi moderati) lo hanno votato, e in modo compatto. 

Le defezioni, pur se piccole, però ci sono, eccome. Al candidato leghista arrivano ben 12 voti di meno rispetto a quelli che ha la maggioranza a Montecitorio: le schede con il suo nome sono 222, ma la somma degli eletti di FdI-FI-Lega e Noi Moderati fa 237. Unico giustificato è il parlamentare di FI Andrea Orsini che avverte di essersi preso il Covid e pertanto, come da prassi, risulta in missione e non vota. Sulle assenze degli altri 12 resta, cupo, il mistero. 

Oltre a Fontana prendono voti anche Maria Cecilia Guerra (Pd, 77 voti), Cafiero De Raho (M5s, 52 voti) e Matteo Richetti (Azione, 22 voti). Le opposizioni, cioè, si dividono in tre. Divise su tutto, unite su nulla, si guardano torve, Letta e Conte manco si salutano, quelli di Az e Iv a stento si salutano persino tra di loro (regna già un ‘clima di sospetto’ tra Renzi e Calenda, pare). 

L’applauso, ma solo della maggioranza (le opposizioni, schifate, restano a braccia conserte), arriva a spoglio in corso. È la quarta votazione (le altre tre, andate tutte e tre a buca, si sono tenute il giorno prima: un profluvio di ‘bianche’) quando l’ex ministro, noto per le sue posizioni anti Lgbt, antiabortista, cattolico tradizionalista, filo-putiniano, etc., supera l’asticella del quorum. 

Il discorso del neo-presidente è ‘ecumenico’…
Il neo-presidente, che poi sale al Colle per essere ricevuto dal Capo dello Stato, come ha fatto, appena il giorno prima, Ignazio La Russa, ha messo su l’abito ‘buono’ (un completo blu elettrico, taglio sartoriale assai ‘ministeriale’), tiene un discorso il più possibile ‘ecumenico’ (cita Papa Francesco, san Tommaso d’Aquino, il beato Carlo Acutis, ignoto ai più). Si tiene assai alla larga dallo scottante (per lui) tema dei diritti civili, ringrazia Umberto Bossi, “senza il quale non avrei mai fatto politica” (Bossi è presente: viaggia e gira in carrozzella, ma è assai tonico). 

Poi il neo-presidente vira sull’orgoglio “italiano”, senza dimenticare il tema delle ‘autonomie’ differenziate, care alla Lega. Parla di necessità di “non omologazione”, di minoranze “da tutelare”: pensa soprattutto, citando gli ‘ultimi’, ai “disabili e alle loro famiglie”, altro tema a lui molto caro. 

Certo, qualcuno, nella Lega, sospira: “Riccardo (Molinari, che resterà capogruppo della Lega, ndr.) sarebbe stato perfetto: preparato, solido, autonomo e pure antifascista” dicono i leghisti che ancora mal sopportano l’esondazione dei ‘fratelli’ (e ‘sorelle’) d’Italia, arrivati in massa. Ma Molinari ‘paga’, oltre a colpe non sue (un pretestuoso processo a suo carico: non c’è nulla), l’eccessiva autonomia da Salvini, forse persino il suo ‘antifascismo’ (lo è di famiglia), verso FdI, il fatto di non essere un ‘tradizionalista’ cattolico. 

La Lega festeggia e non sta più nella pelle…
Salvini, ovviamente, è felice. Entusiasta. Ebbro. Aspetta che l’amico Lorenzo, sodale di mille battaglie (fu lui a presentarlo a Marine Le Pen), rientri dalle presentazioni formali al Quirinale, per abbracciarlo e festeggiarlo come si conviene. 

Fontana sale negli uffici della presidenza, mentre gli eletti della Lega, guidati da Salvini, Roberto Calderoli e Giancarlo Giorgetti si concedono ai fotografi che li immortalano sorridenti e plaudenti davanti al portone di Montecitorio. Subito dopo Salvini raggiunge Fontana, ma non prima di aver ufficializzato ai cronisti l’indicazione di Giorgetti al Mef e la sua disponibilità ad andare alle Infrastrutture (altro che Agricoltura, ecco…). 

Quindi, vede Giorgia Meloni nel cortile della Camera, parla e scherza con Bossi (neppure voleva candidarlo, alla fine il Senatur è stato ‘ripescato’ grazie all’effetto flipper…) e assicura che la delegazione del centrodestra andrà compatta al Quirinale per le consultazioni. 

Giorgia Meloni – vestita con un completo che ‘sa’ già di premiership, forse è il caso di aspettare – dice: “Anche qui alla Camera buona la prima. Stiamo procedendo in modo spedito, sono contenta, le mie congratulazioni a Fontana”. 

Resterebbe da dire delle opposizioni, ma qui mancano gli occhi anche solo per piangere… 
Resterebbe da dire dalle opposizioni, ma qui non restano che gli occhi per piangere. Divise, rissose, si guardano con sospetto, manco si salutano e adottano strategie patetiche oppure demenziali. Ognuno (Pd, M5s, Az-Iv) si vota il suo candidato. 

Quella del Pd, che prende pure i voti di Verdi-SI, è Cecilia Guerra, che manco è dem, ma di Art. 1 (fece la scissione dal Pd di Renzi per Mdp), ha fatto la vice-ministra all’Economia, e va bene, ma insomma, il Pd non ne ha proprio, di migliori? Il Terzo Polo va su Richetti, che è tanto bravo, ma insomma, come presidente della Camera, sarebbe pure un po’ troppo. I contiani sull’ex pm De Raho – uno che starebbe bene nell’Inquisizione di Torquemada o in un governo di Robespierre. 

Lo striscione ‘anti-omofobo’ di Zan e Scarpa
Tutti voti dispersi, inutili. Ma il Pd una ne fa e cento ne pensa. Lancia Alessandro Zan, alfiere del ddl omonimo, alla carica di vicepresidente. “Tanto vale che eleggiamo la Schlein segretario e chiudiamo bottega” quasi urla un catto-democrat. Lui, Zan, si dice pronto per l’alto incarico e, con la deputata più giovane d’Italia, Rachele Scarpa, srotola uno striscione pro-diritti civili e, dichiaratamente, ostile al neo-presidente eletto. 

Succede all’inizio della chiama: Alessandro Zan espone in Aula uno striscione con la scritta “No a presidente omofobo e pro Putin”, aiutato nell’impresa dalle due matricole del Pd, Rachele Scarpa e Sara Ferrari. Il presidente di turno, Ettore Rosato, lo fa rimuovere, ma lo sdegno del Pd è irrefrenabile. Enrico Letta su Twitter scrive: “Peggio di così nemmeno con l’immaginazione più sfrenata. L’Italia non merita questo sfregio”. 

I deputati dem seduti sotto, però, a Zan e alle giovani dem, li guardano strano, come si guardano due giovani simpatici matti. Sipario.

Il clima, nella maggioranza, sembra ‘chetarsi’, ma resta quello che è, e cioè ‘pessimo’…
In ogni caso, cosa fatta, capo ha. Politicamente, dopo il grande ‘baillamme’ del giorno precedente, al Senato, Berlusconi, fa il beau geste: convoglia i suoi su Fontana, lanciando però un avvertimento (alla Meloni): “Votiamo Fontana per non sprecare altro tempo, ma da noi devono passare. Giorgia Meloni non può mica pensare di andare avanti con i voti dell’opposizione”. Il clima, cioè, resta quel che è. 

Pessimo. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, temperamento focoso, forse già dimentico di essere diventato la seconda carica dello Stato, ha l’ardire di ‘chieder conto’ a Berlusconi di quel foglietto di appunti comparso sul banco al Senato: “deve dire che sono un fake, ma lo deve dire lui”. Chiede, in buona sostanza, al Cav di smentire se stesso e questo non è nel novero delle cose che uno come il Cavaliere potrebbe mai accettare… 

E la Meloni, in serata, aggredisce, dritta per dritta, il Cavaliere, uscendo dal suo ufficio di Montecitorio: “Io non sono ricattabile”. Morale, il governo da fare resta ancora tutto in alto mare.

Giorgia Meloni esplode: “Io non sono ricattabile!”. Lo scontro con Berlusconi raggiunge lo zenit
Insomma, manco è finita la mattinata, con Lorenzo Fontana presidente della Camera, ed ecco che le ruggini del giorno prima, che non si erano affatto sopite, e si sentono, esplodono. 

Lo scontro tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni tracima il livello di guardia, è allo zenit. Se è vero che alla Camera gli azzurri votano per Lorenzo Fontana evitando così un nuovo frontale, è altrettanto vero che la tensione per la composizione della lista dei ministri rimane immutata. A complicare i rapporti tra i due sono proprio le (nuove) foto degli appunti del Cavaliere sul suo banco, ieri, a palazzo Madama. 

Un foglio in cui il leader azzurro bolla la presidente di Fdi come “supponente, prepotente, arrogante e offensiva”. Un’escalation di aggettivi a cui la premier in pectore replica con durezza: “Mi pare che tra quegli appunti mancasse un punto e cioè ‘non ricattabile”. Parole che la dicono lunga sullo stato dei rapporti tra i due. Prima ancora di Meloni, era stato, appunto, il presidente del Senato, Ignazio La Russa, a chiedere spiegazioni a Berlusconi: “Dichiari quello di cui io sono quasi certo, che è un fake, però deve dichiararlo lui, non posso dirlo io”.

La tentazione di FdI: ‘spaccare’ Forza Italia
I nervi restano tesi, nonostante le trattative per il sudoku del governo non si siano mai interrotte. Ma senza un chiarimento tra i (due) leader – che, ormai, Meloni e Salvini vanno d’amore e d’accordo, e già questo è tutto un bel dire… – appare complicato mettere la parola fine alla definizione della squadra di governo.
L’ex premier, ieri, si è chiuso a villa Grande con lo stato maggiore del partito e tiene il punto, anzi rilancia: “ora sta alla Meloni dare un segnale”, è il messaggio che consegna ai suoi. Definitivo.

Il centrodestra ha davanti ancora una settimana per provare a sciogliere i nodi e completare tutte le caselle dell’esecutivo. Forza Italia cercherà in tutti i modi di tenere alta la tensione per provare ad ottenere qualcosa tra le richieste messe sul tavolo di Giorgia Meloni. E dall’esito delle trattative, Berlusconi deciderà se dare seguito o meno alla possibilità di recarsi solo con la delegazione azzurra al Colle per le consultazioni. Andarci da ‘solo’, cioè come FI, è come dire: voglio rompere e la cosa metterebbe a rischio lo stesso governo. 

Il nervosismo però non distoglie la leader di FdI dal suo obiettivo e cioè chiudere in fretta il capitolo governo, lasciando cadere nel vuoto le polemiche, persino rischiando di presentare una ‘squadra’ che non trova il consenso di Berlusconi. Squadra dove Licia Ronzulli ‘non’ è prevista neppure in un dicastero minore, per esser chiari. Nessuna intenzione di modificare lo schema deciso, dunque, e di conseguenza anche l’assegnazione dei ministeri, ormai già stabilita. 

Il Cavaliere però si trova a dover fare i conti non solo con la tensione sul governo, ma anche con il caos dentro il partito. Raccontano di contatti tra alcuni esponenti di azzurri – anti-Ronzulli – e la figlia di Berlusconi, Marina, per lamentarsi di quanto accaduto ieri. Inoltre, sotto la lente di ingrandimento finiscono anche le mosse dei centristi. In particolare, l’incontro che c’è stato tra Lorenzo Cesa (Udc) e Francesco Lollobrigida, capogruppo uscente di FdI e fedelissimo di Giorgia Meloni. Al centro dell’incontro la possibilità, paventata dagli gli uomini dell’Udc, di dar vita a un gruppo centrista cui non sarebbe estraneo neppure Lupi con i suoi ‘Noi Moderati’. Un contenitore che potrebbe presto diventare ‘attrattivo’ per quanti, dentro Forza Italia si oppongono a Licia Ronzulli finita nella bufera perché, secondo una parte degli azzurri, quelli vicini a Tajani, rea di aver contribuito ad alzare lo scontro con Giorgia Meloni. Certo, in serata, un ‘omone’ come Guido Crosetto, vicinissimo alla Meloni, assicura a un amico che “in politica, dopo che ti fai la guerra, si trovano sempre spazi di pace”… Sarà. A ieri sera, però, il clima era pessimo.