Esteri

Mikhail Gorbaciov, doppio ritratto di un leader

01
Settembre 2022
Di Beatrice Telesio di Toritto

L’11 marzo 1985 il Politburo elesse Mikhail Gorbaciov come Segretario Generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica senza sapere che ne sarebbe stato anche l’ultimo. Nel diventare il nuovo leader sovietico, ereditò la guida di una delle due superpotenze mondiali in uno dei momenti di massima tensione del sistema internazionale.

La Guerra Fredda sembrava essere entrata allora in una fase di “congelamento profondo” che avrebbe potuto dar vita a un confronto nucleare tra le superpotenze con conseguenze catastrofiche per l’interno pianeta. Nessun margine di miglioramento nelle relazioni Est-Ovest sembrava scorgersi all’orizzonte.

Tuttavia, da quando Gorbaciov salì al potere si mise in moto un meccanismo di profonda trasformazione dell’intero contesto internazionale: in soli cinque anni si verificarono infatti i cambiamenti forse più significativi di tutta la Guerra Fredda che portarono, in modo più o meno diretto, alla fine delle ostilità. Tali cambiamenti furono in gran parte espressione e risultato dell’atipicità della sua leadership e del suo desiderio di agire fuori dagli schemi.

Gorbaciov infatti salì al potere convinto della necessità di rendere lo stato sovietico, e più in generale il comunismo, più efficiente, più dinamico e maggiormente in linea con le esigenze del tempo. A tal fine, mise in moto un complesso e ampio sistema di riforme, passato alla storia sotto il nome di Perestrojka, per affrontare le sfide economiche e sociali che venivano poste negli anni Ottanta da contesto internazionale in continuo cambiamento. Il tutto tenendo sempre fede a quelli che erano i suoi valori e la sua ideologia, a lui molto cara.

Gorbaciov mirava a sostituire gli ideali di classe con valori universali, a legittimare la libertà di espressione, di stampa, di associazione e di religione, a sostenere un processo di democratizzazione del sistema sovietico e a evitare l’uso della forza e della violenza come strumento per il raggiungimento degli obiettivi. Si puntava quindi a bloccare la corsa agli armamenti e a porre fine, per quanto possibile, alle ostilità con l’Occidente, aprendo così l’Unione Sovietica al mondo.

Per fare tutto ciò era consapevole di dover rivedere i rapporti con gli Stati Uniti nel tentativo di abbassare il livello e il costo della competizione internazionale e stabilire una pace duratura. Queste convinzioni lo hanno spinto a condurre l’Unione Sovietica, e tutto il blocco orientale, in una direzione che di fatto invertiva la rotta rispetto a quella adottata dalla superpotenza fino a quel momento. Gorbachev scelse di rinunciare, così, all’idea marxista-leninista-stalinista dell’inevitabilità del conflitto mondiale tra capitalismo e comunismo, accettando l’interdipendenza tra tutti gli Stati del mondo e ponendo il benessere dei suoi concittadini sopra l’ideologia.

La storia più recente dimostra come non molti leader al mondo possono vantare una tale lungimiranza. L’ex leader sovietico era infatti convinto di come nessuno stato avrebbe dovuto affidare la propria sicurezza al potere militare, dovendo essa, invece, essere garantita attraverso mezzi politici e diplomatici che avrebbero favorito il confronto con l’altro e creato un sistema globale di sicurezza internazionale. La peculiarità della sua leadership e l’innovazione della sua politica furono così estreme da configurarsi come fattori essenziali e determinanti per il raggiungimento della pace. È probabilmente con questa consapevolezza che molti esponenti politici occidentali stanno commemorando in queste ore la sua morte, facendo spesso riferimento al suo ruolo guida nel processo di pace di fine secolo e ricordandolo come un eccellente statista e un grande uomo politico.

La stessa consapevolezza che ha spinto il Comitato per il Nobel per la pace a designarlo vincitore nell’ottobre del 1990, quando era ancora a guida dell’URSS. La stessa che ha spinto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a ricordare in sua memoria come «il debito nei suoi confronti è grande, soprattutto da parte degli europei».

Tuttavia, non si può dire che lo stesso accada anche in Russia. Anzi. La complessità di una figura come quella di Gorbaciov si rispecchia anche nella visione controversa che si ha di lui, particolarmente accentuata tra Occidente e Russia post-sovietica. Fino ad oggi, la reputazione di Gorbaciov tra i suoi compatrioti è stata prevalentemente negativa. Era abbastanza comune che l’ex leader sovietico venisse considerato alla stregua di un traditore, responsabile della dissoluzione dell’Urss e della fine della grandezza sovietica. Una visione meno critica della figura di Gorbaciov in Russia esiste ma sicuramente non va per la maggiore, essendo circoscritta ad alcuni ambienti liberali, ormai sempre meno influenti.

Non stupisce allora che, mentre il mondo occidentale celebra e ricorda calorosamente l’ex leader sovietico, Putin abbia riservato per lui un tiepido omaggio nel suo telegramma di condoglianze alla famiglia. Anche con riguardo ad eventuali funerali di Stato, inizialmente dai media russi era filtrato che non si sarebbero tenuti, rendendo nota solo successivamente la loro organizzazione a Mosca per sabato prossimo.

Nonostante tali differenze di opinione, gran parte degli storici e della letteratura concorda nel ritenere Gorbaciov uno degli individui che ha più lasciato il segno nella storia contemporanea, diventando lui stesso motore, guida e protagonista indiscusso del cambiamento internazionale. È possibile che il mondo, così come noi lo conosciamo, non sarebbe stato lo stesso senza una leadership fuori dal comune come quella di Mikhail Gorbaciov.

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