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Usa 2024: – 325, nella giungla giudiziaria, l’11 gennaio un punto fermo, sentenza a New York

15
Dicembre 2023
Di Giampiero Gramaglia

Nella ridda di procedimenti giudiziari che caratterizza questa fase della corsa a USA 2024, c’è un punto fermo: l’11 gennaio, quattro giorni prima dell’avvio delle primarie repubblicane in Iowa, è atteso il verdetto del processo civile a New York sui beni gonfiati della Trump Organization, holding di famiglia di Donald Trump. Fra gli imputati, con il magnate ex presidente, i suoi due figli Donald Jr ed Eric.

Le testimonianze si sono concluse questa settimana, dopo che il magnate ha rinunciato a deporre una seconda volta – la prima era stata un fiume in piena. La procuratrice generale dello Stato Letitia James ha chiesto una sanzione da 250 milioni di dollari e il ritiro delle licenze per svolgere attività imprenditoriale nello Stato di New York.

Per tutto il resto, siamo in fase di stallo. Trump ha procedimenti giudiziari federali a Washington e in Florida, statali in Georgia e locali – un altro, a New York -, gli sviluppi di alcuni dei quali sono però subordinati a pronunciamenti della Corte Suprema attesi a gennaio, in particolare sul fatto se egli goda o meno di immunità per gli atti commessi quando era presidente.

Sul fronte opposto, è ‘in sonno’ l’inchiesta per impeachment appena formalizzata dalla Camera contro il presidente Joe Biden, perché i deputati hanno sospeso i lavori fino a dopo l’Epifania.

Per le elezioni di USA 2024 avranno un peso anche i fatti di cronaca. In un episodio di cronaca, infatti, forse connesso al processo civile a Trump, un uomo ha deliberatamente appiccato un incendio nell’edificio della Corte Suprema di New York, dove l’ex presidente è attualmente giudicato: 17 persone sono rimaste lievemente ferie e decine sono state evacuate, tra cui il giudice del processo Arthur Engoron. Lo riferiscono i media locali.

L’uomo, che è stato arrestato, ha prima dato fuoco ad alcuni documenti e poi ha cercato di spegnere l’incendio con un estintore. Il portavoce dell’ufficio amministrativo del tribunale, Al Baker, spiega, in un comunicato, che i vigili del fuoco sono intervenuti in maniera tempestiva, evacuando tre piani del palazzo. La polizia sta indagando per capire se ci sia un collegamento tra il processo a Trump e l’episodio.

L’ex presidente ha intanto subito un attacco da Paul Ryan, ex speaker repubblicano della Camera, candidato vice-presidente con Mitt Romney nel 2012 – le elezioni furono vinte da Barack Obama -. Ryan, che ha lasciato il Congresso nel 2019 e siede nel consiglio di amministrazione di Fox Corp, ha detto, in un’intervista, che Trump “non è un conservatore”, ma è “un populista narcisista autoritario”: “Non pensa nei classici termini conservatori, pensa in modo autoritario”.

Insieme a Romney e ad altri esponenti repubblicani rispettati ma relativamente poco popolari, Ryan, che viene dal Wisconsin, rappresenta l’ala tradizionale del partito conservatore e pone una minaccia interna in vista di USA 2024 a Trump.

Biden è intanto alle prese con notizie contraddittorie, sui fronti della politica estera e di sicurezza e dei rapporti con il Congresso e i suoi stessi collaboratori. Una buona notizia per l’Amministrazione è che il Congresso ha ieri approvato il National Defense Authorization Act, che stanzia per il 2024 una spesa di 886 miliardi di dollari per la difesa nazionale, con un aumento di due miliardi rispetto al 2023. Alla Camera, un centinaio di repubblicani hanno votato a favore insieme ai democratici.

E un’altra buona notizia, se confermata, è che i senatori potrebbero posticipare le vacanze e tornare in aula la prossima settimana, se ci sarà da varare un’intesa su un pacchetto di misure per rafforzare la sicurezza al confine con il Messico, sbloccando così gli aiuti all’Ucraina – i repubblicani li subordinano alla questione dei migranti -.

Invece, lato guerra in Medio Oriente, vi sono fermenti dentro la Casa Bianca. La vice di Biden, Kamala Harris, starebbe spingendo perché gli Usa mostrino maggiore preoccupazione ed agiscano di più per la situazione umanitaria disastrosa a Gaza e dei palestinesi. Secondo Politico, Harris ritiene che gli Stati Uniti debbano essere più “duri” con il premier israeliano Benjamin Netanyahu e spingere con più forza alla ricerca di una “pace di lungo termine e di una soluzione a due Stati”.

L’esistenza di un dissenso all’interno dell’Amministrazione per il sostegno incondizionato a Israele reiterato dal presidente è il fatto che ieri sera un gruppo di membri del suo staff era ad una veglia per Gaza davanti alla Casa Bianca: “Il tuo staff chiede il cessate il fuoco”, recitava uno dei cartelli.

Quasi contemporaneamente, il presidente esortava Israele a “fare più attenzione” per salvare le vite dei civili a Gaza. Troppo poco e troppo timido, per essere incisivo.