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Nato: cambio della guardia al Vertice da Stoltenberg a Rutte, Ucraina resta priorità

01
Ottobre 2024
Di Giampiero Gramaglia

Da un laburista a un liberale, ma, alla Nato, la differenza neppure si nota, perché la linea politica che conta è una sola: l’atlantismo. In questo, Jens Stoltenberg, ex premier norvegese, da dieci anni segretario generale dell’Alleanza atlantica, e Mark Rutte, il suo successore, ex premier olandese, sono in assoluta continuità e sintonia.

Per Stoltenberg, sono stati dieci anni punteggiati dalla recrudescenza della guerra al terrorismo, non più contro al Qaida, ma contro l’Isis; dalla missione in Afghanistan – ingloriosamente conclusasi – dall’accidentato quadriennio di Donald Trump alla Casa Bianca; dalle tensioni con la Russia culminate nell’invasione dell’Ucraina e che hanno innescato un imprevisto allargamento della Nato, con l’adesione di Svezia e Finlandia; infine, dalla guerra fra Israele e Hamas, che sta incendiando tutto il Medio Oriente.

Il passaggio di consegne a Rutte, deciso da tempo e sancito al Vertice dell’Alleanza, a Washington, in luglio, avviene in un momento di estrema tensione internazionale, con conflitti aperti di cui non s’intravvede l’epilogo, e di grandi interrogativi atlantici: le elezioni presidenziali negli Stati Uniti del 5 novembre diranno se gli Stati Uniti e i Paesi europei potranno portare avanti la loro alleanza senza troppi sussulti – nel caso di vittoria di Kamala Harris – o se dovranno metaforicamente «allacciare le cinture di sicurezza», in caso di vittoria di Donald Trump.

Rutte è il quarto segretario generale Nato olandese – la Gran Bretagna ne ha avuti tre, il Belgio due – dopo il recordman Joseph Luns, alla guida dell’Alleanza per 13 anni, dal 1971 al 1984, passando attraverso quattro presidenti degli Stati Uniti, Dirk Stikker e Jaap de Hoop Scheffer. Stoltenberg se ne va con un’anzianità di servizio seconda solo a quella di Luns, dieci anni esatti e tre presidenti degli Stati Uniti.

Per tutto il tempo che Stoltenberg è stato alla Nato, Rutte è stato premier olandese: quasi 14 anni d’ininterrotto servizio, dall’autunno 2010 all’estate 2024, «pilotando» il suo Paese fuori dalla crisi del 2008-’09, attraverso la stagione degli attacchi terroristici integralisti, dentro e fuori la pandemia, con posizioni non sempre ortodosse in Europa – l’Olanda era ed è il Paese «frugale» per eccellenza, il più restio ad allargare i cordoni della borsa – ma sempre filo-atlantiche.

Il ricambio quasi generazionale tra Stoltenberg, 65 anni, e Rutte, 57 anni, avviene senza fanfare, perché, per la sicurezza dei Paesi della Nato e del mondo, c’è più da avere paura che da celebrare. Nell’occasione, però, Stoltenberg ha offerto ai governi alleati ed al suo successore cinque «chiavi» per un futuro di successo e – è l’auspicio – di concordia.

«La prima lezione è che la nostra sicurezza non è gratuita: dobbiamo essere pronti a pagare il prezzo della pace», dice, sottolineando che in prospettiva gli alleati dovranno spendere per la difesa ben più del 2% del Pil, l’attuale impegno.

La seconda lezione è che «la libertà è più preziosa del libero scambio»: si è visto con il gas russo e ora con la Cina. «Dobbiamo proteggere meglio le infrastrutture critiche – dice il segretario uscente – evitare di esportare tecnologie che possono essere usate contro di noi e ridurre la nostra dipendenza da materiali critici provenienti da concorrenti strategici».

La terza lezione è che «la forza militare è un prerequisito per il dialogo, come dimostra chiaramente la guerra in Ucraina». In pratica, l’antica saggezza: se vuoi la pace, prepara la guerra. «Non credo che possiamo far cambiare idea al presidente Putin su un’Ucraina libera e indipendente, ma credo che possiamo cambiare i suoi calcoli. Dando all’Ucraina più armi, possiamo far capire al regime di Mosca che non può vincere sul campo di battaglia e che l’unica opzione è venire al tavolo dei negoziati», spiega Stoltenberg.

La quarta lezione è che «il potere militare ha i suoi limiti»: «L’Afghanistan ne è un esempio. Potremmo ancora dovere intervenire militarmente oltre i nostri confini. Ma qualsiasi operazione deve avere obiettivi chiaramente definiti: dobbiamo essere chiari su ciò che la capacità militare della Nato può – e non può – raggiungere».

L’ultima lezione è d’estrema attualità. «Non dobbiamo mai dare per scontato il legame tra Europa e Nord America. Su entrambe le sponde dell’Atlantico, dobbiamo riconoscere il valore dell’Alleanza e investire in essa. Gli europei devono capire che senza la Nato non c’è sicurezza in Europa».

Parole che pesano, nel passaggio di consegne a Rutte. Su di lui la scelta è caduta anche perché ha già avuto a che fare con Trump, se dovesse essere lui il prossimo presidente degli Stati Uniti, e se la cavò piuttosto bene. Il suo insediamento è stato salutato con speranza a Kiev – «Lavoriamo insieme per portare l’Ucraina nella Nato», gli ha scritto il presidente Volodymyr Zelensky – e con distacco a Mosca – «Non cambia nulla».

Non sappiamo se a Bruxelles Rutte andrà a lavorare in bicicletta, come faceva all’Aja. Ma i suoi primi messaggi sono chiari e concreti: bisogna essere forti e, per farlo, servono investimenti; spendere di più per la difesa è difficile per alcuni, ma è necessario; l’Ucraina resta una priorità, ma sull’uso delle armi ogni Paese decide per quelle da lui fornite. Trump? «Non mi spaventa». Piovono le congratulazioni, da Washington e da Berlino, da Londra e da Roma: il primo giorno, è sempre così.

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