Politica

Draghi da Mattarella. Radiografia della possibile crisi di governo

12
Luglio 2022
Di Giampiero Cinelli

Troppa confusione, troppi punti interrogativi. E allora Draghi è costretto a salire al Colle da Mattarella, alle 19 di ieri, per un incontro non programmato in cui ufficialmente si è parlato di Africa, di scenario internazionale e impegni europei, ma che senza dubbio ha toccato anche i temi degli equilibri politici interni. Meglio vedersi, dopo che alla Camera si è assistito a una votazione quantomeno straniante, con il M5S, il più folto gruppo di maggioranza, che non partecipa alla votazione sul Dl Aiuti, un decreto che impiega 23 miliardi in aiuto di famiglie e imprese contro il caro energia e la crisi economica. Il testo è passato con 266 voti favorevoli e 47 contrari, su 313 presenti. 41 leghisti assenti. Tra i grillini solo uno a votare, Francesco Berti, con un sì.

IL VOTO ALLA CAMERA E LE REAZIONI
Una Camera semivuota. Forse perché, in fondo, la questione di fiducia era stata già posta. Ma, considerando il contesto, le assenze vanno interpretate anche come un segno di malumore da tutte le parti. A fare da traino ormai ci sono solo Pd e Forza Italia, la Lega sempre più borbottante, i Cinque Stelle ambigui. Giuseppe Conte ha detto che l’uscita dall’aula non sta a significare uscita dal governo, perché i grillini avevano votato la fiducia, e il gesto è servito solo a puntualizzare. Silvio Berlusconi però non si fida e ha chiesto un verifica della maggioranza. Lette le dichiarazioni del Cavaliere, il pentastellato Federico D’Incà, ministro dei Rapporti con il Parlamento, ha chiamato Paolo Barelli, capogruppo alla Camera di Forza Italia, esprimendo la serenità del Movimento e rassicurando sul futuro. Ma Barelli ha chiesto chiarimenti, dopo aver detto nella discussione a Montecitorio che l’assenza al voto da parte del 5S è un gesto preoccupante, che lo configura come un partito d’opposizione. Berlusconi non ha intenzione di essere ancora diplomatico: «Il governo Draghi è nato grazie a me e non possiamo stare al ricatto di Conte. Se lo facciamo gli elettori non ci seguiranno». La Lega ha giudicato giusto il suggerimento di verifica di FI, Fratelli D’Italia ha chiesto nuove elezioni.

COSA PUÒ SUCCEDERE GIOVEDÌ
Ragionevole temere la crisi di governo. Anche alla luce dell’ipotesi che il M5S non voterà questione di fiducia al Senato sul Dl Aiuti giovedì. Se passa la fiducia il Decreto è approvato definitivamente (dev’essere convertito in legge entro il 16 luglio). Anche con la defezione dei grillini a palazzo Madama, la maggioranza ci sarebbe ugualmente. E a dire il vero Mario Draghi avrebbe ancora i numeri per governare fino a fine legislatura, che scade nella primavera del 2023, visto l’ampio consenso trasversale nell’arco parlamentare, ora rappresentato anche dalla formazione di Luigi Di Maio. Però si sa che i numeri freddi non danno mai certezze assolute in politica. Prova recente ne è la caduta di Conte dopo lo smarcamento di Italia Viva, guidata da Matteo Renzi.

I RUMORS
Circolano voci che l’ex governatore della Bce ne abbia le «tasche piene». Lo avrebbe confidato ad Antonio Tajani di Forza Italia. Dal colloquio è emerso che il premier non sarebbe disposto ad accettare modifiche sul Ddl Concorrenza e in particolare sul capitolo riguardante i tassisti, che stanno protestando. Sono obiettivi fortemente legati al Recovery Fund. Chiare infatti sono le responsabilità che Mario Draghi si è assunto nei confronti dell’Unione Europea. Forse, se il Paese non avesse sottoscritto un patto così cogente, il governo sarebbe già saltato. Ma a ottobre c’è anche la nuova finanziaria da approvare. I partiti avranno il coraggio di mandare l’Italia in esercizio provvisorio? Molto probabilmente no. Per questo è più concreto il rischio di un “governo balneare”, per usare un gergo tipico della Prima Repubblica. Negli ultimi tempi, infatti, le dinamiche sembrano essere tornate quelle del pre-Tangentopoli. Tuttavia nel ventaglio d’ipotesi c’è anche la tenuta dell’attuale assetto, per la quale si dice che Draghi oggi possa anche incontrare Conte per barattare l’appoggio a due dei punti presentati nel suo documento (cuneo fiscale e salario minimo). Le alternative vanno dal rimpasto di governo, con Draghi che resta al timone, un nuovo governo di larghe intese o un governo tecnico, guidato dal ministro dell’Economia, fino alla fine naturale della legislatura. Oppure, per i più esigenti, le urne a settembre-ottobre. Il menù è ricchissimo. C’è solo l’imbarazzo della scelta.