Non una malattia ma una condizione. Per meglio dire, una neurodivergenza, quella dell’autismo, di cui oggi ricorre la giornata mondiale. Gli autistici o coloro che li accudiscono sono i primi a non voler sentir parlare di cure in senso strettamente clinico, del resto non sarebbe realmente possibile, piuttosto la loro lotta è per l’ottenimento di un’ambiente sociale più funzionale alle proprie caratteristiche.
Questo scoglio non è dato solo dall’indifferenza e dall’ignoranza, ma anche da problemi interni alla comunità scientifica che spesso finisce per sotto-diagnosticare o confondere la condizione di autismo con quella di altri disturbi. Da qui derivano anche gli atteggiamenti di perplessità e diffidenza che fanno dire alla gente frasi impulsive del tipo: «Ma adesso sono tutti autistici?», tendendo a pensare che si esageri nella “medicalizzazione della condizione umana”. Certamente il fatto che la curva dell’autismo sia in aumento da decenni induce a riflessioni, tuttavia è lecito anche pensare che prima non vi fosse sufficiente lucidità nell’interpretazione di alcuni elementi.
Il punto, in realtà, è che un quadro epidemiologico affidabile lo si può avere una volta trovato un accordo nel processo diagnostico, eliminando la sproporzione tra diagnosi in età infantile e in età adulta. Ma, al contempo, spesso i bambini non vengono diagnosticati e scoprono solo da grandi che c’era un nome alla loro evidente situazione di disagio individuale e relazionale. Un altro aspetto importante infatti è relativo al concetto di spettro. La condizione autistica non appare omogenea ed estremamente evidente se non nei casi più gravi, spesso invece si manifesta secondo vari livelli, i più bassi dei quali comprendono disfunzioni comportamentali, cognitive e biologiche non nettamente invalidanti.
Stando ai dati del 2016 dell’americano CDC, (Center For Desease Control), che da anni conduce una ricerca epidemiologica in 11 stati Usa sui bambini che via via compiono gli otto anni, c’è una persona con autismo ogni 54. In Italia gli esperti stimano il valore di 1 su 77, come riporta il sito del Ministero della Salute. La variabilità dei numeri dipende, abbiamo già detto, dai criteri valutativi.
Bene però avere un quadro di base della sintomatologia, in modo da poter individuare potenziali avvisaglie da sottoporre ad esperti per un riscontro accurato, paziente e nel caso per iniziare una terapia.
Tra i possibili sintomi, riporta il Ministero della Salute, vi sono «deficit persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione sociale in molteplici contesti (deficit della reciprocità sociale; deficit di comportamenti comunicativi non verbali utilizzati per l’interazione sociale; deficit dello sviluppo della gestione e della comprensione delle relazioni); schemi di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi (movimenti, uso di oggetti o eloquio stereotipati e ripetitivi; insistenza nell’immodificabilità, aderenza alle routine priva di flessibilità o rituali di comportamento verbale o non verbale; interessi molto limitati, fissi che sono anomali per intensità o profondità; iper/ipo reattività in risposta a stimoli sensoriali o interessi insoliti verso aspetti sensoriali dell’ambiente)». Indicative anche le difficoltà a comprendere la mimica, il sarcasmo e/o le metafore o ad adattare il tono e il contenuto dei loro discorsi alle situazioni sociali.
Importante anche avere ben presente la cause, che dopo numerosi studi gli scienziati individuano in fattori genetici in primis o inerenti a condizioni immunologiche della madre in gravidanza, infezioni contratte dalla madre in gravidanza, l’esposizione a farmaci o agenti tossici in gravidanza (anche attraverso l’alimentazione) e l’età avanzata dei genitori al momento del concepimento. Mentre la tesi del nesso con le vaccinazioni è stata ad oggi confutata, anche in relazione al fatto che l’autismo esprime un determinato assetto neurologico, che il feto sviluppa nell’utero, prima di esporsi ai vaccini. Dunque, se i sintomi autistici dovessero sembrare più evidenti dopo le vaccinazioni, si tratterebbe di una coincidenza dovuta all’età del bambino che crescendo mostra più chiaramente le sue caratteristiche.