Il 13 ottobre 2025 Sharm el‑Sheikh ha ospitato il “Summit for Peace – Agreement to End the War in Gaza”, copresieduto da Donald Trump e Abdel Fattah al‑Sisi, al quale hanno partecipato oltre venti capi di Stato e di governo. L’obiettivo dichiarato: consolidare il cessate il fuoco, traghettare la Striscia di Gaza verso una governance provvisoria e avviare un programma di ricostruzione su larga scala.
Il summit si inscrive nel contesto del conflitto israelo‑palestinese che ha già causato migliaia di vittime e devastazioni infrastrutturali, e interviene nel momento in cui la tregua ha permesso il rilascio di ostaggi israeliani e detenuti palestinesi. Tuttavia, nonostante le dichiarazioni ottimistiche, i grandi assenti del vertice — Israele e Hamas — segnalano quanto rimangano profonde le tensioni sui nodi più spinosi quali il disarmo, la responsabilità della governance futura e il ruolo della comunità internazionale. Per l’Italia, la partecipazione al vertice ha avuto una doppia valenza: diplomatica e simbolica. La premier Giorgia Meloni ha definito la giornata come “storica”, leggendo l’accordo come frutto della “determinazione della diplomazia internazionale” e della “prima parte del piano di pace statunitense”. Con il riferimento esplicito: «La pace si costruisce con i fatti, non con le parole». Agi Nel bilaterale con al‑Sisi, l’Italia ha rilanciato l’impegno nella stabilizzazione, nella ricostruzione e nella cooperazione mediterranea, anche facendo leva sul cosiddetto Piano Mattei come strumento di cooperazione energetica e infrastrutturale verso il Mediterraneo orientale.
Nel corso del summit, Roma ha avanzato proposte concrete: l’invio di una forza di stabilizzazione multilaterale sotto egida internazionale, l’impiego di imprese italiane nella ricostruzione, e la partecipazione al “Food for Gaza” con Coldiretti e operatori agricoli italiani. Alcune fonti parlano anche dell’invio di carabinieri al valico di Rafah come parte della missione UE in corso. Mentre Roma tentava di giocare un “mezzo ruolo da protagonista” nel processo di pace regionale, a casa il Governo si è arrovellato sui numeri della legge di bilancio e sulle allocazioni delle risorse per il 2026–2028. Il fulcro del dibattito riguarda l’equilibrio fra stimoli fiscali e consolidamento, con un occhio particolare agli impegni europei sul deficit. Il documento programmatico prevede misure significative: una contribuzione strutturale permanente di circa 11 miliardi da banche e assicurazioni tra 2026 e 2028, una riduzione del deficit al 2,8 % del PIL entro il 2026, tagli per 8 miliardi alla spesa ministeriale e una manovra espansiva media da 18 miliardi all’anno nei tre anni. In parallelo, il Governo intende ridurre l’aliquota IRPEF del secondo scaglione dal 35 % al 33 %, rinviare l’innalzamento dell’età pensionabile nei lavori usuranti e aumentare la spesa militare dello 0,5 % del PIL per allinearsi agli impegni NATO.
La misura sulle banche, in particolare, ha sollevato le ire del sistema bancario e richieste di interlocuzione politica, mentre il confronto con Bruxelles e con la Commissione europea rimane delicato. Non meno critico è l’equilibrio interno: come finanziare le misure espansive dopo anni di vincoli stringenti? E fino a che punto si può rilanciare il potere d’acquisto, supportando consumi e investimenti, pur restando credibili sui conti? In filigrana, le scelte della legge di bilancio rifletteranno anche la strategia mediterranea dell’Italia: se il Paese intende diventare un attore di riferimento nei dossier del Mediterraneo — ricostruzione, transizione energetica, progetti infrastrutturali — deve allocare risorse credibili per la cooperazione internazionale, la diplomazia e i partenariati pubblici‑privati.





