Politica

Voto ai fuori sede. Le europee il primo banco di prova. Intervista con Paolo Emilio Russo

07
Marzo 2024
Di Alessandro Caruso

Le elezioni europee saranno il primo banco di prova del “voto fuori sede” per gli studenti. Anche se in ritardo, l’Italia è arrivata a questo traguardo di democrazia, raggiunto, tra l’altro, con un’ampia approvazione trasversale tra le varie forze politiche. «Era importante riconoscere questo diritto. Presto lo garantiremo anche ai lavoratori fuori sede», spiega l’onorevole Paolo Emilio Russo (FI), della commissione Affari costituzionali.

Perché è importante dare ai fuorisede la possibilità di votare?
«Il tema del voto ai fuori sede è urgente, perché si è assottigliato il numero dei votanti. E tra i giovani studenti spesso la coscienza politica è forte e presente per cui è giusto dare loro modo di esprimere la propria preferenza. E poi francamente con le possibilità offerte oggi dalla tecnologia sarebbe assurdo persistere in questa mancanza».

Quando è iniziato l’iter legislativo?
«Questo è uno di quei temi in cui si è registrata un’efficace sintonia politica trasversale, evidentemente proprio perché la storia esige un cambiamento. Il 4 luglio scorso, su istanza del Pd, abbiamo votato la delega al governo perché individuasse una soluzione per consentire il voto ai fuori sede. Da lì è iniziata un’indagine in Commissione Affari Costituzionali in accordo con il Viminale, per valutare i possibili modelli. E dieci giorni fa il Senato su impulso della maggioranza di centrodestra ha impresso un’accelerazione stabilendo che si utilizzino le elezioni europee come primo banco di prova.

E quale sarà il modello prescelto?
«Il voto presidiato».

Vale a dire?
«Si voterà in un seggio fisico, previa registrazione online in cui inserire i propri dati».

E la tecnologia?
«Questa sarà solo una prima sperimentazione per non escludere dal voto una massa critica importante. Poi ovviamente si studieranno nuove formule, non appena ci saranno condizioni più favorevoli».

Si riferisce al contesto geopolitico?
«Esattamente. Il nostro paese è particolarmente soggetto e vulnerabile agli attacchi hacker. Un cyberattacco ad elezioni in corso con un sistema di voto elettronico non del tutto sicuro avrebbe l’effetto di un attentato devastante alla nostra democrazia. Non potremmo accettare che uno studente partito da un piccolo paese per andare in una grande città finisca identificato nelle sue intenzioni di voto per lo scrutinio nel seggio di origine».

Questo per gli studenti. E per i lavoratori?
«Presto faremo anche quello. Ci stiamo lavorando».

Secondo lei perché l’Italia è arrivata in ritardo sul voto ai fuori sede?
«Ci sono due ragioni, una di carattere culturale, che è legata al principio della conservazione: il voto ai fuorisede rischia di andare a cambiare le vocazioni elettorali tradizionali di alcuni territori, che per molti partiti rappresentano una sorta di baluardo».

E la seconda?
«La nostra pubblica amministrazione è un po’inadeguata a livello strutturale e sotto il profilo delle competenze. Insomma ci sarebbe un costo da sopportare. Però la democrazia ha un costo, che dobbiamo sostenere».

A proposito di democrazia. Lei è stato relatore del “decreto referendum”. Un’innovazione significativa.
«Il 5 dicembre 2023 sono stato relatore di questo provvedimento per la raccolta digitale delle firme per i referendum. Non ha senso immaginare i banchetti con l’autenticatore, quando già oggi i cittadini svolgono operazioni delicatissime con lo Spid o con la Posta certificata. La piattaforma pubblica per la raccolta delle sottoscrizioni, prevista dalla legge del 30 dicembre 2020, non è ancora attiva. Abbiamo disposto la creazione di una piattaforma che offra standard di sicurezza in grado di assicurare la sicurezza dei dati. Questo strumento sarà utilizzato per i referendum e anche per le proposte di legge di iniziativa popolare».