Politica

Veduta Colle/2. Lato centrodestra. Salvini rilancia su Draghi, la Meloni pure, il Cavaliere ci resta male e continua a fare conti sui numeri

02
Novembre 2021
Di Ettore Maria Colombo

Il “bla-bla-bla” della Politica italiana è il Colle

Al netto della manovra finanziaria, che dovrà seguire il suo iter in Parlamento e archiviato il G20, solo e soltanto un argomento resta al centro del dibattito politico: la ‘corsa’ al Colle.

Salvini rilancia il nome di Draghi per il Colle

Prima c’è stato il confronto a distanza tra Enrico Letta e Giuseppe Conte sul Quirinale. Conte ha ‘bruciato’ il nome di Gentiloni, Letta si è trovato nell’imbarazzo di chiedere “e Prodi?”, ma Conte ha nicchiato. Sul tavolo è rimasto il nome di Rosy Bindi, che è di sinistra, pur se cattolica, ma poi Conte, in tv, ha ‘rilanciato’ sul nome di Draghi, Di Maio ha frenato, su Conte, i 5Stelle sono entrati in grande fibrillazione.

Ma è Matteo Salvini a ‘ripescare’ il nome di Mario Draghi come prossimo inquilino al Colle. “Se mi chiedono se sarebbe un buon presidente della Repubblica, rispondo che lo voterei domattina”, dice secco nell’anticipazione dell’ultimo libro di Bruno Vespa (s’intitola, ovviamente, “Perché l’Italia amò Mussolini”, Mondadori, fresco di stampa: il fiuto di Vespa per stare ‘ncoppa alla notizia’ è leggendario).

Dietro la certezza che il premier “è una risorsa per il Paese”, il segretario della Lega rimette dunque, in campo, il nome di Draghi, ma non quello di Silvio Berlusconi che il centrodestra si era impegnato a sostenere, in teoria, compatto.

Pure Meloni vorrebbe spedire Draghi al Colle

Non che Giorgia Meloni la pensi diversamente, solo il ‘fine’ è diverso, rispetto quello di Salvini. La leader di FdI vuole mandare Draghi al Colle ‘e’, subito dopo, andare a votare subito, il prima possibile, cioè entro il 2022, tagliando di netto l’ultimo anno di legislatura, per cercare di sfruttare l’onda che la tiene ancora alta, nei sondaggi. Che, poi, per quanto ancora? Non si sa.

Berlusconi s’innervosisce, sentendo Salvini, ma quanto può fidarsi delle promesse dei suoi?

Il Cav, davanti a Salvini che rilancia Draghi, però, trasecola assai sbigottito e pure incavolato. Berlusconi vuole tenere Draghi a Chigi e ‘vede bene’ mandare se stesso al Colle… Ma Salvini svicola, tenendosi le mani libere: “Sul Quirinale gli scenari cambiano ogni momento”. Parole al fiele che non mettono di buon umore il Cavaliere.

Insomma, a furia di sponsorizzare Draghi e ‘sperare’ che vada ad abitare al Colle, Salvini e Meloni stanno aprendo un problema ‘in casa’ loro (centrodestra) non piccolo e di difficile soluzione.

Il ‘problemino’ si chiama, appunto, Berlusconi, cui Salvini aveva promesso, giurato e spergiurato di trovargli i voti uno a uno, per mandarlo al Quirinale. Eh sì, Berlusconi, a 82 – ottantadue – anni suonati, ci spera e ci crede per davvero, di avere i numeri e le carte andare al Colle, a coronare un sogno, un nuovo miracolo italiano.

Ora, al netto dell’età (avanzata), degli acciacchi fisici (notevoli) e della famiglia (assai allargata) e pure al netto dei tanti processi (riabilitato dopo la sentenza, passata in giudicato, per frode fiscale, Berlusconi è ancora imputato nel processo alle ‘Olgettine’, a Milano, filone del processo Ruby), alla fine, per Berlusconi, il problema non è questo/i, tutti insieme, ma come al solito, cioè in ogni votazione presidenziale che si rispetti, i voti.

I voti che mancano al Cavaliere e le lusinghe della sua ala ministeriale, liberale e moderata

Voti, degli altri partiti, ma pure del centrodestra, che rischiano di mancare, come sempre succede, a chi, nel ‘conclave’ laico per eccellenza, l’elezione al Colle, entra ‘papa’ (cioè quirinabile) ed esce ‘cardinale’ (impallinato nel segreto dell’urna dagli ormai arcinoti ‘franchi tiratori’), come ricorda, ormai da mesi, inascoltato, Renzi.

Berlusconi, però, non demorde. Sono mesi che conta deputati e senatori, centristi e ‘fritti misti’ (componenti, cioè, dei due gruppi Misto), fa telefonare persino ai pentastellati, Conte in testa (“Carissimo Giuseppi, ti ho mai detto quanto ho apprezzato il lavoro del tuo governo durante la pandemia? Non te l’ho mai detto? Ma te lo dico ora! E lasciati dire che come ti hanno buttato giù è stata una vergogna. Un complotto internazionale. Capitò pure a me, del resto…”: la telefonata c’è stata e non è stata mai smentita), figurarsi a Matteo Renzi (il filo, qui, è diretto).

Invece, per cercare di persuadere Enrico Letta, ha messo in campo la sua ‘Eminenza azzurrina’, alias Gianni Letta, che poi di Enrico è lo zio (zio diretto, di primo grado, non acquisito o altro).

Insomma, le sta provando tutte, il Cav: è lì che conta e riconta i numeri e li mette in fila, somma e aggiunge, aggiunge e somma, e insomma, si vedrà, ma certo non si potrà dire che non ci ha provato, che poi l’uomo è così: tenace, pugnace.

“Partita inizia quando arbitro fischia”: pronta ‘la letterina’ di Natale del presidente Fico

Certo è che, concluse le elezioni amministrative, archiviato lo scontro sul disegno di legge Zan e superata la prova del G20, la Politica comincia a studiare la partita clou di gennaio/febbraio, quella delle elezioni presidenziali. La data esatta è ancora incerta: dipenderà dalla ‘letterina’ che il presidente della Camera, Roberto Fico, manderà ai 1009 Grandi Elettori prima di Natale (o subito dopo, al massimo entro l’Epifania), 30 giorni prima della prima seduta comune che darà il via la ‘Grande Corsa’ del ‘Grande Gioco’, quindi se ne parla non prima del 4 gennaio. Di solito, spiega al colto e all’inclìta, il deputato, e costituzionalista, Stefano Ceccanti, “in genere si convoca la seduta comune alla metà del periodo previsto in Costituzione, cioè per il 19 gennaio”.

Ergo, se la convocazione arriverà subito dopo le festività di Natale, ed entro la festa della Befana (6 gennaio), si inizierà a votare da metà gennaio. Se invece arriverà dopo si apriranno le urne a fine gennaio. Unica data invalicabile il 3 febbraio: il settennato di Sergio Mattarella finisce in modo improrogabile, in quanto eletto sette anni prima.

La Lega garantisce che Berlusconi resta ‘il piano A’, ma solo in attesa di capire cosa farà Draghi. Ma, tra gli azzurri, nessuno ci crede, alle promesse di Salvini, FI mostra, all’apparenza, di non essere né troppo sorpresa né troppo delusa dall’ultimo rilancio di Salvini. Non si sa se per non mostrare il fastidio per il piano B (Draghi) o per sminuire la possibilità di riuscita di Draghi.

Gli azzurri ricordano che, anzi, anche il Cavaliere aveva promosso Draghi come “un ottimo presidente della Repubblica” e l’aveva fatto tornando a Bruxelles dopo una lunga assenza, anche se, subito dopo, nella stessa frase, aggiungeva che chissà se non fosse meglio, per lui e per il bene dell’Italia, restasse a Palazzo Chigi e che lui stesso si ‘vedeva bene’ al Colle: “Berlusconi lo vedo in forma, dopo un po’ di acciacchi dovuti al Covid” aveva detto di sé…

FI e Pd, stavolta, non decidono nulla. Il grosso dei voti che pesano sta a destra e al centro…

Certo è che, dentro FI, fanno buon viso a cattivo gioco, del resto i loro voti sono quelli che sono: pochi, come quelli del Pd tra i giallorossi, mentre la parte del leone, in termine di Grandi elettori, la fanno e la faranno Lega e FdI a destra e il M5s a ‘sinistra’, più i centristi al… centro.

L’altra opzione – quella a cui lavora Renzi, a stretto e continuo contatto con Salvini e il Cav – è di mandare Casini, o Marcello Pera, o Frattini, o – se donna deve essere – Letizia Moratti al Colle, con i voti di Iv, ovviamente, decisivi. O, male che vada, potrebbero ripiegare su un ‘socialista’ che piace a destra come Giuliano Amato, oggi giudice della Corte costituzionale, che sta mandando ‘segnali’ intensi e ripetuti: è ‘pronto’ ad accettare l’alto, e gravoso, compito.

Certo è che lo schieramento centrista che va da Iv a Azione, da +Europa a Cambiamo, fino ai liberal di FI può giocare un ruolo, se non decisivo, di certo ‘centrale’, nella gara del Colle. Pd e FI, stavolta, invece, sono massa di manovra, ruote di scorta che dovranno accordarsi alle gimcane spericolate altrui, e farsele pure piacere.

Infine, non scandalizza più nessuno, a destra, nemmeno l’orizzonte del 2023, come fine legislatura, con rinuncia incorporata, quindi, al voto anticipato. Del resto, il flop sonoro delle ultime comunali certo non incoraggia la Lega a sfidare di nuovo gli elettori a breve.

Il nodo centrale di una elezione di Mario Draghi al Colle comporta, dunque, un bivio drammatico: l’ipotesi di un conseguente voto politico anticipato rispetto al 2023 o la formazione di un nuovo esecutivo che però sarebbe il quarto della legislatura, con un premier diverso (per la terza volta), potenzialmente sostenuto o meno, per un anno, dalla stessa larga maggioranza. Tanta roba.

E la paura delle urne anticipate, oggi tanto aborrite, precipitino per davvero e, davanti agli occhi degli inorriditi onorevoli, si materializzino, alligna e agita i sonni dei peones di tutti i partiti.

Photo Credits: The Social Post