Politica

Tornano Bersani e Renzi, le idee del Pd per diventare primo partito

03
Giugno 2022
Di Ettore Maria Colombo

Galeotte furono le foto… Una mostra al Nazareno mette di nuovo vicini, a Letta, Bersani e Renzi. Con il Rosatellum, il Pd si farà carico dei piccoli per vincere la sfida come primo partito

Una mostra fotografica al Nazareno sul Pd

La notizia è passata, nei fatti, sotto silenzio. Bersani e Renzi (sì, proprio lui) hanno rimesso piede al Nazareno, entrando per la porta principale, e pure lo stesso giorno. Ma è passata sotto silenzio perché i due ex segretari del Pd erano presenti solo… in fotografia. Infatti, al secondo piano del Nazareno, sede del Pd, è stata allestita una mostra fotografica che celebra il partito a 15 anni dalla sua nascita. Una storia collettiva «per la quale vogliamo avere e abbiamo rispetto, in tutte le sue fasi – spiegano dal Pd – ecco perché la celebriamo. Il Pd è l’unica grande forza politica italiana che si chiama ancora partito». Ma se la mostra dichiara, apertamente, di affondare le sue origini nella forza primigenia dell’Ulivo (infatti sono presenti le foto della vittoria elettorale del 1996 con Prodi sul palco), non rinnega nulla della storia quindicennale del Pd. Tanto che, appunto, le foto dei segretari Bersani e Renzi (il primo uscito nel 2017 per fondare Articolo 1, il secondo uscito nel 2019 per fondare Italia Viva, due scissioni assai dolorose) sono lì, una accanto all’altra, insieme a quelle di tutti gli altri segretari: Veltroni, il primo, Franceschini, la reggenza di Epifani, Zingaretti, e ora, ovviamente, Enrico Letta. Può una semplice mostra dare indicazioni politiche per il futuro? Difficile, anche se suggestivo. Resta il punto.

Articolo 1 sempre più vicino. Ma anche Iv?

Il riavvicinamento dei bersaniani di Articolo Uno (segretario, oggi, è Roberto Speranza) è cosa nota e il percorso di riunificazione ormai quasi fatto: entro l’anno potrebbe determinarsi la riunificazione anche formale tra Pd e Articolo 1. Con Renzi, ovviamente, è tutto molto più difficile date le antiche e mai sopite ruggini con Letta, ma i faccia a faccia durante la battaglia del Quirinale hanno aiutato il disgelo e, per paradosso, è stato Renzi ad abbandonare, a differenza di Calenda, i propositi di Grande Centro con totiani, azzurri, liberali e moderati, progetto che sembra non lo interessi più di tanto, ormai. Certo, le ragioni contingenti e pratiche fanno aggio su quelle ideali: se la legge elettorale non cambia, come sempre, e non si passa a una legge proporzionale (con sbarramento più alto, al 5%, ma collegi più piccoli e con le preferenze, più alla portata di forze politiche piccole), lo sbarramento al 3% previsto dal Rosatellum, a causa del micidiale mix tra collegi uninominali maggioritari e collegi plurinominali proporzionali (grandi) è una colonna d’Ercole di fatto insuperabile per forze politiche come Articolo 1 da un lato e Iv dall’altro quotate, nei sondaggi, al 2% se va bene. Insomma, l’interesse dei piccoli partiti a rientrare nella ‘casa madre’ c’è ed è pure comprensibile. Ma quale sarebbe l’interesse del Pd, stabilito che Letta non vuole rinunciare al ‘campo largo’, cioè a mettere insieme, e alleare, se non federare, partiti e movimenti e sensibilità così diversi tra loro come l’M5s e i renziani, i moderati e civici con i bersaniani, passando per liberali e verdi?

Le necessità del Pd legate alla legge elettorale

Anche qui il ragionamento si basa sulle necessità dovute alla legge elettorale. Anche pochi punti percentuali, quelli che si tramutano in collegi vinti, sono fondamentali per vincere o per ottenere la ‘non vittoria’ del centrodestra. Quindi, bisogna raggranellare quello che si può dove si può. Le strade sono due: garantire ai ‘piccoli’ collegi uninominali sicuri, strada che però aprirebbe un contenzioso infinito con l’alleato più grande, i 5stelle, che malvolentieri sarebbero disposti a votare per candidati comuni così distanti da loro, come i renziani. Oppure caricarsi una piccola quota di esponenti di altri partiti nella parte proporzionale del Rosatellum, ospitandoli nelle liste del Pd. Gli altri alleati, M5s in testa, non potrebbero certo sindacare sulle libere scelte che un partito compie al proprio interno, nelle sue liste, candidando questo o quello. Un’operazione ardita e difficile che solo un segretario come Letta che ha ‘pacificato’ il partito dopo anni di guerre e rivalità interne può compiere e portare fino in fondo. Una ricomposizione storica di vecchie ferite con la riapertura delle porte a chi è uscito a sinistra (Articolo 1) o a destra (Iv) ma fa comunque parte della storia democratica, successi e insuccessi (le sconfitte di Bersani e Renzi alle elezioni o ai referendum, le segreterie rovesciate, ma anche i successi di entrambi quei leader). Infine, Bersani e Renzi farebbero il beau geste di non candidarsi in prima persona, ma di lasciare il campo per dare spazio ai fedelissimi (Rosato dentro Iv, Speranza in Art 1 e via così), evitando di trascinare il Pd in sterili polemiche con alleati riottosi e avversari pronti a criticare ogni mossa e ogni possibile contraddizione dem.

La doppia strategia con i 5Stelle e con i piccoli

La tesi è, ovviamente, ardita e contestata, non è detto che le cose vadano così e gli ostacoli, su questa strada, sono molti. Ma sarebbe la quadratura del cerchio, stante l’attuale Rosatellum: candidati comuni con i 5Stelle nei collegi maggioritari per cercare di strapparne il più possibile al centrodestra e pareggiare, se non vincere, le elezioni, e candidati comuni con Iv e Articolo 1 da caricarsi nella parte proporzionale, come Pd, per irrobustire le liste e puntare a far diventare i dem primo partito d’Italia, una spanna (anche piccola) sopra Fratelli d’Italia della Meloni per poter dare le carte dopo, al momento della formazione del governo, a primato incassato e da far valere davanti al Capo dello Stato. Sempre in quest’ottica anche altre microformazioni (la recente fusione di Verdi e Sinistra italiana in una Sinistra ecologista, la lista Demos della comunità di Sant’Egidio, liste civiche e ispirate ai sindaci di centrosinistra, Sala in testa, liste femministe, ecologiste e radicali come quelle che stanno nascendo intorno a personalità come Anna Falcone, Elly Schlein, etc) possono essere adoperate allo stesso modo: candidare alcuni dei loro nomi migliori nella parte proporzionale e incassare i loro voti per far aumentare, pur se di pochi decimi percentuali, la performance del Pd per farlo essere primo partito.

Intanto Calenda sogna un Centro autonomo

Impossibile, invece, anche se è un paradosso (Letta e Calenda, sul piano programmatico, sono molto più vicini e in sintonia di quanto non si pensi), mettere insieme Pd e Azione di Calenda. La quale punta, ormai decisamente, a un terzo polo con i totiani, gli esponenti del movimento di Romani e Quagliariello, Coraggio Italia di Brugnaro, ma soprattutto i liberal e moderati di Forza Italia (nella speranza che presto si rompa), Gelmini in testa a tutti, oltre che ovviamente con +Europa di Bonino e Della Vedova e i Radicali. Un terzo polo centrista, liberal e moderato che si presenterebbe in tutti i collegi, uninominali e proporzionali, per superare lo sbarramento (3%) nella parte proporzionale (cosa assai fattibile) e vincere qualche collegio nel centro di alcune grandi città (Torino, Milano, Firenze, Roma), cosa invece, al momento, assai difficile a riuscire.

Una scommessa che, in ogni caso, non vuole includere Renzi, oltre che ostile in modo netto all’alleanza del Pd con i 5Stelle, il quale Renzi resterebbe, se non ricuce con il Pd, isolato e schiacciato, nella medesima area del centro.

Le primarie in Sicilia e altrove. Le fragilità 5s

Certo, stiamo parlando di scenari futuribili. Oggi l’unica cosa che si vede sono le primarie che Pd e M5s stanno organizzando in Sicilia per scegliere il candidato del ‘campo largo’ da contrapporre al governatore Musumeci, che si ricandiderà, alle Regionali di ottobre. Primarie che vedono una competition duale tra Pd e M5s senza altri nomi nel mezzo, come terzi incomodi. E lo stesso identico scenario di verificherà presto nel Lazio e in Lombardia, dove per le Regionali si voterà nel 2023, in concomitanza con le Politiche, con primarie comuni di coalizione tra Pd e M5s. Ma se queste sono le regole e il risultato finale anche è facile da pronosticare (vittoria alle primarie dei candidati del Pd sul M5s, sconfitta alle elezioni in Sicilia e Lombardia, vittoria solo nel Lazio), alle Politiche è tutta un’altra storia e l’elezione diretta dei candidati sindaci o governatori non esiste, per la presidenza del Consiglio. Neppure le coalizioni esistono, formalmente. Ecco perché conta rinforzare il più possibile le liste del proprio partito anche con piccoli, ma robusti, innesti. Una o più foto nella sede del Nazareno sono un piccolo, iconico, segnale ma da non sottovalutare.

Senza dire del fatto che, al Nazareno, nessuno mette la mano sul fuoco sul fatto che, tra un anno, l’M5s ci sarà ancora, si chiamerà ancora così, avrà ancora Conte come guida politica e, al suo interno, ci sarà ancora spazio per Luigi Di Maio. Troppe variabili e troppi rischi. Meglio prepararsi chiamando a raccolta i ‘piccoli’ più vicini al Pd.