Politica

Si apre la kermesse di Fratelli d’Italia: a Milano Giorgia Meloni lancia la volata per il voto 2023

29
Aprile 2022
Di Jacopo Bernardini

Dal nostro inviato – L’atmosfera è quella delle grandi occasioni: al MiCo di Milano, con vista sui grattacieli di Citylife, si è aperta oggi la Conferenza Programmatica di Fratelli d’Italia, una tre giorni di Stati Generali del partito, voluta da Giorgia Meloni.

Difficile non pensare che la convention, con oltre 4.500 delegati attesi, rappresenti per Fratelli d’Italia la prima tappa dell’ultimo miglio che, da qui a meno di 12 mesi, porterà alle elezioni politiche. Una lunga marcia partita all’indomani delle elezioni 2018 quando Fratelli d’Italia conquistò poco più del 4%, e che ora, secondo tutti i sondaggi, viaggia stabilmente oltre il 20% come prima forza del Paese.

La giornata si apre alle 14, ma l’attesa è tutta per la leader Giorgia Meloni che, dopo i saluti del sindaco di Milano Beppe Sala e del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, alle 18 si prende il palco della scenografica sala d’onore, con maxischermi e luce blu soffusa. Sullo sfondo la scritta ‘Italia, energia da liberare’, che dà il titolo alla kermesse.

«Siamo stati gli unici a organizzare una conferenza programmatica mentre tutto cambia. In mezzo alla tempesta vogliamo essere i primi a indicare la rotta”, esordisce Meloni, in completo blu scuro, con una giacca marinara in doppio petto. “Ci faremo trovare pronti, con le proposte serie e le persone al posto giusto», ha continuato, bollando come “ridicola” l’accusa, più volte mossa a FdI, di non avere una classe dirigente all’altezza (“Con Speranza alla salute e Di Maio agli esteri il problema è il personale politico di Fratelli d’Italia?”).

L’impegno, nel solco trumpiano, è quello di invertire il declino. Trasformare un’epoca “infame” in un nuovo Risorgimento, con un ammonimento: «Se vogliamo che l’Italia torni a essere una grande Nazione dobbiamo essere noi italiani a crescere».

Poi Meloni, che parla per più di un’ora senza quasi mai posare lo sguardo sui numerosi fogli di appunti che ha davanti, parte all’attacco. In primis contro le “utopie globaliste”, spazzate via da pandemia e guerra. «La realtà si impone sempre: ricostruiremo il Paese da patrioti». 

Poi si scaglia contro l’ascesa dei regimi illiberali, prendendosela con i rivali politici: «Dove eravate quando FDI denunciava il cinismo con cui l’Occidente intratteneva rapporti con diversi stati illiberali? O quando dicevamo che la transizione fatta cosi ci legava mani e piedi alla Cina? Oggi bisogna fare i conti con la realtà».

E ancora, la (auto)critica all’Occidente, che ha rinunciato alla propria anima e svenduto i propri valori al “miglior offerente”. Inevitabile lo spazio per la guerra. «Se l’Ucraina capitolasse il vero vincitore non sarebbe la Russia di Putin ma la Cina capital-comunista. L’Europa finirebbe probabilmente in posizione di subordinazione alla Cina. E io non voglio finire sotto la Cina capital comunista».

Rivendica la coerenza della propria area politica, anche in campo internazionale. «Dalla fine degli anni Quaranta la destra italiana non ha mai messo in discussione la sua collocazione». Altrettanto immancabile l’attacco all’Europa, che «si è presentata all’appuntamento della storia senza una difesa, senza una politica estera, incapace di svolgere qualsiasi azione diplomatica. L’Europa ha deciso di farsi difendere dagli Stati Uniti ma quando lo chiedi devi sapere che l’altro non lo farà gratis».

Ma l’ovazione arriva per la stoccata al Movimento 5 Stelle: «L’uguaglianza è la madre del merito. Uno non vale uno è un’idiozia che ha permesso a gente che non vale niente di arrivare al governo».

Poi prosegue con il programma, che sembra già pronto per le elezioni: servono le riforme della giustizia, del fisco, una politica industriale di valorizzazione del Made in Italy, l’abbassamento delle tasse sul lavoro. E ancora: investire sulla formazione dei giovani per far incrociare domanda e offerta, con la scuola italiana deve tornare a garantire il merito, anche perché “l’ascensore sociale è rotto”. Ma per mettere in pratica tutto questo serve una politica capace di decidere: la risposta? «Facile, il presidenzialismo: la madre di tutte le riforme».

La parte finale è affidata ad alcuni cavalli di battaglia, come “l’ideologia gender” – declinata in chiave femminista, un’ideologia che vuole far scomparire l’identità femminile, il ruolo della donna e la forza simbolica della maternità” – e la pratica dell’utero in affitto (“i bambini non si comprano, non sono prodotti da banco”).

La conclusione suona quasi come un monito rispetto alle parabole di chi, negli ultimi tempi, ha visto il proprio favore politico crescere improvvisamente: «Più saliremo e più la nostra responsabilità sarà tenere i piedi ben piantati in terra. Nell’altitudine l’ossigeno è rarefatto, può darti alla testa e farti smarrire. Ma la nostra preparazione è stata lunga, meditata, sofferta. Più saliremo più porteremo dietro quello da cui proveniamo. E sia chiaro: l’unica ragione per cui vogliamo arrivare in vetta è perché da lì possiamo guardare più lontano».

Al di là di come la si pensi, Meloni dimostra ancora una volta il suo spirito da animale politico. Per un’ora abbondante incolla gli occhi su di sé, non si ferma neanche per bere un bicchiere d’acqua e sfrutta tutta la forza data dal fatto di essere alla guida di quello che, da 4 anni, è l’unico grande partito di opposizione.

La sua fortuna, nei prossimi mesi, dipenderà da molte variabili: l’andamento della guerra e della pandemia e i loro effetti, il destino della coalizione di centrodestra, la legge elettorale e, soprattutto, il responso delle urne il prossimo anno.

Un gioco ad alto tasso di aleatorietà. Ma la sfida, da oggi, è stata ufficialmente lanciata.

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