Politica

Roma e Parigi ancora una volta ai ferri corti

15
Giugno 2018
Di Redazione

Dalla netta affermazione leghista alle comunali di domenica sino all’odierno viaggio parigino del premier Conte, la settimana d’esordio del governo gialloverde si è rivelata tutto fuorché ordinaria. Archiviata non senza difficoltà la partita su sottosegretari e viceministri, da un lato è esplosa l’inchiesta sulla costruzione del nuovo stadio dell’As Roma, dall’altro è arrivato l’annuncio della fine del programma di acquisto titoli della Bce a partire da gennaio 2019. Se l’indagine preoccupa soprattutto i 5Stelle per la possibile perdita di credibilità politica e il rischio-indebolimento della Giunta Raggi, la conferma del prossimo venir meno degli stimoli monetari dell’Eurotower è venuta mentre a Palazzo Chigi si cominciava a ragionare sul fatidico nodo coperture in vista della legge di Bilancio, passaggio cruciale per dare forma alle costose misure contenute nel programma gialloverde. A dominare la settimana è stata sicuramente la tensione fra Italia e Francia per la gestione della nave Aquarius e più in generale l’approccio alla questione migratoria dei due partner europei. Con ogni probabilità, la crisi diplomatica italo-francese sarebbe esplosa a prescindere, benché non vi siano dubbi che la composizione dell’attuale governo gialloverde abbia concorso a esacerbare i toni.

La disputa ha origini antiche, sia per le rivalità storiche fra Roma e Parigi che per il forte sospetto da parte italiana che il vicino d’Oltralpe coltivi da tempo una malcelata volontà di controllo politico dei pezzi pregiati del proprio sistema economico nazionale. Vista dall’Eliseo, invece, l’Italia non è che un tassello della più ampia sfera d’influenza francese protesa fra Europa latina e regione mediterranea. Non è un mistero che i presidenti transalpini abbiano l’ambizione di soggiogarla per disporre della necessaria massa critica volta a controbilanciare lo strapotere tedesco in Europa, esploso dopo la riunificazione delle Germanie, fino a guidare il processo di riforma dell’Ue sulla base dei propri interessi nazionali. Di qui, ad esempio, i tentativi di Macron di imporre la propria agenda in Libia, anche a costo di travalicare quelle degli alleati occidentali (Roma in testa), dopo che sette anni fa l’allora presidente Sarkozy aveva innescato la guerra contro Gheddafi minando per primi consolidati interessi italiani nel paese africano, in ambito energetico come soprattutto migratorio. Su quest’ultimo punto i due partner hanno approcci radicalmente difformi: se l’Italia è stata per anni il punto d’approdo europeo per centinaia di migliaia di migranti provenienti dall’Africa, la Francia non si è mai fatta remore ad arginare alle frontiere ogni flusso di extraeuropei proveniente dalla penisola italiana. Le relazioni sono complicate dalle circostanze dell’ultimo G7 canadese, segnato dal sostegno del Premier Conte alle aperture di Trump alla Russia e conseguente invito all’inquilino di Palazzo Chigi per una visita ufficiale negli Stati Uniti. Non si può escludere che il presidente francese Macron abbia interpretato la posizione italiana come il tentativo di Roma di proporsi come referente di Washington in Europa, una carta giocata in passato anche dal capo di Stato francese, benché con esiti poco soddisfacenti.

Alberto de Sanctis