Politica

La sconfitta più grave a Kabul è la percezione globale di debolezza

16
Agosto 2021
Di Daniele Capezzone

No, non c’è solo la macabra bandiera talebana issata sul palazzo presidenziale di Kabul. Né la scena (roba da Saigon 1975) degli elicotteri sull’ambasciata Usa che recuperano diplomatici e civili americani e occidentali per condurli in aeroporto, dove già si accalcano migliaia di persone che disperatamente cercano di lasciare Kabul.

Non c’è solo questo. Né solo la parte più grossa della debacle: il conclamato trionfo degli estremisti islamici, le vendette nei confronti degli afghani che avevano collaborato con gli occidentali, l’ombra (destinata a riallungarsi) della sharia e della segregazione delle donne, il rischio di ridare una base logistica al terrore.

Forse, più ancora di tutto ciò, il lascito peggiore di questo Ferragosto 2021 è la percezione di debolezza trasmessa da Washington e dai suoi alleati. In un’arena globale ipermediatizzata, specie nel primo anno dall’insediamento di un nuovo inquilino della Casa Bianca, più ancora dei progetti e delle idee, conta la sensazione che Washington trasmette al mondo: una percezione di forza (che induce i nemici dell’Occidente alla cautela) o una percezione di indecisione e fragilità (che invece incoraggia comportamenti opposti).

Di tutta evidenza, in questo caso, si è concretizzata la seconda ipotesi. Immaginate, in questi giorni, il pensiero di quanti (anche in tutt’altro quadrante geopolitico) stanno contrastando forze radicali islamiste: si sentiranno sicuri o avvertiranno l’ombra di una capitolazione imminente?

Né può consolare i sostenitori di Biden il fatto (vero) che anche Donald Trump abbia una sua rilevante quota di responsabilità nella decisione del ritiro. Indubbiamente, anche il repubblicano aveva l’obiettivo di porre un termine a quelle che chiamava “endless wars”: ma c’è modo e modo anche di ritirarsi, e farlo senza mettere alcuna pressione agli avversari, senza far loro sospettare nemmeno la possibilità di un ripensamento o comunque di reazioni decise, trasmette l’idea di una resa.

Senza dire che, in politica interna come in politica estera, Biden ha speso sette mesi capovolgendo (a torto o a ragione) tantissime scelte di Trump: possibile che solo questa decisione fosse immodificabile e non rovesciabile? Difficile crederlo.

Photo credits: il Giornale