Politica

Rimessa la “chiesa al centro del villaggio”

11
Marzo 2024
Di Alessandro Caruso

Uno dei commenti più interessanti alla vittoria del centrodestra alle regionali in Abruzzo è stato quello di Carlo Calenda, che ha spiegato: “Le elezioni abruzzesi dimostrano in primo luogo quanto sia sbagliato parlare di ‘vento che cambia’ a livello nazionale per un’elezione vinta in Sardegna per 1.600 voti, grazie al voto disgiunto. Purtroppo sappiamo che questa è una tentazione irresistibile per politici e media”. E poi ha aggiunto: “Tralascio ogni commento relativo ai fantomatici campi larghi, che non esistevano prima e non sarebbero esistiti neppure nel caso di una vittoria in Abruzzo. Ogni elezione regionale fa storia a sé ed è influenzata da dinamiche locali”. Molta lucidità in questa lettura, oltre alla solita schiettezza.

Marco Marsilio si è imposto nettamente su Luciano D’Amico con il 53,50%, a fronte del 46,50% raccolto dalla grande coalizione di centrosinistra. E quegli entusiasmi “patriottardi” delle sinistre unite sono stati sostituiti dal silenzio. Come se il centrodestra avesse ristabilito perentoriamente il suo primato in quella regione, rimettendo, come dice il vecchio detto, la chiesa al centro del villaggio.

In realtà la verità, ancora una volta, sembra stare più nel mezzo. È vero che le elezioni regionali tradizionalmente risentono relativamente delle dinamiche nazionali: molto fanno i candidati e le politiche locali. Il risultato premia evidentemente un buon governo di Marsilio, sostenuto da una buona campagna elettorale; e in onore del vero premia anche il Pd, che ha raggiunto il 20% attestandosi come secondo partito dopo Fratelli d’Italia. E volendo a tutti i costi individuare l’effetto sulle dinamiche nazionali, un paio di considerazioni sono tuttavia possibili. La prima riguarda il progetto Schlein del campo largo, anzi “larghissimo”. Sembra evidente che funzioni e che rappresenti l’unica possibilità di vittoria elettorale, ma deve essere corroborato da una proposta politica più rassicurante e meno disomogenea, almeno sui grandi temi, in modo da infondere sicurezza e prospettiva.

Dall’altro lato, la vittoria è un potente calmante per le recenti fibrillazioni della maggioranza. Le aspettative erano alte, come aveva dimostrato la passerella delle “star”, tutte mobilitate dalla Meloni per la difesa suo “feudo”, quello che aveva segnato l’inizio della sua ascesa elettorale. Il crollo, però, del partito a base “localistica” per eccellenza, la Lega, è un dato non trascurabile. Il partito di Salvini è in un’evidente crisi di identità (cosa che invece sembra non toccare minimamente Forza Italia, in crescita). La strategia di Salvini di “rosicchiare” voti a destra alla Meloni non sta ripagando. I riflettori sono puntati su quello che deciderà di fare in vista delle europee: se continuare a rappresentare i delusi del sistema UE e se esasperare l’indole sovranista del partito. Se non dovesse pagare neanche questa strategia potrà significare che il suo popolo non lo segue più. Oppure che la Meloni sarà riuscita a “educare” il suo grande elettorato a un conservatorismo più moderato e di visione.