Politica

Riforme, Premierato, Ciriani: «Il referendum ci sarà»

28
Marzo 2024
Di Giampiero Cinelli

La riforma costituzionale del “Premierato” è in Commissione Affari Costituzionali dove si stanno votando gli emendamenti. Ben 2.600, secondo la maggioranza a chiaro intento di ostruzionismo, in realtà ammesso dalle stesse opposizioni, in sostanza contrarie allo storico mutamento istituzionale. Questo il messaggio di Fratelli D’Italia, nell’ambito del convegno organizzato oggi al Senato sulla riforma, a cui hanno partecipato esponenti di FdI e giuristi esperti di diritto pubblico.

Nella discussione emerge chiaramente la finalità del disegno, ovvero dare più stabilità ai governi e renderli maggiormente espressione della volontà popolare. Tale obiettivo, è stato ribadito, potrà essere concretizzato solo con l’integrazione di una nuova legge elettorale a vocazione maggioritaria.

Il ministro per i rapporti con il parlamento Luca Ciriani ha voluto mettere da parte gli equivoci, dicendo che la riforma chiaramente non serve al governo, siccome entrerà in vigore semmai dopo la legislatura vigente, ma è utile a delineare un nuovo sentiero politico di cui si sente il bisogno, sottolineando però che le opposizioni non hanno accettato un confronto aperto su invito di Giorgia Meloni, in quanto palesemente contrarie all’elezione diretta del premier.

Comunque, si è riflettuto tra i relatori, il testo di legge è stato modificato, si è venuti incontro alle istanze meno entusiastiche, arrivando a un modello appunto di premierato tenendo conto che in origine la visione che affascinava le forze politiche coinvolte era più vicina a quello che è invece un presidenzialismo all’americana o alla francese. I poteri del Presidente della Repubblica invece vengono poco intaccati, il capo dello Stato conserva la facoltà di sciogliere le Camere ma lo fa sulla base della situazione contingente, valutando prima se il presidente del Consiglio dimissionario sia in grado di riottenere il mandato e in caso contrario se voglia indicare un altro presidente a lui collegato presente nella lista che ha sostenuto il premier.

Sempre il capo dello Stato, nella riforma, potrà revocare i ministri su proposta del premier e alcuni atti del Colle non necessiteranno di essere controfirmati, quindi in alcuni sensi il Presidente della Repubblica ha più facoltà nel suo rapporto col governo, sebbene tenderebbe a essere meno influente rispetto alle dinamiche di formazione degli esecutivi. Governi che appunto si spera più forti, tuttavia non inscalfibili. Come infatti ha fatto notare nel convegno Francesco Saverio Marini, docente ordinario di diritto pubblico e Consigliere giuridico di Giorgia Meloni, l’unica contingenza che non permetterebbe nuove elezioni è quella della morte del premier, di suo impedimento permanente o di decadenza, anche se il nuovo indirizzo è teso a prediligere la stabilità anche nei casi di crisi non politica ma dovuta a questioni personali che riguardano il primo ministro, come ad esempio problemi giudiziari.

Il convegno è servito a chiarire le contrapposizioni e ad analizzare le obiezioni, ma Fratelli D’Italia si rende conto di quanto sia improbabile evitare un referendum confermativo: «Credo che un referendum ci sarà e ci dovrebbe essere comunque. Non lo temo, sono convinto che sapremo spiegare la ragioni, e credo che Meloni sia al riparo di qualsiasi risultato», ha rimarcato Ciriani.

Gli elettori giudicheranno in effetti quello che è un progetto più ampio, coordinato alla riforma sull’autonomia delle regioni e, come detto prima, alla legge elettorale. Secondo Fratelli D’Italia ciò darà più omogeneità al sistema politico, rendendo l’assetto regionale e locale più in linea con quello centrale. E secondo Felice Giuffré, docente e Consigliere del Csm, restituirà al presidente della Repubblica il ruolo essenziale che la Costituzione del ’48 aveva pensato, ovvero quello di arbitro e supervisore delle istituzioni, non più portato a estendere il suo ruolo «a fisarmonica» per risolvere le crisi parlamentari.

I relatori hanno concordato sull’idea che il modello politico odierno sia stato teorizzato, e poteva andare bene, per una stagione storica e politica passata, quella post bellica in cui i partiti erano i «veri sovrani», legittimati dalla società. Con il crollo del muro e tangentopoli tale primato è venuto meno rendendo gli esecutivi claudicanti, ecco perché nella discussione si è ribadita la convinzione di donare al Paese il valore, non condiviso da tutti i corpi sociali e partiti, della governabilità.

Ma non si poteva andare subito a elezioni con la dimissione premier? Ha chiesto Vittorio Macioce, giornalista e moderatore dell’incontro. La risposta ha confermato le premesse poste nel convegno: non sarà così perché appunto viene meno la possibilità per figure terze di prendere le redini e determinare una fase istituzionale magari del tutto diversa di quella che ci si aspetta stando ai risultati delle urne. Si escludono anche le possibilità di “ribaltoni” tipo quello di Bossi nel primo governo Berlusconi, in quanto l’eventuale secondo premier ha meno potere del premier stesso, il quale decide quando dimettersi e può influire molto sulla scelta di indire nuove elezioni.

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