Politica

Regionali 2023, quasi un “midterm”. I nodi degli schieramenti e la carta a sorpresa del Lazio

15
Dicembre 2022
Di Ettore Maria Colombo

Il quadro generale. Date e posta in gioco
La prima cosa bella da sapere è che le elezioni regionali in due regioni molto importanti, sia per numero di abitanti che per valenza politica, Lazio e Lombardia, si terranno domenica 12 e lunedì 13 febbraio 2023. Lo ha deciso il consiglio dei ministri nella seduta dello scorso 25 settembre con Salvini che ha spinto molto per votare su due giorni e non su un giorno solo. Invece, per quanto riguarda altre due elezioni regionali (Friuli Venezia-Giulia e Molise), che pure vanno a scadenza del loro mandato, nel 2023, una data certa ancora non c’è, ma sarà fissata, con ogni probabilità, il mese di maggio. Infine, ma in autunno inoltrato, voterà la provincia autonoma di Trento (manca la data). Non saranno propriamente elezioni di mid-term (per quelle bisognerà aspettare le Europee del 2024) ma di certo saranno un test politico di tutto rilievo. Il primo, dopo le elezioni politiche del 25 settembre 2022 e in due regioni chiave, strategiche. Ecco perché le attenzioni dei partiti sono, in molti casi, rivolte a quell’appuntamento. 

La seconda cosa bella da sapere è che le elezioni regionali non saranno un test di rilevanza politica solo per registrare, e testare, il gradimento del governo e della maggioranza di centrodestra, ma anche per l’opposizione, ad oggi divisa e frastagliata in diversi rivoli. Almeno in Parlamento, come ha testimoniato il voto, effettuato, in entrambe le Camere, sulle mozioni parlamentari che accompagnano il decreto cornice per l’invio di nuovi aiuti militari all’Ucraina. Voto in cui Pd e Terzo Polo si sono espressi per rinnovare l’impegno di aiuti a Kiev, mentre M5s e Avs (Verdi e Sinistra) si sono opposti, votando contro e dunque spaccando il fronte delle opposizioni in modo assai plastico. 

La terza cosa bella da sapere è che le elezioni regionali si terranno a solo una settimana di distanza dalle primarie ‘aperte’ del Pd in cui il maggior partito della sinistra (a dire il vero, ormai, il secondo, dato che è scavalcato, da settimane, nei sondaggi, dal partito di Conte) sceglierà il suo prossimo segretario (19 febbraio). In buona sostanza, il Pd rischia seriamente di eleggere il suo prossimo leader a ridosso di due, sonore, sconfitte elettorali e, dunque, di ritrovarsi con un segretario neo-eletto dal ‘bagno’ delle primarie ma politicamente depotenziato. Questo il quadro generale, ma vediamo ora cosa si muove nelle due regioni principali al voto. 

Lombardia, il candidato da battere è Fontana, ma si fa largo la Moratti con la sua lista civica 
In Lombardia, il candidato da battere è, ovviamente, il governatore uscente, Attilio Fontana, che si ripresenta per un secondo mandato appoggiato da Lega, FI e FdI. Notizia di ieri è che, nella lista di FdI, si candiderà anche il direttore di Libero, Vittorio Feltri, che già si era candidato, risultando eletto ma per poi dimettersi per ragioni di salute, alle comunali di Milano. 

Ma i problemi, specie in casa Lega, non mancano. Il Comitato del Nord – la corrente non scissionista ma molto critica verso la gestione del partito da parte di Matteo Salvini – continua a fare proseliti. Sono ormai già quattro i suoi aderenti, con l’ultimo in ordine temporale, Massimiliano detto ‘Max’ Bastoni, storica colonna leghista lumbard. Al momento assicurano che resteranno ‘fedeli’, oltre che alla Lega, che però li ha già prontamente espulsi, anche al candidato Fontana, ma c’è chi dice che si muovano in modalità borderline verso la candidatura centrista di Letizia Moratti

L’ex assessore alla Sanità della giunta Fontana, oltre che ex sindaco di Milano, ha già presentato nome e simbolo della sua lista civica (“Letizia Moratti presidente”), zeppa di ex esponenti degli azzurri, ma anche di ex leghisti, di rito maroniano, per ora, ma forse pure e presto anche di rito bossiano. Inoltre, la Moratti è già stata ‘benedetta’ come il candidato ufficiale del Terzo Polo che, in Lombardia, per scelta unanime di Calenda e Renzi, ha deciso di appoggiarla, rompendo ogni legame con il Pd, cui ha proposto, anzi, in modo assai provocatorio, di appoggiarla, ricevendone un netto, ovvio, rifiuto. 

Il dem Majorino stringe l’alleanza con i 5Stelle 
E proprio nel Pd e nel centrosinistra è scoppiato un baillamme non di poco conto. Dopo un lungo riflettere e dividersi, il centrosinistra ha optato per non fare le primarie e per presentare un candidato unitario tra Pd, Verdi-Sinistra e +Europa, l’europarlamentare Pierfrancesco Majorino. Una candidatura, però, debole, dato che Majorino è molto caratterizzato a sinistra in una regione storicamente moderata e, fino all’altro ieri, era senza l’appoggio dei 5Stelle oltre che di Az-Iv. Poi, proprio ieri, ecco arrivare, invece, la svolta. 

Decisivo il via libera del leader del M5s, Conte. Pd e M5s hanno trovato la quadra sui contenuti (infrastrutture, sanità, ambiente, lavoro, agricoltura) dopo giorni di trattative serrate che hanno riguardato gli inceneritori, le nomine di primarie e direttori sanitari, alcune infrastrutture. Il coordinatore regionale del M5s, Dario Violi, e lo stesso candidato del Pd, Majorino, hanno limato fino all’ultimo l’accordo che ha riguardato, ovviamente, anche il dosaggio di liste e candidati. Ora manca solo l’ultimo passaggio, la convalida, sulla piattaforma on-line degli iscritti ai 5Stelle, dell’accordo che sarà presentata da un video di Conte e si terrà nella giornata di oggi. Ma è un proforma. L’alleanza giallorossa è rinata, almeno in terra di Lombardia e non certo altrove. 

Un accordo, quello giallorosso, cui aderiranno, sicuramente, le forze di Avs (Alleanza Verdi-Sinistra), che hanno spinto molto per l’accordo Pd-M5s, e alcune liste civiche. Il problema, ora, è recuperare – obiettivo che il Pd si prefigge – l’alleanza con +Europa che, invece, proprio a causa dell’accordo con i 5s, rischia di rompersi. Benedetto Della Vedova è stato chiaro dall’inizio: “se ci sono i 5stelle non ci siamo noi”. Ma gli esponenti regionali del partito stanno cercando di fargli cambiare idea. E anche Majorino ci prova: “Mi auguro che tutti, anche +Europa, capiscano che la sfida, in Lombardia, è aperta, Della Vedova è intellettualmente onesto”. Insomma, i giochi – nel centrosinistra lombardo – sono ancora tutti da fare, ma per ora Majorino si gode l’annuncio della chiusura dell’accordo con i 5Stelle (che, detto per inciso, valgono il 7,5% contro il 3,5% di +Europa, almeno alle Politiche): “La sfida è aperta, possiamo vincere. La coalizione che stiamo costruendo è forte e si sta arricchendo di esperienze del mondo civico”. I 5stelle si dicono “soddisfatti del lavoro svolto” e non pongono, da parte loro, pregiudiziali su +Eu. Si vedrà come andrà a finire, anche se – almeno a stare alle sensazioni – il centrosinistra, storicamente debole in regione, anche se forte a Milano, rischia di arrivare terzo, alle Regionali, dietro il centrodestra e anche dietro la Moratti. Insomma, la sconfitta, per Majorino, pare sicura. 

Nel Lazio ogni coalizione ha i suoi problemi… 
Molto più complessa la situazione in Lazio, ma qui i guai, in casa, ce li hanno un po’ tutti, centrodestra compreso. Innanzitutto, va detto che lo schema con cui si presenta il centrosinistra si è completamente ribaltato rispetto a quello che si presentava negli ultimi scampoli di legislatura, quando il governatore era ancora Nicola Zingaretti che si è poi dimesso dopo aver corso, ed essere stato eletto, deputato per il Pd. Infatti, la maggioranza di centrosinistra, in Regione, si reggeva per pochissimi voti e solo grazie all’appoggio – prima esterno, poi con due assessori – dei 5Stelle che avevano, anzi, condizionato molte delle ultime scelte della giunta. Una volta sciolto il consiglio regionale e provocato le elezioni regionali, invece, Zingaretti è ’fuggito’ (in Parlamento), ma la situazione si è completamente ribaltata. Il Pd e il centrosinistra hanno rinunciato a tenere le primarie perché il pressing del Terzo Polo – fallito in Lombardia – qui è perfettamente riuscito. Carlo Calenda ha iniziato a spingere a più non posso sulla candidatura dell’assessore uscente alla Sanità, Alessio D’Amato, che pur provenendo dalla sinistra radicale, è molto apprezzato, in Regione. 

Pd e terzopolisti su D’Amato, 5S con la sinistra
Il Pd, sapendo di andare incontro a primarie fratricide, ha rinunciato a mettere in campo altri candidati, che pure scalpitavano e che avrebbero potuto godere dell’alleanza con i 5Stelle (dal cattolico Enrico Gasbarra alla radical Marta Bonafoni) ed ha accettato, obtorto collo, che la scelta cadesse su D’Amato. Anche perché rischiava che si candidasse comunque, senza il Pd ma con l’appoggio del Terzo polo, in una replica, rovesciata, dello schema lombardo, perdendo ogni speranza di mantenere il controllo del Lazio.  

A questo punto, però, sono stati i 5Stelle a tirarsi fuori e ad annunciare che avrebbero presentato un loro candidato, pescandolo dalla società civile. Si sono fatti, e ancora girano, molti nomi, specie di volti nomi della tv (Bianca Berlinguer, Luisella Costamagna, etc.) ma per ora i 5S sono in alto mare nella ricerca di un candidato convincente. Il solo piccolo risultato che hanno ottenuto è stato di spezzare il campo del centrosinistra. I Verdi di Angelo Bonelli hanno accettato, nonostante la presenza ingombrante di Calenda, di convergere su D’Amato mentre Sinistra italiana di Fratoianni ha scelto l’alleanza con i 5Stelle. Non è stata ancora formalizzata, ma è già nelle cose. 

D’Amato ha provato a tenere tutti insieme (“Abbiamo governato insieme per cinque anni, in Regione”) ma non c’è stato nulla da fare: “Non andremo con il Pd e con Calenda” è stata la risposta di SI. Il paradosso è che sia Bonelli che Fratoianni assicurano che la loro alleanza, quella di Avs, cioè dei rossoverdi, resta ‘salda’, sul piano nazionale, ma la spaccatura c’è e resta. A pesare, nella scelta di SI, c’è anche la scelta di un’area, quella deirossoverdi vicini ai 5Stelle, capeggiati dagli ex parlamentari Stefano Fassina e Loredana De Petris che premono su Fratoianni per appoggiare il candidato M5s, chiunque sia. 

Centrodestra fermo ai box. FdI ancora non sceglie ma è orientata a lanciare Trancassini
Non che le cose, nel centrodestra, vadano meglio. Anzi. Il centrodestra rischia di sbagliare un goal a porta vuota per i problemi stavolta tutti interni a Fratelli d’Italia. La coalizione, in teoria, già c’è e appare solida, oltre che in pole position, formata com’è dal tridente classico (FdI-FI-Lega) più gli alleati minori (Udc, Moderati, altre liste civiche). 

Quello che manca è il candidato. Matteo Salvini, assai spazientito, ha detto che “attendiamo che la Meloni ci dica qualcosa…”. E, proprio ieri, il coordinatore nazionale di FI, Antonio Tajani, ha posto a FdI un vero aut-aut: “Chiediamo a Fratelli d’Italia una terna di nomi per poter valutare il miglior candidato possibile”. Infatti, nella divisione interna ai candidati delle varie regioni, se la Lombardia spetta alla Lega, con Fontana, e la Sicilia è spettata a FI, con Renato Schifani, il Lazio spetta, ovviamente, a FdI, forte in regione. 

Solo che la Meloni non si decide ancora a scegliere, tra i suoi, il nome del candidato e non ha ancora scelto se debba essere un politico o un tecnico d’area. Fonti di FdI fanno sapere che l’annuncio definitivo arriverà in questi giorni, durante la festa, indetta a piazza del Popolo, per il decennale di FdI. Il nome in pole position è quello di Paolo Trancassini, deputato di FdI e coordinatore regionale del partito, oltre che ex sindaco di Leonessa, in provincia di Rieti. La scelta di un nome ‘politico’ e non di un ‘tecnico’ (è girato a lungo il nome di Francesco Rocca, presidente della Croce rossa italiana) è fortemente appoggiata da Lega e FI che temono la ‘sindrome Michetti’, cioè che FdI voglia andare, per le proprie beghe interne, su un nome di un esponente della società civile che, però, proprio come il candidato (un commercialista) alle elezioni comunali di Roma, non ha incontrato il consenso dei romani e si è fatto notare solo per gaffes e impreparazione. Trancassini, inoltre, vanta ottimi rapporti con la premier e con la sua famiglia (la sorella Arianna), anche se è stato lui – alle ultime comunali – a ‘suggerire’ il nome di Michetti che perse rovinosamente con Gualtieri. 

Avvocato cassazionista e proprietario del ristorante ‘La Campana’, molto ben frequentato, Trancassini ha un profilo a metà tra il politico e il tecnico che sembra convincere il clan meloniano più di altre candidature pure vagliate come quella di Chiara Colosimo (consigliere regionale laziale per due legislature e ora giovane deputata di FdI), di Rocca e di altri nomi minori. Un altro smacco, però, sarebbe la sua candidatura, per il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli. Veterano di FdI, fondatore di un’associazione, ‘I Gabbiani’, in cui iniziò a far politica anche una giovanissima Giorgia Meloni, conosciuto e stimato in tutta la regione, con lui i sondaggi dicono che il centrodestra avrebbe la vittoria in tasca. Ma il nome di Rampelli – che la Meloni ha voluto escludere anche dal governo – non va bene perché potrebbe ‘far ombra’ alla premier. Meglio il meno conosciuto ma più affidabile Trancassini. Solo che, così facendo, la gara per conquistare la Pisana si fa improvvisamente aperta. Se D’Amato non partisse svantaggiato dalla rottura con i 5Stelle (ma il candidato del centrosinistra pensa ancora di poter ricucire) potrebbe cercare il colpo gobbo e tenere il Lazio. In questo modo, il Pd eviterebbe la debacle. In caso contrario, invece, con le due maggiori regioni italiane in mano al centrodestra(una confermata, la Lombardia, e una riconquistata, il Lazio), chiunque sia il prossimo segretario del Pd partirà, nel suo incarico, da due cocenti sconfitte mentre il centrodestra tirerà un doppio sospiro di sollievo e la navigazione del governo potrà proseguire tranquilla. Ma con le Regionali, dalla dimensione più ‘local’, non è mai detta l’ultima parola. E i giochi si devono ancora chiudere.

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