Politica

Pd in crisi di tesserati e votanti in vista delle prossime primarie

02
Febbraio 2023
Di Ettore Maria Colombo

Il caso Cospito offre un po’ di respiro al Pd…
La prima – parziale – buona notizia è che il caso Delmastro-Donzelli ha fatto dimenticare, almeno per qualche giorno, i contorcimenti e i problemi di casa dem. La doppia gaffes (rivelazione di documenti secretati del ministero di Giustizia) dei due importanti esponenti di FdI sul caso Cospito e le loro scollacciate accuse all’opposizione e, in particolare, al Pd, accusato di ‘connivenza’ con i mafiosi e gli stragisti (più, ovviamente, gli anarchici…) che vogliono allentare il regime carcerario del 41-bis, ha, infatti, messo sul banco degli imputati, almeno in Parlamento, il governo e, in particolare, l’imperizia di due colonne di FdI come il responsabile Organizzazione del partito (Donzelli) e il potente sottosegretario alla Giustizia (Delmastro Delle Vedove) di cui, ora, tutte le opposizioni (per una volta unite: Pd, M5s e Terzo Polo) chiedono a gran voce le dimissioni.

I sondaggi vedono frenare l’emorragia di voti
La seconda – parziale – buona notizia è che l’emorragia, a livello di consensi, nei sondaggi, si è, se non invertita, quantomeno fermata. Lo certifica la supermedia di You trend che rivelano i dati rispetto a due settimane fa. In sintesi, lieve ma costante flessione per FdI e Lega, stabili Forza Italia e Pd, crescono M5s e Verdi/Sinistra. Certo, tra le liste delle opposizioni, a crescere in maniera sensibile è solo il M5s, che segna un deciso (17,9%, +0,4). Il Pd, però, arresta la discesa (stabile al 15,8%), il Terzo Polo è, a sua volta, stabile (7,9%). In ripresa i rossoverdi di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli (3,4%). Di conseguenza, come coalizioni, è in calo il centrodestra, crescono centrosinistra e M5s, anche se le distanze restano abissali: centrodestra al 46,2%, centrosinistra al 22,2%, M5s al 17,9%.

I candidati dem tutti uniti per le regionali
La terza – parziale – buona notizia è che i candidati alla segreteria del Pd hanno accolto l’invito di Gianni Cuperlo a trovare una data unica, a dispetto delle fittissime agende, per sostenere i candidati del centrosinistra alle prossime elezioni regionali del 12/13 febbraio. E poco importa che, in Lombardia, il Pd sia alleato dei 5 Stelle nel sostenere Majorino e, in Lazio, sia in coalizione con il Terzo Polo a favore di D’Amato. Conta l’idea e ‘l’afflato’ unitario, oltre al realistico timore di perdere entrambe le sfide. A Cuperlo è venuta un’idea sensata e propone, come data, il 10 febbraio per lanciare due iniziative – una a Milano e una a Roma – a sostegno dei due candidati e la sottopone ai suoi concorrenti (e altrettanto candidati, ma per la segreteria del Pd) Bonaccini, Schlein, De Micheli con un ragionamento ineccepibile: “le elezioni di Lombardia e Lazio vengono prima di tutto il resto. Che ne dite?”, scrive su Cuperlo su Twitter. A stretto giro arriva il sì di Bonaccini, poi quello della De Micheli e poi, dopo un po’, di Schlein. L’idea è di una grande manifestazione di chiusura delle regionali della Lombardia e del Lazio. Letta, ovviamente, non può che apprezzare l’idea come “di ogni iniziativa che contribuisca a rafforzare lo spirito unitario e la coesione del partito”. Bene.

Giarrusso non ha potuto iscriversi al partito…
Peccato che le buone notizie, per il Pd, finiscano qui. Il problema numero uno, infatti, si chiama livello di partecipazione alle primarie (numero dei votanti) e stato di salute del partito (numero degli iscritti). E qui, invece, sono solo dolori. Per un Dino Giarrusso che voleva iscriversi e che, ormai è chiaro, non potrà farlo (il termine per i nuovi iscritti è scaduto il 31 gennaio) perché la ex Iena ed ex M5s da un lato si era iscritto a un movimento localistico (“Sud chiama Nord” di Cateno De Luca) e, dall’altro, al Parlamento Ue, milita nel gruppo Misto che, per quanto ‘Misto’, è sempre diverso da quello socialista (S&D), sono fin troppi gli iscritti al Pd che hanno deciso di non rinnovare la tessera. Secondo gli ultimi dati diffusi, il Pd conta, al 31 gennaio, 150 mila iscritti, in forte calo rispetto ai 320 mila del 2021.

Il sensibile calo nel numero degli iscritti
Per ora, è un dato solo parziale. Il regolamento congressuale, infatti, prevedeva l’adesione fino al 31 gennaio, con una eccezione per i militanti storici quelli che hanno la tessera dem del 2021. Per loro è possibile tesserarsi fino al congresso nel loro circolo, quindi dal 4 al 12 febbraio. Con un prolungamento ulteriore al 19 febbraio per Lombardia e Lazio, dove si vota per le regionali. Dicono al Nazareno che nelle ultime ore e giorni c’è stata una corsa a tesserarsi, tanto che la piattaforma online è stata presa d’assalto e si è verificato un ritardo nell’elaborazione dei dati da consegnare alla commissione congresso: da qui le cifre ancora oggi ballerine. Il responsabile dell’organizzazione, Stefano Vaccari se ne vanta: “Le ‘cassandre’ sono state smentite, qualcuno anche all’interno del partito prevedeva che fossimo morti e sepolti”. Ma, al di là di previsioni ancora più fosche, il Pd si restringe. Ed è una lenta e inesorabile contrazione: nel 2019 i tesserati erano 412mila; nel 2013, 535mila, anche se si disse che erano stati “pompati” in vista del congresso di allora. Subito dopo la fondazione, il Pd di Walter Veltroni, nel 2008, aveva 830mila iscritti. Altra epoca, altra capacità espansiva e altro appeal. Ma anche ipotizzando un buon afflusso dei militanti storici nei prossimi giorni, la proiezione non sale a oltre i 200 mila iscritti che parteciperanno al primo round del congresso, dove solo chi è tesserato (e i bersaniani che dichiareranno di tesserarsi: ad oggi circa 9 mila), può votare per i quattro sfidanti alla segreteria.

Il risultato designerà chi andrà al ballottaggio nelle primarie dei gazebo il 26 febbraio. Qui a decidere il segretario che prendere il posto di Letta, sono non solo i militanti, ma anche gli elettori dem.

La caduta di iscrizioni è forte specie al Sud
Non è solo però la caduta del numero dei militanti a preoccupare i dem. Bensì l’effetto a macchia di leopardo e il crollo al Sud. Se l’Emilia-Romagna (la regione di tre dei quattro sfidanti: De Micheli, Schlein e Bonaccini) ha tenuto, così come Toscana, Piemonte e Lombardia, nel Mezzogiorno il Pd rischia l’irrilevanza. A mano a mano che emerge la fotografia del tesseramento, l’impressione è quella di un flop nelle regioni meridionali. La spinta dei candidati, insieme con la competizione per i nuovi segretari regionali, sta giocando un effetto traino, ma modesto. Morale, alla fondazione, con Walter Veltroni, gli iscritti erano quasi un milione. Quindici anni dopo le tessere ammontano a poco più di 150 mila.

Le primarie meno partecipate della storia dem
L’altro e ultimo, ma cruciale, problema è che le prossime primarie del Partito Democratico si annunciano come le meno partecipate della storia. Veltroni le vinse contro Rosy Bindi ed Enrico Letta con tre milioni e mezzo di partecipanti. Il prossimo segretario o segretaria del Pd, anche vincendo, potrà contare su una legittimazione popolare decisamente ridimensionata da allora. Nel primo anno di tesseramento, nel 2008, gli iscritti alla formazione erede del Pci-Pds-Ds e del PPI-Margherita raggiungevano quota 830 mila. Un numero non paragonabile, certo, al 1947, quando nel Pci di Palmiro Togliatti gli iscritti raggiungevano superavano quota due milioni. Altri tempi, ma nel 2008 quei numeri consegnavano al Pd la testa incontrastata nella classifica delle formazioni politiche per numero di iscritti. Da quel Pd “a vocazione maggioritaria” resta veramente poco. Già due anni dopo, conclusa la segreteria dell’ex sindaco di Roma e iniziata la svolta a sinistra con Pier Luigi Bersani il tracollo è forte: 570 mila tessere nel 2010, che si riducono ulteriormente a 400 mila nel 2012, quando i dem sono ancora guidati da Bersani.

Va riconosciuto che una leggera ripresa la si ottenne con l’ascesa dei rottamatori di Matteo Renzi, che aspirava esplicitamente a costruire un ‘partito della Nazione’. Il premier-segretario riuscì a stabilire un nuovo record elettorale, con il famoso 40% alle europee del 2014, ma l’exploit non corrispose a un analogo successo nel tesseramento: nel 2015 gli iscritti sono 385 mila e risalgono l’anno successivo a poco più di 400 mila. I numeri comunque reggono, uno zoccolo duro di militanti che non vuole saperne di mollare il partito: con l’avvento della segreteria di Nicola Zingaretti, nel 2019, sono 412 mila. Ma la pandemia dà la botta decisiva. In due anni le tessere crollano di quasi centomila, a 320 mila. Fino ad arrivare ai numeri più che dimezzati attuali, con l’asticella ferma a poco più di 150 mila e che non dovrebbe salire più di tanto. Delle due l’una: o con la segreteria di Enrico Letta si è consumata una forte emorragia, oppure i numeri delle precedenti rilevazioni erano “gonfiati”, accusa che spesso circola alla vigilia di ogni congresso, come avvenuto nel 2019 e come ancora prima negli anni dell’epopea renziana.

Per quanto riguarda le primarie, quelle del 2023 saranno l’ottava tornata. Anche qui, però, i numeri testimoniano la crisi graduale della partecipazione: nel 2007, nella sfida che vide contrapposti Veltroni, Rosy Bindi e il giovane Enrico Letta, i numeri erano da record, con oltre tre milioni e mezzo di elettori.

Nel 2009, nella sfida che vede contrapposti Bersani, Dario Franceschini e Ignazio Marino siamo ancora sopra quota tre milioni. Ai due giri di primarie nel biennio 2012-2013 (nel primo Bersani fu riconfermato segretario contro lo sfidante Renzi, nel secondo il sindaco fiorentino sistemò la pratica Gianni Cuperlo e Pippo Civati con facilità) si sfiorano ancora i tre milioni. Il crollo arriverà al tramonto dell’era renziana: nel 2017 Renzi batte Andrea Orlando sfidandolo in una competizione da poco più di un milione e mezzo di elettori. L’anno successivo, alle elezioni del 4 marzo, i dem si schiantano con il 18% e l’addio di Renzi alla segreteria. Nel 2019 le primarie registrano un milione e mezzo di voti, di cui due terzi al governatore del Lazio Zingaretti, nuovo leader. Quattro anni dopo, però, considerato il dimezzamento netto delle tessere, sono in tanti a dubitare sulla capacità di attirare alle urne di partito almeno un milione di elettori. E così le primarie rischiano di rivelarsi, come le ultime elezioni politiche, il più grande flop nella storia pluridecennale dell’intero Pd dalla nascita.