Politica

Numeri da sprofondo rosso, il Pd verso la sconfitta già pensa al congresso. I nomi

10
Settembre 2022
Di Ettore Maria Colombo

Le percentuali di voto – intese sia come partito che come coalizione – sono quelle che sono, almeno quelle registrate dai sondaggi, i quali – fanno gli scongiuri al Nazareno – da un lato ‘non’ sanno mai intercettare la grande massa di indecisi o astenuti o non votanti (il 35-40% degli elettori) e, dall’altro, ‘non ci pigliano mai’. In effetti, sia nel 2013 che nel 2018 è andata proprio così, con il boom inaspettato dei 5Stelle, che portarono a votare molta gente mai vista prima. Il guaio è che, in entrambi i casi, il Pd di Bersani (2013) e quello di Renzi (2018) si aspettava di vincere e, invece, ‘non vinse’. Il Pd di Bersani prese il premio di maggioranza, solo alla Camera e solo grazie alla legge elettorale vigente allora, il Porcellum. Oppure perse, e male (il Pd di Renzi), con l’allora nuova legge elettorale, il Rosatellum, la stessa di adesso, che invece doveva ‘salvarlo’ (ne seguì una rovente polemica, oggi ritornata, su chi volle quella legge, ma lasciamo perdere…), ma in entrambi i casi furono deluse aspettative che erano migliori e assai più ottimistiche. Nel caso di Letta, invece, come direbbe lo scrittore Usa Truman Capote, alle “preghiere esaudite”, le peggiori. Ti aspetti un tonfo, e il tonfo arriva.

Le “preghiere esaudite” di sondaggi disastrosi 

Le previsioni elettorali – e di tutti i sondaggisti, il che vuol dire che dovrebbero sbagliarsi tutti, fino all’ultimo, e tutti insieme – son davvero pessime. Ai limiti del tragico. Si va – ieri era l’ultimo giorno in cui i sondaggi si potevano pubblicare – dal devastante 21,2% di Quorum You Trend, con il centrosinistra al 28%, al 21,4% del CISE, con la coalizione al 31%. Poco meglio dicono Bidimedia (21.5% e coalizione al 29,8%) e Swg (22,3%, coalizione 28.9%, ma l’ultimo, sfornato ieri da Mentana, è un disastro: 20.4% al Pd) mentre solo Demos (per Repubblica, guarda un po’) regala qualche piccola gioia: Pd al 22,4,%, in crescita. Solo che, cambiando l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia. E l’esito appare segnato. 

I seggi in dote al Pd saranno una miseria… 

In seggi, infatti, vuol dire che il Pd – a fronte di un centrodestra pronto all’en plein (248/268 deputati, quorum 201, e 126/136 senatori, quorum 101) porterebbe a casa 117/137 parlamentari (78/98 deputati e 39/49 senatori), secondo uno studio di Youtrend aggiornato, però, ‘solo’ al 25 agosto, quadro oggi peggiorato. Una miseria, in buona sostanza, considerando che il Pd di Renzi ne ebbe – ma, va detto, i parlamentari erano ancora, in tutto, 945 e non 600 – ben 165 (divisi in 112 deputati e 53 senatori). 

E anche il ‘grido di guerra’ lanciato dal segretario dem, ai suoi, pochi giorni fa (rendere contendibili 24 collegi uninominali finora considerati persi, blindare la vittoria in altri 15 e conquistare 23 seggi in più nel proporzionale, prendendo il 4% in più, ma partendo dal 24%…), è servito a poco. Letta ha, giustamente, dal suo punto di vista, smesso di attaccare il centrodestra, cosa che continua a fare, ma che ormai è divenuto una ‘volpe’ troppo veloce, impossibile da seguire, figurarsi da acchiappare, e ha messo nel mirino M5s e Terzo Polo, proprio con questo obiettivo: recuperare un buon 4% di voti ormai già ‘persi’ dai due partiti/poli che lo stanno dissanguando. Un ‘recupero’ che avrebbe del miracoloso e che paralizzerebbe la situazione politica nel nuovo Parlamento, impedendo di fatto la nascita di un esecutivo sovranista guidato da Giorgia Meloni.

5Stelle di Conte e Terzo Polo dissanguano il Pd

Ma è diventato uno di quei sogni che muoiono all’alba e, infatti, è già morto. I collegi dove la sfida è ancora ‘incerta’ sono, in realtà, solo 18 alla Camera e 6 al Senato. Troppo pochi. Così, con i 5Stelle in crescita impetuosa, specie al Sud, ormai lanciatissimo tra il 14 e il 16%, e il Terzo Polo, meno performante e meno in crescita ‘tumultuosa’, ma che rosicchia punti e consensi al Centro-Nord (è quotato tra il 5.5 e il 6,5%), il Pd perde sangue da tutte le parti e in tutte le regioni. 

Inoltre, gli alleati minori, i famosi ‘nanetti’, non aiutano di certo a far riprendere vita alla coalizione (solo Verdi-SI sono dati, stabilmente, sotto il 3%, tutti gli altri piangono miseria sotto: +Europa sta tra l’1,5 e il 3%, IC sotto l’1%…), hanno solo ‘preteso’ collegi in posti blindati, peggio si sentono i candidati nelle liste del Pd. 

L’inutilità dei ‘nanetti’ e i dolori dei candidati

I quali già hanno sofferto le pene dell’inferno – almeno molti di loro, i più oscuri, ma pure diversi big – per esser stati messi in posizione, nelle liste, da ‘non eleggibili’ quasi ‘matematici’, ma che – a ogni nuovo sondaggio (per fortuna di dem e pure dei loro simpatizzanti da oggi non si possono più diffondere né far vedere: tutte gastriti in meno…) – han gli stranguglioni, gli si fa il groppo in gola. 

Ed ora ecco che ci mancava proprio uno studio (riservato) di Youtrend sulle chanche di vittoria dei diversi candidati: un altro pianto greco con nomi pure eccellenti che rischiano di non farcela. 

Il segretario sa bene che c’è chi ‘rema contro’

Ci sono i numeri, però, e poi c’è la politica, ovviamente. Letta ha provato a ‘ripartire’ dopo settimane complesse, difficili, pesantissime. Il segretario è consapevole che non tutti i dirigenti “stanno dando il massimo” o si è addirittura disimpegnato, con un gruppo di comando in cui non manca chi ritiene che il leader abbia sbagliato l’impostazione della campagna elettorale. Letta, dunque, decide di reagire. Anticipa la svolta ai big e poi la comunica ai candidati. Imponendosi tre obiettivi: fare del Pd il primo partito, salvare la segreteria, evitare un governo tutto a destra e Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Uno scenario da evitare anche perché produrrebbe un Parlamento controllato da una maggioranza capace di modificare da sola la Costituzione, ma anche di eleggere i giudici costituzionali e i membri laici del Csm senza ascoltare l’opposizione. Un incubo, per il Pd. L’idea, allora, diventa quella di riattivare il meccanismo del voto utile nei collegi, sfidando la crescita nei sondaggi di grillini e terzopolisti.

Ma 4 punti percentuali in più sono impossibili

Per Letta, non servirebbe poi troppo per invertire la tendenza: quattro punti percentuali, appunto. Tagliare questo traguardo, dice uno studio riservato, potrebbe addirittura portare la destra a doversi accontentare di una vittoria risicatissima sia al Senato che alla Camera. Potrebbe solo, però, in realtà, perché chi sa di leggi elettorali sa anche che un recupero del 4% sul piano nazionale è improbabile, se non impossibile, che si spalmi in modo uniforme nei singoli collegi e dunque potrebbe annullare i vantaggi previsti o renderli addirittura persino superiori alle attese.

La rimonta dovrebbe concentrarsi soprattutto in alcune aree del Paese. Innanzitutto, servirebbe una netta vittoria in Emilia-Romagna e Toscana. Poi una convincente affermazione nelle grandi città governate dal Pd: Milano, Torino, Firenze, Bologna, Roma e Napoli. Infine, i dem dovrebbero prevalere in città amministrate dal centrosinistra o in intere regioni in bilico: Trento, Ancona, Bari e la Sardegna. Le incognite sono moltissime, troppe. Resta l’obiettivo politico di contenere la vittoria di Giorgia Meloni. O addirittura di sbarrarle la strada di Palazzo Chigi, mettendola di fronte a una scelta complessa: partecipare a un esecutivo euro-atlantista e o stringere un patto esclusivo con Salvini, guidando però un governo con numeri risicatissimi. Quattro punti in più regalerebbero al Pd anche una speranza ormai del tutto affievolita: ritagliarsi il ruolo di primo partito. Difficile pure questo, certo. Ma se accadesse, renderebbe meno scontate le consultazioni che si apriranno a urne chiuse. E consegnerebbe a Letta la garanzia di mantenere il pieno controllo della segreteria, oggi in pericolo. 

La situazione è quella che è, cioè ‘nera’ e nel Pd si prepara già la ‘notte dei lunghi coltelli’…

Insomma, la situazione è quella che è. Nera. Per non dire del ‘clima’ che si registra nel partito. Ai comizi e alle Feste dell’Unità ci va poca gente. Il clima è mogio, e quando questo accade è un bene, altrimenti è nervoso, arrabbiato, permaloso, polemico. Sempre e solo nei confronti di Letta. I suoi avversari interni già affilano armi e coltelli. 

Si dice che, non appena la sconfitta di Enrico Letta, sarà conclamata, i corvi del malaugurio, già svolazzanti, prenderanno forma e corpi fisici. Uno dovrebbe essere quello del governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini. Riformista, smart, buoni rapporti con tutti, professa fedeltà, ma chi lo conosce sa che, stavolta, “Stefano c’è. E’ pronto e si lancerà nell’agone per la corsa alla nuova segreteria”. Magari appoggiato dagli ex renziani di Base riformista (l’area Lotti&Guerini) che una serie di ‘scelte’ (dall’esclusione dalle liste di Luca Lotti a quella di molti altri nomi importanti, per Br) al segretario, la notte fatidica del 15 agosto, quando vennero rese note le liste, non gliele ha perdonate. 

Insomma, il congresso del Pd (si fa via primarie da quando Mondo è Mondo, cioè da quando il Pd è nato, ha tempi biblici di convocazione e messa a terra, in teoria Letta scadrebbe nel lontano 2024), si avvicina a grandi passi. Anticipato, of course. 

Bonaccini, Provenzano e la De Micheli. I candidati al prossimo congresso anticipato… 

Ma anche altri leader e leaderini sono pronti a buttarsi a capofitto tra quelli che fecero l’impresa. Il ‘campione’ della sinistra, Peppe Provenzano, che sta per diventare, per la prima volta, deputato. E pure, così si dice, un sindaco del centro Italia. 

Poi, ovviamente, se Letta davvero si dimetterà, un candidato della sua area, che ne raccolga bandiere e testimone, ci sarà. Si fa il nome della ex lettiana (poi renziana, zingarettiana, rientrata con Letta) Paola De Micheli (è stata ministro, nel Conte II), ma con quali chanches di farcela, a oggi non si sa. Bonaccini, in realtà, vorrebbe fare ticket, per scalare la segreteria dem, con una donna (profilo: radicata nel territorio, riformista, bella presenza). E magari il ticket se lo inventa pure Provenzano mentre la De Micheli se lo dovrebbe inventare ‘all’incontrario’, cioè con l’uomo: potrebbe farlo Francesco Boccia, forte al Sud, pure lui lettiano. 

Certo è che il ‘processo’ a Letta è già partito… 

Certo è che il ‘processo’ a Letta è già partito. Nel Pd è un mugugno e un sospiro continuo. Si va dal (comprensivo?) “fare politica attiva non è il suo” al (benigno?) “come premier era bravo, ma come segretario è un disastro” al (minimal?) “non sa come si fa una campagna elettorale, è di legno”. Ora, qui bisogna intendersi. Buttare la croce ‘solo’ sul segretario, per la sconfitta – inevitabile – che arriverà sulla testa del Pd (una mazzata di proporzioni storiche, a occhio) è molto facile, ma anche oltremodo ingeneroso. Oltre che essere, ovviamente, uno degli sport preferiti, dentro il Pd, partito che ci è nato, col ‘modello Crono’: i figli li mastica e poi li sputa. 

Certo, ad oggi, fanno tutti ‘professione di fede’: i ministri (Franceschini in testa, e gli altri), la sinistra interna, persino la minoranza riformista (Base riformista), fino a quei bastian contrari dei Giovani turchi. “Stiamo tutti col segretario”, dicono, si capisce, da settimane. Pronti a tradirlo, prima che il gallo canti tre volte, il 26 settembre. 

Una sconfitta che può ‘battere’ alcuni record…

Una scena che si ripeterà come tante altre volte (Bersani 2013, Renzi 2018, senza andare indietro nel tempo, ab urbe condita, cioè agli epici scontri tra Veltroni e D’Alema per chi doveva guidare il Pci-Pds-Ds-Pd o quelli tra Bersani e Renzi…) e che, come al solito, lascerà un retrogusto amaro. 

Solo personalità ingenerose – e il Pd ne è zeppo – potranno attribuire alle uniche ‘spalle’ del leader la responsabilità di una sconfitta che dovrebbe, invece, essere ‘collettiva’. Il Pd di Letta rischia, però, in ogni caso, di sprofondare sotto la soglia di guardia del 20-22% e avvicinarsi pericolosamente al peggior tonfo storico della Sinistra nell’intera Seconda Repubblica, il 18,7% preso dal Pd di Renzi alle Politiche del 2018 (coalizione al 22,8%), il quale riuscì nella storica impresa a fare peggio pure del 20,3% di Occhetto (Politiche del 1994, coalizione, però, al 34,3%). 

Ecco, con un Pd che, almeno nei sondaggi, è già sprofondato tra il 21 e il 22% e la coalizione sotto – abbondantemente – il 30% dei consensi, si rischia, a livello di voti come di seggi, il cappotto. In ogni caso, stavolta, i sondaggi non sbagliano. La sconfitta è a un passo e Letta ne sarà il capro espiatorio. I suoi avversari interni sono già pronti. Lo sport degli avvoltoi sul cadavere è già ai box.