Politica
Migranti, Cnel: in Italia 5,4 milioni di stranieri. «Un ammortizzatore del calo demografico»
Di Ilaria Donatio
Al 1° gennaio 2025 gli stranieri residenti in Italia sono stimati in 5,4 milioni, pari al 9,2 per cento della popolazione complessiva: quasi una persona su dieci. A questi si aggiungono circa due milioni di nuovi cittadini italiani, ex stranieri che hanno acquisito la cittadinanza. È il quadro che emerge dal Rapporto ONC-Cnel sull’immigrazione 2025, Conoscere per includere, presentato oggi a Roma in occasione della Giornata internazionale dei migranti.
I numeri raccontano un fenomeno strutturale, non emergenziale. Negli ultimi dodici anni la popolazione con cittadinanza italiana è diminuita di 2,27 milioni di unità, mentre quella straniera è cresciuta di 1,10 milioni. Una dinamica che ha funzionato da vero e proprio ammortizzatore del declino demografico, dimezzando la flessione complessiva dei residenti. Ma il rapporto segnala anche un cambio di passo: se tra il 2012 e il 2019 l’aumento degli stranieri compensava circa il 60 per cento delle perdite della popolazione italiana, nel periodo 2020-2024 questa capacità si è ridotta al 35 per cento, schiacciata dal saldo naturale negativo e dalla ripresa dell’emigrazione degli italiani.
La crisi demografica, avverte il Cnel, è ormai talmente profonda che anche un apporto migratorio positivo, se contenuto entro limiti sostenibili, può al massimo rallentare il ridimensionamento della popolazione totale, senza riuscire a invertirne la tendenza. È in questo quadro che la presenza straniera assume un peso economico e sociale decisivo.
«Gli oltre cinque milioni di cittadini stranieri residenti in Italia, ai quali si aggiungono circa due milioni già divenuti italiani, rappresentano una sorta di ammortizzatore del progressivo calo della popolazione autoctona e dell’invecchiamento demografico», ha spiegato il presidente del Cnel, Renato Brunetta, intervenendo alla presentazione del rapporto. Un ammortizzatore che non è solo demografico: «L’immigrazione regolare svolge una funzione significativa anche sul piano economico. Per questo è essenziale che il percorso di inclusione proceda in modo spedito, superando le criticità legate al mercato del lavoro, al rapporto con le istituzioni e alle reti sociali».
Il quadro delle comunità conferma un Paese che cambia. Quella romena resta la più numerosa, con 1,73 milioni di residenti, anche se negli ultimi anni il numero è in calo per effetto delle acquisizioni di cittadinanza italiana. Dinamiche simili emergono per le comunità albanese e marocchina, entrambe intorno ai 400 mila residenti, dove il numero dei nati nei Paesi d’origine supera ormai quello dei cittadini stranieri formalmente residenti. Crescono invece comunità alimentate da flussi più continui, come quella bengalese, mentre la presenza cinese, storica e stabile, appare meno coinvolta nel passaggio alla cittadinanza italiana.
Anche la distribuzione territoriale resta fortemente sbilanciata. Lombardia, Lazio ed Emilia-Romagna concentrano la quota più alta di residenti stranieri, mentre guardando all’incidenza sulla popolazione totale spiccano Emilia-Romagna, Toscana e Lazio. Al Sud e nelle Isole le percentuali restano nettamente inferiori, segno di un Paese diviso anche su questo fronte.
Nel suo intervento Brunetta ha allargato lo sguardo alla storia italiana dell’emigrazione, ricordando come il Paese non abbia saputo fare tesoro della propria esperienza. «Siamo stati un Paese di emigrazione, poi abbiamo conosciuto l’immigrazione senza imparare davvero da quella storia, che è stata spesso dolorosa», ha detto, citando la tragedia di Marcinelle, di cui il prossimo anno ricorreranno i settant’anni. «L’Europa sociale nasce lì, da un accordo fatto di braccia in cambio di carbone. La cosa più triste è che molte delle ombre di allora le abbiamo riprodotte in Italia per i nostri immigrati».
Un’accusa netta: «Non abbiamo corretto i difetti del nostro mercato del lavoro, li abbiamo replicati e in alcuni casi peggiorati: nero, irregolarità, caporalato, sfruttamento». Da qui l’appello a una gestione pragmatica dei flussi e a un’immigrazione regolare «da domanda», legata ai fabbisogni reali del sistema produttivo.
Il messaggio che emerge dal rapporto è chiaro: senza politiche strutturali su lavoro, integrazione e cittadinanza, l’immigrazione continuerà a svolgere un ruolo di contenimento del declino, ma non potrà diventare quella leva strategica di cui il Paese ha sempre più bisogno.





