Politica
L’Europa della settimana: il continente che vuole crescere
Di Beatrice Telesio di Toritto
Settimana densa per l’Europa quella appena trascorsa, che ha oscillato tra i toni solenni della celebrazione e il brusio ansioso della diplomazia. Tutto è cominciato, come da copione, lo scorso 9 maggio con la Festa dell’Europa, un momento in cui ci si ricorda – tra un inno alla gioia e un hashtag istituzionale – che in fondo l’Unione è ancora lì, più o meno integra, più o meno ascoltata. Ma se la giornata ha il sapore simbolico di un compleanno in famiglia, i giorni successivi hanno sorpreso chi pensava che l’Europa si sarebbe fermata lì: invece di archiviare la ricorrenza con i soliti discorsi di circostanza, si è passati subito ai fatti, con vertici e confronti che – nel bene e nel male – hanno rimesso l’Unione al centro della scena.
Si arriva così a martedì, quando a Coimbra, in Portogallo, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e l’ex Presidente del Consiglio Mario Draghi hanno preso parte al XVIII Summit Cotec Europe. Tema del vertice: “A Call to Action”. Una chiamata all’azione, che richiama le tante sollecitazioni già lanciate negli ultimi anni e che ora,più di altre volte, sembrano trovare terreno fertile per trasformarsi in passi concreti. Stavolta infatti l’intento è stato più diretto: l’incontro tra i capi di Stato di Italia, Spagna e Portogallo ha fatto da cassa di risonanza a due documenti di ampio respiro – i rapporti Letta e Draghi – che oggi che appaino ormai i vangeli tecnocratici del momento.
Mattarella ha portato con sé la consueta autorevolezza, richiamando con una citazione da Puccini – “Nessun dorma” – la necessità per l’Europa di restare vigile. Un riferimento che, più che lirico, voleva essere un invito alla lucidità e all’azione condivisa. Più tecnico ma altrettanto diretto è stato Draghi, che ha parlato della necessità di un “cloud europeo” strategico, una specie di cielo digitale sovrano sotto cui poter mettere al sicuro i dati e – metaforicamente – anche un po’ di peso geopolitico. Perché se gli Stati Uniti e la Cina corrono, l’Europa – è stato il sottinteso – non può continuare a camminare.
Ma il vero crocevia politico è arrivato venerdì a Tirana, dove si è tenuto il sesto vertice della Comunità Politica Europea. Un formato ancora giovane ma già affollato, con 47 leader tra membri UE e partner extraeuropei, che si ritrovano periodicamente a discutere del futuro, consapevoli che i problemi arrivano sempre prima delle soluzioni. La premier italiana Giorgia Meloni ha presenziato con determinazione, affrontando una serie di temi che vanno dalla sicurezza ai flussi migratori, passando per la guerra in Ucraina. In particolare, ha rilanciato il protocollo italo-albanese sui migranti, che prevede l’istituzione di centri di accoglienza in territorio albanese. Un’idea che ha già fatto discutere, ma che nel contesto balcanico è stata presentata come modello di cooperazione pragmatica. L’incontro bilaterale con Edi Rama ha avuto i toni della cordialità istituzionale, ma lo sfondo resta quello di una strategia italiana che cerca spazi di manovra fuori dai binari comunitari, là dove l’Europa tentenna.
Nel frattempo, mentre l’Europa parla tra sé e di sé, altrove succede dell’altro. Sempre venerdì, a Istanbul, è andato in scena un incontro tanto atteso quanto incerto: i primi colloqui diretti tra Russia e Ucraina dal 2022, sotto la mediazione – instancabile e interessata – della Turchia. Il presidente turco Erdoğan si è offerto ancora una volta come mediatore neutrale, sperando di poter ospitare un giorno l’incontro tra Zelensky e Putin. Per ora, infatti, nonostante le ipotesi lanciate, si sono visti solo i delegati: l’Ucraina ha mandato il ministro della Difesa Rustem Umerov, mentre Mosca ha risposto con una squadra di basso profilo, guidata da Medinsky, l’uomo delle trattative che però, almeno al momento, non hanno portato a molto. Un tentativo di dialogo? Forse. Una mossa tattica per guadagnare tempo? Più probabile.
