Politica

Le liste sono state chiuse, ma quanta fatica! Gli esclusi eccellenti e le new entry. E gli sherpa

23
Agosto 2022
Di Ettore Maria Colombo

E così, alla fine, il puzzle delle candidature nelle liste elettorali è completo. Del resto, la legge che ne prescrive e sovraordina le regole era e resta implacabile: le candidature andavano consegnate entro e non oltre le ore 20 del 21 agosto 2022, come indica il decreto legislativo n. 177 del 23 dicembre 2020 presso gli uffici elettorali delle Corti d’appello. Collegio per collegio e circoscrizione per circoscrizione, i candidati – e, ovviamente, le firme a loro appoggio – ci dovevano essere tutte, ma proprio tutte tutte. Parliamo, in ogni caso, della ‘leggina’ che ha ‘riadattato’ i collegi e le circoscrizioni del Rosatellum, la legge elettorale vigente (2017), dopo il taglio del numero dei parlamentari.

E trattasi della – mai riforma fu tanto sciagurata – ‘riforma costituzionale Fraccaro’, dal nome dell’allora ministro dei 5Stelle proponente. Voluta in modo pervicace, ostinato e ‘stupido’ dai 5S, che volevano fingere di combattere la ‘Casta’, e accettata, senza un batter di ciglia, dall’allora segretario del Pd, Nicola Zingaretti (che chiedeva, in cambio, una riforma della legge elettorale in senso proporzionale, mai arrivata), tutti sapevano che il taglio dei parlamentari, combinato con il mix di maggioritario (37%) e proporzionale (61%, più un 2% di seggi Estero), avrebbe creato un effetto micidiale. E così è stato.

“Il sonno della Ragione genera mostri”…
Peccato che, una volta caduto il governo Draghi, sciolte le Camere e indette le elezioni anticipate, tutti i partiti si sono resi conto del ‘mostro’ che avevano creato e se ne sono addolorati assai. Meno posti a disposizione, meno posti da dare. Tranne che, ovviamente, per chi nelle urne vince e, cioè, così dicono i sondaggi, il centrodestra…

I seggi del futuro Parlamento, la XIX legislatura, che si aprirà formalmente il prossimo 13 ottobre, sono stati defalcati in modo drastico: da 630 che erano, alla Camera, sono diventati 400 e da 315 (i senatori elettivi), al Senato, sono diventati 200.

Un taglio netto, ‘lineare’ di -345 parlamentari che, insomma, “manco alla Fiat dei tempi di Marchionne!” già gemevano, negli ultimi tempi, i parlamentari. Ma, si sa, ‘chi è causa del suo mal pianga se stesso’. Il referendum costituzionale, pur tentato, contro la riforma Fraccaro, è stato sonoramente perso, dai proponenti. Gli ‘italiani’ così hanno voluto e amen, con tutti i maggiori partiti che non hanno ‘osato’ dirsi e mettersi contro una riforma che, di riffa o di raffa, sapevano avrebbe loro ‘tagliato le gambe’.

Il mix micidiale del taglio e del Rosatellum…
In buona sostanza, meno posti, meno candidati e, anche, collegi – soprattutto quelli uninominali – diventati molto più grandi: sono diventati, oggi, 147 collegi uninominali alla Camera, 245 collegi plurinominali, più otto collegi dei seggi ‘Esteri’. E, al Senato, 74 collegi maggioritari, 122 collegi (o circoscrizioni) plurinominali proporzionali più 4 collegi sempre a capo alle circoscrizioni Estero.

Solo che – e qui sta il primo ‘barbatrucco’ – i collegi, diventando enormi, o comunque ‘grandi’ – amplificano gli effetti distorcenti della parte maggioritaria. Inoltre, specialmente al Senato, dove la ripartizione dei seggi è su base regionale, la soglia di sbarramento nazionale, fissata per legge al 3%, diventa molto più alta, o altissima. In almeno 7 regioni ‘piccole’ (Friuli, Sardegna, Liguria, Marche, Umbria, Basilicata, Molise), dove i senatori da assegnare restano pochissimi (2 o 3 e, in Molise, solo uno…), lo sbarramento ‘vero’, cioè ‘implicito’ scatta, a seconda della regione e dei seggi, dal 10-15% al 15-20%. In pratica, solo i due partiti maggiori avranno eletti. Inoltre, secondo ‘trucco’, l’effetto flipper (sai che eleggi, ma non sai chi e dove eleggi…) si moltiplica all’inverosimile, rendendo difficile, o impossibile, almeno ai partiti che non sono tra i due principali, indicare, a priori, i seggi ‘blindati’.

La ‘fatica di Sisifo’ della formazione delle liste elettorali e una ‘brutta’ campagna elettorale già partita
Ma torniamo, appunto, a quella ‘fatica di Sisifo’ che è – a ogni elezione che si rispetti e, a maggior ragione, questa la formazione delle liste elettorali. Costata molta più fatica del passato, e non solo per l’afa della prima campagna elettorale estiva, lascia sul campo molti esclusi (compresi i big), parecchi malumori e altrettanti addii. Fino a sfiorare il terremoto interno, come è quasi successo dentro Forza Italia ieri e – per primi, che vogliono sempre arrivare ‘primi’, in quanto a figuracce cosmiche – nel Pd, il 15 agosto scorso.

Chi resta sono candidati dai volti più o meno noti, pochi vip e pochissimi sindaci. Oltre alla squadra di governo ancora in carica, quello guidato da Mario Draghi (il quale, ovviamente, non si candida), in gran parte riconfermata nella corsa al nuovo Parlamento che nascerà a ottobre. Ma neppure il tempo di depositare i faldoni delle liste nelle corti d’appello e scatta la fase due: la campagna elettorale. Sarà – e già è – dura, brutta.

Ai nastri di partenza c’è Giorgia Meloni che apre la sua campagna ad Ancona. Dopo il super dibattito con quasi tutti gli altri leader – escluso Giuseppe Conte del M5s – che si troveranno al Meeting di Rimini, la leader di Fratelli d’Italia sarà in piazza nella regione che il suo partito governa con Francesco Acquaroli. Intanto, il Terzo Polo prepara una manifestazione in nome dell’Europa il prossimo 3 settembre, a Milano, dove Renzi e Calenda – per una volta – saliranno sullo stesso palco, cosa che, si sa, non amano fare. La Lega terrà il suo tradizionale raduno sul ‘pratone’ di Pontida, il 17 settembre, quando il Pd di Letta gli opporrà una contro-manifestazione di tutti i sindaci, che si terrà a Milano, organizzata dal coordinatore dei sindaci dem, Matteo Ricci (Pesaro), e da quello di Firenze, Dario Nardella.

Comizi a parte, però, la campagna è già entrata nel vivo. E si consuma a colpi di tweet (ripescati o nuovi), filmati, proposte incrociate in una polarizzazione dei fronti sempre più netta e dominata dai veleni interni. Un ‘virus’ da cui non è rimasto immune quasi nessun partito, ma quello di Silvio Berlusconi ne sa qualcosa, anzi di più.

I ‘veleni’ interni in FI: la notte dei lunghi coltelli
Dopo un lungo conclave a Villa Certosa e più di una maratona notturna, con i ‘compilatori’ delle liste elettorali che si sono chiusi in un albergo romano, cellulari staccati e irreperibili per chiunque, FI decide e, subito, scoppia la rivolta dei territori. Dalla Basilicata al Veneto passando per il Molise, i locali protestano contro i candidati ‘paracadutati’ da Roma. Nel mirino finisce la presidente del Senato, Elisabetta Casellati, che corre nel collegio lucano all’uninominale Senato, scalzando il sottosegretario all’Editoria, Giuseppe Moles; la capogruppo bolognese Anna Maria Bernini che punta al collegio di Padova (considerato certo per Casellati) e scompagina il partito veneto: fino al presidente della Lazio, Claudio Lotito che agita ora il Molise dove è stato paracadutato dai vertici in un collegio uninominale del Senato ‘blindato’. Infine, tra gli esclusi ‘eccellenti’ nelle liste elettorali di FI (molti di ‘area Letta’, Gianni…) ci sono Andrea Ruggeri, Simone Baldelli, Gregorio Fontana, mentre ad altri nomi noti e di peso (Sestino Giacomoni, Annagrazia Calabria, persino lo storico interprete del Cavaliere, e fine ‘diplomatico’, Valentino Valentini) sono stati dati collegi o posizioni nei listini da sicuri… ‘perdenti’.

La lunga notte del Nazareno e i suoi strascichi
Agitazione vissuta pure tra i Democratici. Qui la lotta all’ultimo posto si è consumata a Ferragosto con una Direzione nazionale rinviata più volte e chiusa oltre la mezzanotte tra brusii e malumori. Escluso eccellente Luca Lotti finito – è convinto – nelle vendette incrociate tra dem ed ex renziani.

Non ricandidati diversi ‘bravi’ e coscienziosi deputati (Carmelo Miceli in Sicilia, Fausto Raciti, Giuditta Pini, per dire) e senatori (Valeria Fedeli, Salvatore Margiotta, Alan Ferrari).

Più fortunato il sottosegretario Enzo Amendola, finito in un posto da ‘terza fila’ in Campania e in bilico per giorni, ma poi ‘ripescato’, alla fine, in Basilicata, a guidare il listino proporzionale, grazie alla rinunzia del giovane La Regina, uno dei ‘fiori all’occhiello’ (sic) di Letta, travolto dal polverone sollevato da vecchi post ‘antisemiti’. Lo spostamento di Amendola ha, peraltro, dato sollievo anche a Filippo Sensi, collocato in un collegio uninominale dichiaratamente ‘perdente’ a Roma, che ora riguadagna posizioni in Toscana, mentre il costituzionalista Stefano Ceccanti si è riguadagnato il ‘suo’ collegio uninominale di Pisa (alla Camera) grazie alla vivace protesta dei pisani contro un altro ‘paracadutato’, Fratoianni, che vi ha rinunciato, restando solo nel listino proporzionale della sua lista ‘cocomeri’, Verdi-Si.

Ma gli strascichi continuano, con mugugni dei tanti piazzati – nel Pd, tra sindaci e territori – in collegi molto incerti e un paio di addii dal partito come quelli clamorosi dei senatori Gianni Pittella (in Lucania, con il fratello Marcello che ora capeggerà la lista di Az-Iv) e Dario Stefano.

Non che anche il Terzo Polo non abbia i suoi guai con Gennaro Migliore di fatto escluso dalle liste elettorali, in Campania, e Andrea Cangini (ex FI) collocato in una posizione di fatto ineleggibile in Emilia.

Poche sorprese tra i big e poche new entry
Tra i super big, poche le sorprese. Il Cavaliere si prepara al gran ritorno al Senato ed è capolista in Piemonte, Lazio, Campania e nella ‘sua’ Monza. Schierata in Lombardia (e in Campania) pure la sua compagna Marta Fascina alla Camera, mentre i suoi fedelissimi Antonio Tajani e Licia Ronzulli si dividono il Lazio e la Lombardia. Enrico Letta – che non correrà in nessun collegio uninominale, per evitare ogni rischio – guida la lista a Milano e ‘sconfina’ nel Veneto, lanciando la sfida alla Lega nella sua terra.

Per il suo debutto in Parlamento, Conte scommette sui collegi di Lombardia, Puglia, Campania e Sicilia, ma sono tutti plurinominali. Il suo predecessore nel M5S, Luigi Di Maio rischia grosso a Napoli-Fuorigrotta, poi guida la lista di Impegno Civico, insieme a Bruno Tabacci, ma zero speranze di arrivare al 3%. Per Matteo Salvini la sfida è aperta a Milano, ma condita da ovvi (ben quattro) ‘paracadute’, mentre a Roma il duello è tra Emma Bonino di + Europa e Carlo Calenda, ormai solo ‘ex’ alleati.

Mentre la Lega fa fuori quasi tutti i ‘giorgettiani’ (Raffaele Volpi su tutti), tranne lui, Giorgetti, è stato assai meno doloroso, il ‘parto’ delle liste elettorali di FdI: favoriti dai sondaggi e in overbooking di candidature (essendo stati finora all’opposizione), i ‘patrioti’ pubblicano l’elenco completo sul sito. Come a dire: ‘ecchice!’. Siamo belli e, soprattutto, saremo tanti… Cinque i collegi plurinominali per la Meloni (Abruzzo, Lazio, Lombardia, Puglia e Sicilia), che però si candida anche in un collegio uninominale in Abruzzo, mentre l’ex ministro Giulio Tremonti sarà in pista in Lombardia e l’ex pm Carlo Nordio in Veneto.

Poche le new entry extra politica. Dalla tv arriva Rita Dalla Chiesa, candidata in Puglia con FI, dall’editoria Antonio Angelucci che ha scelto la Lega. Dallo sport l’ex pilota di Formula uno, Emerson Fittipaldi (circoscrizione sudamericana per FdI). Altro sportivo è il pallavolista Luigi Mastrangeli, in lizza per la Lega. Il Pd schiera l’economista Carlo Cottarelli e il virologo Andrea Crisanti (circoscrizione Europa), subito e già miccia per l’ennesimo scontro sui vaccini. Ma chi le ha fatte e chi le ha scritte, queste liste elettorali?

Il ‘Devoto&Oli’ della materia, Denis Verdini
Stabilito che trattasi di un gioco a incastro, un ‘risiko’, che – a ogni elezione che Dio manda sulla Terra – rappresenta la croce e delizia di tutti i partiti e che crea mille guai e grattacapi, tra le urla e lo sbatter di porte di chi viene escluso e le urla (di giubilo) di chi, invece, viene inserito, va anche detto che il ‘potere’ di fare e disfare le liste elettorali sta in capo a tre ‘ordini superiori’: il segretario nazionale di ogni partito, la sua Segreteria e staff e, appunto, i ‘compilatori’, nello specifico, delle liste che devono conoscere, a menadito, sia i collegi elettorali che, soprattutto, la legge elettorale ad hoc.

Insomma, sono pochissimi gli ‘addetti ai lavori’ di tutti i partiti e coalizioni, che, sull’argomento, ci capiscono e ne capiscono. In realtà, la ‘fonte’ del diritto (non parlamentare, ma ‘politico’), sulla materia, ha un nome e un cognome, quello di Denis Verdini. L’ex azzurro è stato, ai bei tempi (cioè per tutti gli anni Novanta e Duemila), il coordinatore politico di Forza Italia e, poi, il fondatore del gruppo parlamentare Ala che appoggiò, in Parlamento, il governo Renzi, (e, peraltro, pure al governo Gentiloni) garantendone la sopravvivenza, pur se al prezzo della rottura, definitiva, con Berlusconi (il quale, da allora, gliel’ha praticamente ‘giurata’…). Denis è ritenuto – dagli amici, che ancora ha, a destra, e pure dagli avversari, che ancora ha, a sinistra – il ‘Devoto&Oli’ di come si fanno le candidature.

Bisognerebbe, cioè, chiedere a lui, abbeverarsi alla sua ‘fonte’, per avere le coordinate (latitudine e longitudine) di come si ‘compongono’ le liste elettorali. Ma, come si sa, Verdini è fuori gioco. Recluso nella sua (splendida) villa di Pian de’ Giullari, in compagnia della moglie e dei suoi cani, Verdini non può né fare né ricevere telefonate, in quanto agli arresti domiciliari, come prescrive la legge (ha due condanne: una passata in giudicato e una, per ora, solo in appello), per noti guai giudiziari.

Insomma, Denis è ‘out’, per scelta: nessuno può ricevere, con nessuno può parlare, nessuno può incontrare. Fuori gioco lui, però, tutti gli altri sono discepoli ‘minori’, si capisce, ma il pane si fa sempre con la farina che si ha. Eccoli, dunque.

Gli uomini delle liste elettorali dentro il centrodestra: Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e ‘piccoli’
Nella Lega se ne occupa direttamente il leader, Matteo Salvini, che deve ‘tenere a bada’ i governatori locali del Nord, i quali volevano piazzare molti uomini loro, ma con l’ausilio del ‘padre’ del Porcellum, Roberto Calderoli, che le leggi elettorali e i collegi li conosce come uno scolaro sa l’ABC. E, anche, del giovane, ma già bello preparato e corazzato, vicesegretario della Lega, Andrea Crippa, alla prima legislatura.

Dentro FdI, invece, la pratica è stata delegata dalla Meloni ai suoi fidatissimi: Ignazio La Russa, altro esperto di leggi elettorali, Francesco Lollobrigida e lo sherpa Giovanni Donzelli, con, dietro le quinte, il ‘super-consulente’, non candidato, ma per sua scelta, Guido Crosetto.

In Forza Italia, con Verdini ‘fuori gioco’, ci si deve accontentare di suoi pallidi imitatori. Si tratta dei due capigruppo, Barelli e Bernini, ma soprattutto di Licia Ronzulli, badante politica del Cavaliere e, ormai scomparso Niccolò Ghedini, di Antonio Tajani, coordinatore nazionale di FI.

Infine, Coriacei e testardi, oltre che assai ‘esperti’ del ramo, ci sono i ‘piccoli’ di centrodestra: si sono uniti in un ‘mega-listone’ di tutti e quattro i simboli che, all’inizio, sembravano dover andare separati o, quantomeno, in coppia, due a due, e che ora si presentano con la lista ‘Noi Moderati’ che è riuscita a strappare, soprattutto a FdI, il partito più ‘grande’ e dunque il più ‘generoso’, ben 14 collegi tondi tondi, per loro, e blindati.

Per l’Udc tratta direttamente il segretario, Lorenzo Cesa, esperto e rotto a mille battaglie. Idem dentro Noi con l’Italia, dove ci pensa il leader Maurizio Lupi, mentre per Giovanni Toti di ‘L’Italia al centro’ c’era il professor Gaetano Quagliariello, che però è rimasto senza seggio…

Gli oscuri, ma efficienti, ‘compilatori’ di liste elettorali del Pd e dei ‘nanetti’ del centrosinistra…
Per il Pd è ormai salito alla ribalta Marco Meloni: sardo, ex deputato di due legislature fa, fatto fuori da Renzi (cui Letta aveva chiesto un solo favore: salvarlo, e tanto gli costò chiederglielo, ma Renzi gli disse no…) lo ritornerà presto, candidato nella sua Sardegna.

Si è preso, nella infinita ‘notte’ della Direzione del Pd tutte le colpe e, oggi, porta tutte le croci delle esclusioni ‘eccellenti’ (una vera ‘strage’) che il partito ha compiuto verso molti dei suoi. Ma, del resto, i conti devono pur tornare e, con i numeri e i sondaggi attuali, tornano con difficoltà. Insomma, tra sondaggi che calano ogni giorno, per il centrosinistra, collegi fino a ieri ‘blindati’ e oggi diventati ‘incerti’ o sicuramente ‘persi’, bisogna pur capirlo, il buon Meloni: ha dovuto fare di necessità virtù scontentando molti (troppi).

Al suo fianco, per conto di LeU-Articolo 1, c’è stato, e c’è, Nico Stumpo: calabrese, coriaceo, tarchiato e calvo, è una vera macchina da guerra e, guarda caso, per lui è ‘spuntato’ il posto da capolista nel listino proporzionale nella ‘sua’ Calabria. Del resto, Stumpo, nel 2013, fece le liste elettorali per il Pd dell’allora segretario Bersani e la legge elettorale era il Porcellum, il che vuol dire che ‘tutti’ i posti erano fatti e dati su listini bloccati. In sostanza, è uno che sa di cosa parla. 

Veniamo, invece, ai partiti ‘fratelli’, cioè ‘alleati’, del Pd dentro la coalizione di centrosinistra.

Dentro +Europa, il mago dei numeri è il radicale Riccardo Magi: alto, bello, riccioluto, sempre sorridente, conosce a menadito leggi elettorali e pieghe del diritto costituzionale, anche perché ha avuto un ‘maestro’ d’eccezione, il professore (e costituzionalista provetto) Stefano Ceccanti che, in questa legislatura che ormai si sta esaurendo, lo ha preso sotto la sua affettuosa ‘ala’ protettiva. Magi ha ottenuto, in una rapida trattativa, posti blindati e sicuri, oltre che per sé, per Bonino (Milano), Della Vedova e pure per un altro paio.

Dentro Verdi-SI non ci sono santi: le liste elettorali le hanno fatte, materialmente, i due leader, Nicola Fratoianni (SI) e Angelo Bonelli (Verdi), i quali, non a caso, hanno ottenuto dal Pd due collegi ‘blindatissimi’. Quello di Fratoianni era, fino a ieri, il collegio ‘strappato’ a Ceccanti, il che ha causato, però, la rivolta della base locale di Pisa e dintorni contro i ‘paracadutati’ dall’altro, cioè contro di lui, il ‘bel Nicola’, mentre Ceccanti era il candidato del ‘territorio’. Alla fine, Ceccanti ha riavuto il suo collegio e Fratoianni è rimasto solo sul proporzionale. Assai più furbo di lui (mica è detto che la lista dei ‘cocomeri’ lo faccia, il 3%) è, invece, Bonelli: ne ha ottenuto uno in Emilia, a Imola, altrettanto ‘blindato’ e altrettanto ‘sicuro’.

Invece, dentro Impegno Civico (Ipf+CD) l’antica sapienza democristiana di Bruno Tabacci e il ruolo politico di Luigi Di Maio poco han potuto: difficilmente la loro lista supererà il quorum (3%) e i collegi affibbiati, sempre dal Pd, ai due hanno pesi e dimensioni assai diverse. Quello di Tabacci è ‘sicuro’, grazie al Pd di Letta che gli ha trovato casa a Milano, maquello di Di Maio (Afragola-Secondigliano che si trovano alle porte di Napoli), è dato e ritenuto tra i ‘perdenti’ dalla maggior parte dei dem campani, che ne sanno. Il che vorrebbe dire che Di Maio potrebbe non essere eletto e che il Pd gli ha rifilato una ‘sola’…

I ‘magnifici’ 15 dei 5s e quel ‘furbo’ di Rosato
Detto che, dentro il M5s, ha deciso tutto Conte, attorniato, però, dai suoi cinque vicepresidenti, con tanto di listino ‘super-bloccato’ per i suoi ‘magnifici 15’ (gli unici davvero eleggibili…), in Azione-Iv, si sono affrontati, in un lungo braccio di ferro durato notti estenuanti, Enrico Costa, Matteo Richetti e Andrea Mazziotti per conto di Calenda, Ettore Rosato e Maria Elena Boschi per conto di Iv e cioè di Renzi. Con una, non piccola, differenza: Rosato è il padre del Rosatellum, ne conosce ogni pregio e ogni difetto e, alla fine, se i candidati di Iv saranno più eletti, oltre che più ‘eleggibili’, di quelli di Azione, il ‘merito’ si dovrà, in buona parte, proprio a lui. Non a caso.