Politica

La settimana del governo sul fronte estero

17
Febbraio 2024
Di Francesco Tedeschi

Una settimana, quella appena passata, che ha visto il Governo impegnato su diversi fronti, in particolare su quello estero. Martedì, infatti, il Parlamento ha discusso le mozioni dei partiti sul conflitto in Medio Oriente; mentre giovedì la maggioranza ha incassato una parte fondamentale per la strategia di gestione dell’immigrazione, portando a casa l’approvazione del disegno di legge riguardante l’accordo tra Italia e Albania. La ratifica, già approvata a gennaio alla Camera, è dunque diventata legge. L’accordo era stato presentato a inizio novembre dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal suo omologo albanese Edi Rama e prevede che l’Albania ospiti nel proprio territorio due centri italiani per la gestione dei migranti. Dalla primavera del 2024, i migranti messi in salvo nel Mediterraneo dalle navi italiane – come quelle di Marina e Guardia di finanza, non delle ONG – saranno dunque trasferiti in Albania. Come spiegato nei mesi scorsi dalla premier Meloni, l’accordo tra Roma e Tirana non si applica a minori, donne in gravidanza e soggetti vulnerabili. Potranno essere ospitate “fino a un massimo di 3mila” persone contemporaneamente. La giurisdizione sarà italiana, mentre l’Albania collaborerà con le sue forze di polizia per la sicurezza e la sorveglianza esterna delle strutture. L’Italia sosterrà ogni costo necessario all’alloggio e al trattamento delle persone accolte nelle strutture, compreso il vitto, le cure mediche e qualsiasi altro servizio ritenuto necessario, “impegnandosi affinché tale trattamento rispetti i diritti e le libertà fondamentali dell’uomo”. 

Sempre parlando di questioni estere che questa settimana hanno impegnato l’azione del governo, martedì alla Camera sono state votate alcune mozioni che riguardavano il conflitto in Medio Oriente. L’esito più significativo di queste votazioni è stato l’approvazione di una parte della mozione presentata dal Partito Democratico che impegna il governo “a sostenere ogni iniziativa volta a chiedere un immediato cessate il fuoco umanitario a Gaza”. La proposta è passata grazie a un accordo tra la segretaria Elly Schlein e il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che durante la mattinata di martedì hanno trovato un compromesso sul tema. Su suggerimento di Meloni, il PD ha accettato di modificare alcune parti della sua mozione, che a quel punto è stata approvata grazie all’astensione della maggioranza. Il significato più importante della votazione sta forse nel fatto che Meloni abbia in qualche modo approfittato dell’iniziativa del Partito Democratico per prendere una posizione velatamente critica nei confronti di Israele. Nei mesi scorsi, Meloni ha più volte espresso una condanna risoluta nei confronti delle stragi compiute da Hamas il 7 ottobre. Il 21 ottobre è volata a Tel Aviv per ribadire la vicinanza del governo italiano al Primo Ministro Benjamin Netanyahu, un leader con cui Meloni è da tempo in grande sintonia. Di fronte al prolungarsi delle operazioni di guerra dell’esercito israeliano a Gaza, però, il governo italiano ha progressivamente adottato una linea di maggiore equilibrio, prestando particolare riguardo politico alle sofferenze a cui la popolazione palestinese è sottoposta in queste settimane e allineandosi di fatto con la posizione assunta anche da altri paesi alleati. 

Anche il Presidente statunitense Joe Biden sta mostrando sempre più insofferenza verso la strategia militare seguita da Netanyahu, in particolare a seguito della scelta di Israele di bombardare la città di Rafah. Il Presidente americano e quello israeliano hanno discusso giovedì al telefono per 40 minuti e, a quanto si apprende, la conversazione non è andata benissimo. Nella nota diffusa dalla Casa Bianca dopo il colloquio si legge che “il presidente e il Primo Ministro hanno discusso della situazione a Gaza e dell’urgenza di garantire l’assistenza umanitaria di cui i civili palestinesi hanno bisogno disperato” e che “il presidente ha parlato della situazione a Rafah e ha ripetuto che un’operazione militare non dovrebbe procedere senza un piano credibile e realizzabile per garantire la sicurezza e il supporto ai civili”. 

Poche ore prima Netanyahu aveva incontrato il direttore della CIA William Burns, che sta seguendo la trattativa per la liberazione dei prigionieri e il cessate il fuoco — che dovrebbe essere la chiave per far avanzare i lavori per la formazione di uno stato palestinese, secondo la trattativa separata che gli Stati Uniti stanno conducendo con alcuni stati arabi della regione. Dopo la telefonata, Netanyahu ha rilasciato una dichiarazione furibonda: “La mia posizione può essere riassunta con queste due frasi. Israele rifiuta categoricamente i diktat internazionali sull’insediamento permanente dei palestinesi. Un accordo del genere sarà raggiunto solo tra negoziato diretto tra le parti, senza condizioni precedenti”. Questo negoziato, però, appare alquanto impossibile: “Israele continuerà ad opporsi al riconoscimento unilaterale di uno stato palestinese. Questo riconoscimento in seguito al massacro del 7 ottobre sarebbe un grande premio per quell’attacco terroristico senza precedenti e impedirebbe qualsiasi accordo di pace futuro”. 

Nonostante la linea ferrea israeliana, il Governo americano lavora incessantemente – insieme ad una rete di stati mediorientali – per quello che vorrebbe essere il miracolo diplomatico della presidenza Biden. Un piano che si estende su tre linee di intervento: fermezza contro ogni attacco provocato o mosso da Teheran, sostegno al riconoscimento di uno stato palestinese e realizzazione di un patto per la sicurezza regionale che faccia leva sull’Arabia Saudita. Al momento però, nonostante gli innumerevoli viaggi del Segretario di Stato Antony Blinken, la diplomazia americana non ha ottenuto gli effetti sperati.