Politica

La lezione politica di Bettino Craxi

28
Gennaio 2024
Di Gianni Pittella

Non solo è giusto ricordare Bettino Craxi un uomo, un socialista, un leader e un premier che comunque si giudichi, ha servito il Paese per una vita intera. Ma credo sia arrivato il tempo di seppellire i risentimenti di parte, di ogni parte, e tributargli un omaggio, certo postumo, forse tardivo.

La lezione politica di Bettino Craxi è più viva che mai, persino nei suoi limiti, nei suoi errori. Fu la lezione di uno statista, di un grande socialista, e i politici dell’oggi dovrebbero custodirla per provare a ritrovare le coordinate di un mondo in grande trasformazione, in cui la questione migratoria, la riesplosione dei conflitti e le questioni ambientali e digitali sfidano politica e democrazie liberali. Tutti temi di cui Craxi aveva intuito con largo anticipo la portata rivoluzionaria.

L’approdo dell’autonomia culturale che Craxi voleva per i socialisti consisteva nel socialismo liberale. L’individuo diventa così il soggetto principale dello sviluppo economico e civile. La lotta alla disuguaglianza e all’emancipazione richiedeva pertanto una battaglia riformista di modernizzazione del Paese.
Quanta attualità c’è nelle sue parole: “La democrazia deve vivere e governare. La democrazia governante è un’idea di vitalità della democrazia, sottratta agli immobilismi, le lentocrazie, e le paralisi di vario tipo che la condannano alla sclerosi ed alla decadenza. Io coltivo la speranza di un rigoroso rinnovamento della democrazia italiana”.
Fu nel segno di un’idea nuova della sinistra liberale, europea, mediterranea, atlantista critica, autonomista e risoluta che Craxi riuscì a spezzare, ereditando un partito sotto il dieci per cento e dilaniato dalle correnti, il consociativismo Dc-Pci e la democrazia bloccata italiana.
Le conseguenze concrete di questa svolta ideale sono note. Il risanamento economico, il prestigio del “made in Italy”, l’ingresso fra le cinque grandi potenze industriali del mondo, la riattualizzazione dei Patti Lateranensi, l’allargamento dell’Ue e l’affermazione del ruolo del socialismo mediterraneo. È strano, ma non paradossale, come oggi Craxi venga chiamato ad antesignano di un certo sovranismo. In realtà Craxi fu assertore della difesa dell’indipendenza nazionale dall’assolutismo dei poteri finanziari e da una certa idea di totale subalternità al patto atlantico. Questo tuttavia non si tradusse mai in antieuropeismo, in chiusure medievali di confini, in accenti suprematisti.
Si tradusse contemporaneamente nella difesa di Sigonella, nell’apertura al dialogo nel caso Moro, sull’amicizia italo-libica (su entrambe le questioni gli Usa avevano posizioni opposte) ma anche in un internazionalismo straordinario.
La visione mediterranea di Craxi accentuò le politiche filo arabe e lo fecero amico dei più importanti leader africani, a cominciare dalla Tunisia di Bourghiba e di poi di Ben Alì (impedendo per poche ore vi fosse un colpo di Stato di marca francese nella regione), lo resero promotore di un’alleanza straordinaria con i leader socialisti europei Felipe González e Mário Soares, e finanziatore occulto di alcuni dei partiti socialisti messi al bando dalle dittature dei rispettivi Paesi, e tra questi il Partito Socialista Operaio Spagnolo, il Movimento Socialista Panellenico ed il Partito Socialista Cileno di Salvador Allende, di cui Craxi fu grande amico personale. Questo suo senso dell’indipendenza nazionale e parimenti profondo internazionalismo sono un’altra grande lezione.
Le sue parole sulla globalizzazione sono profetiche: “La ‘globalizzazione’ non viene affrontata dall’Italia con la forza, la consapevolezza, l’autorità di una vera e grande nazione, ma piuttosto viene subìta in forma subalterna in un contesto di cui è sempre più difficile intravedere un avvenire, che non sia quello di un degrado continuo, di un impoverimento della società, di una sostanziale perdita di indipendenza”.
A questo monito Craxi avrebbe voluto rispondere con un protagonismo su scala internazionale del Paese, con la riforma delle grandi istituzioni mondiali, con una cooperazione allo sviluppo feconda, con una Unione europea più forte e coesa. Il suo lavoro da presidente del Consiglio europeo e di delegato delle Nazioni Unite sulla questione fame e sottosviluppo resta ancora oggi un riferimento.
Cambiamenti epocali tuttavia stavano per aggredire il Paese e Craxi non seppe accorgersene davvero. Mentre la sua idea di grande riforma costituzionale in direzione di una democrazia decidente finì per essere un inutile “abbaiare alla luna”, come lo definì Craxi stesso con amarezza, l’aspro gioco di collaborazione e conflitto con la Dc divenne il motore di un impiego degenerativo di risorse pubbliche con la relativa esplosione del debito e una questione morale che era innanzitutto politica perché nasceva dal fatto che la linea della governabilità perdeva ogni rapporto con la prospettiva dell’alternativa.
Il crollo del muro di Berlino avrebbe richiesto un cambio di paradigma radicale, un cambio di spartito che la direzione dell’epoca non seppe interpretare. L’invito agli italiani che chiedevano un segno di cambiamento a disertare le urne per il referendum che aboliva la preferenza multipla nelle elezioni fu il principio della fine.
Leggendo con occhio non partigiano ma critico la esperienza politica ed umana di Craxi , si trae un lascito importante e attualissimo , che è sbagliato cancellare o trascurare in nome di una rimozione giustizialista, di un pregiudizio o di un risentimento .