Politica

La fictio di Strasburgo

21
Ottobre 2021
Di Alberto de Sanctis

L’ultima crisi che scuote l’Unione Europea riguarda la sentenza di un tribunale di Varsavia sul primato del diritto nazionale su quello comunitario. Il caso ha ingenerato un violento confronto dialettico fra la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, andato in scena a Strasburgo durante la riunione plenaria del Parlamento europeo.

Il pronunciamento dei giudici di Varsavia incarna una gravissima minaccia agli occhi delle istituzioni comunitarie poiché non era mai successo prima che un tribunale nazionale sancisse così chiaramente l’incompatibilità dei trattati europei con la propria legge suprema. Di qui il discorso furioso della signora von der Leyen, che si è spinta fino a parlare di affronto all’unità dell’ordine legale dell’Unione e di attacco alle fondamenta del progetto europeo.

Dal canto suo Morawiecki ha ribattuto che la legge suprema della Polonia è la sua costituzione e di non accettare il ricatto finanziario come metodo per condurre le relazioni fra le istituzioni e gli Stati membri. Il primo ministro di Varsavia ha poi escluso la possibilità di una Polexit, uno scenario che ha definito come semplicemente inaccettabile.

In realtà dalla battaglia di Strasburgo non potevano uscire vincitori: nonostante i toni, difatti, Varsavia e Bruxelles sanno di avere bisogno l’una dell’altra.

Il governo polacco è perfettamente conscio che in questo momento non c’è futuro al di fuori dell’Unione, vista l’incertezza e le crescenti tensioni internazionali. La Commissione sa invece di non potersi permettere una guerra contro uno Stato membro perché ciò significherebbe mettere a repentaglio l’intera agenda politica del blocco, dal momento che le decisioni importanti necessitano dell’unanimità per essere assunte.

Per questi motivi, in termini concreti, la contesa non poteva produrre sviluppi. Dopo il trauma del Brexit, l’Ue attraversa una fase troppo delicata della sua esistenza e per sopravvivere ha un bisogno drammatico anche della Polonia. Trasformare Varsavia in un paria del blocco o, peggio ancora, favorirne anche solo indirettamente l’uscita significherebbe condurre all’implosione l’architettura europea, già traballante di suo.

Così alla signora von der Leyen non restava che agitare davanti ai polacchi qualche scenografico rimedio legale, che anche qualora venisse attivato necessiterebbe di molto tempo prima di diventare effettivo. È il caso del meccanismo che dovrebbe condurre a una riduzione oppure a un rallentamento delle elargizioni finanziarie alla Polonia nell’ambito del recovery fund – di qui il riferimento di Morawiecki al ricatto.

Di fatto quella in scena a Strasburgo è stata una fictio tra una carica simbolica come la presidente della Commissione e il capo di un governo reale nel pieno dei suoi poteri. Tanto più se in presenza di almeno due ragioni cogenti che scongiurano sviluppi drammatici della vicenda.

La prima riguarda il fatto che il duello verbale si è consumato subito dopo il no della Cancelleria tedesca all’eventualità di una sanzione finanziaria contro Varsavia. Angela Merkel era già intervenuta spiegando che non ci saranno penalità contro la Polonia, invitando ad attendere il responso della Corte di giustizia e suggerendo di negoziare un compromesso fra le parti. Altri leader nazionali hanno espresso posizioni simili, direttamente (come il Belgio) o indirettamente (come la Francia). Su questioni così delicate decidono infatti gli Stati, anche solo in virtù dell’intimità diretta che lega Berlino e Varsavia.

La seconda ragione ha a che fare con il ruolo indiretto degli Stati Uniti. Se la Polonia esibisce un atteggiamento tanto assertivo e si può permettere di mantenere un notevole margine di manovra nei confronti dell’Ue è perché in questi anni ha serrato i suoi rapporti con Washington in funzione antirussa. Così Varsavia sceglie di respingere l’atteggiamento ideologico dell’Ue e con esso la sua legislazione, nella convinzione di dover mantenere un livello di allerta molto alto al proprio interno nei confronti della Russia – che crede potrebbe essere scalfito dalle morbidezze del diritto europeo.

In definitiva si è trattato di uno scontro rivelatore che ha palesato la vera natura dell’Ue. Bruxelles è alla testa di un agglomerato di Stati sovrani dove non vige un diritto valido sempre per tutti, ma solo in ambiti laterali dell’esistenza di una comunità come appunto i rapporti commerciali e le regole sulla concorrenza. Quando ci sono in ballo questioni fondamentali come il primato delle leggi fondamentali o una diatriba su che forma prenderà il progetto comunitario, ecco che la palla passa puntualmente agli Stati. Nello specifico, a quelli più potenti. Ciò che automaticamente non rende l’Ue un soggetto.

Photo Credits: Niezalezna.pl